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Basta con i magistrati «di parte», e con chi li difende ma poi critica Vannacci

Basta con i magistrati «di parte», e con chi li difende ma poi critica Vannacci

Il caso di Catania dimostra come diverse toghe schierate politicamente possano giudicare politici ed i loro atti. Con buona pace del concetto di «super partes»

Nel corso dell’ultima puntata di “Quarta Repubblica”, su Rete4, lo storico Angelo D’Orsi, riferendosi al giudice del tribunale di Catania che non ha convalidato il fermo dei migranti a Pozzallo, ha ripetuto con grande nonchalance un concetto che ormai in Italia viene dato per scontato: “Essere di sinistra non è una colpa”. Anche per una toga.

Il fatto che un magistrato esprima liberamente opinioni politiche, anche schierandosi apertamente con toni tutt’altro che velati, è una tradizione tutta italiana che da Tangentopoli in poi è divenuta consuetudine. Il quotidiano “La Repubblica” parlava di tale magistrato come una toga “senza macchia né colore”, quando sui social network risulta che nel 2018 abbia condiviso una petizione per sfiduciare il ministro dell’interno Salvini. E nel 2011 lo stesso magistrato scriveva: “Ricordiamoci che c’è qualcosa anche a sinistra di Vendola”.

La libertà di pensiero è sacra, ma può un magistrato schierarsi politicamente su questioni nelle quali esercita il suo servizio? E’ lecito che nel nostro Paese esista una corrente storicamente progressista, Magistratura Democratica, che si è sempre ritenuta alla stregua di un partito politico in toga? Qua si scontrano due filosofie. Quella liberale del magistrato silente, che come la moglie di Cesare indossa la toga come divisa di servizio, che applica le leggi e non le contesta. E poi c’è la concezione “democratica” della magistratura, quella nata negli anni Sessanta ben riassunta dall’ex segretario di Md Livio Pepino: cioè quella secondo cui la Costituzione, “prima ancora che la fedeltà alla legge, comanda” per le toghe “la disobbedienza a ciò che legge non è. Disobbedienza al pasoliniano “palazzo”, disobbedienza ai potentati economici”.

Questa idea della magistratura combattente che raddrizza i torti del mondo a colpi di sentenze, è una concezione pericolosa insinuatasi a tal punto nel vivere civile, che chi la contesta passa quasi per matto. E’ per questo che tolleriamo come niente fosse il moltiplicarsi delle “correnti” delle toghe, e le sottocorrenti in guerra tra loro, davanti e dietro i riflettori. Per non parlare dell’Anm, equiparato ormai a una Fiom tribunalizia.

E la cosa curiosa è che nello stesso tempo, mentre a un magistrato viene garantita piena libertà di partigianeria, accade che la stessa libertà non venga accordata a un militare (leggasi Vannacci), o addirittura venga negata a un Ministro della Repubblica (leggasi Roccella), zittito a un pubblico dibattito poiché simbolo della difesa della famiglia tradizionale. Certe cose non si possono dire in quanto politicamente scorrette, ma contemporaneamente i magistrati, se vogliono, possono schierarsi apertamente nell’agone politico, esprimere giudizi su questo o quel ministro, e nessuno può permettersi di alzare il dito e dissentire.

C’è qualcosa di storto che va raddrizzato, e non si tratta di censurare nessuno: ma perlomeno domandiamoci se in un Paese civile il comizio e la veste giurisdizionale possano accavallarsi così sfacciatamente. Fino al punto, e anche a questo ormai siamo abituati, che le toghe possano entrare e uscire dal parlamento per ritornare nelle aule di giustizia come niente fosse.

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