Neom è una megalopoli ipertecnologica, grande quanto la Sicilia, che sorgerà tra le sabbie del deserto saudita. Un progetto
faraonico utile a Mohammed bin Salman per smarcare il Paese dal greggio e passare da sovrano illuminato. Peccato che la realtà
sia ben diversa. Anche se lui fa di tutto per mettere a tacere chi dice il contrario.
l progetto più ambizioso del mondo o il più grande fallimento della storia. Non ci sono vie di mezzo quando si parla di Neom, città-regione del futuro costruita da zero su rocce e sabbia nel nord-ovest dell’Arabia Saudita. Sorgerà entro il 2030 estendendosi lungo 460 chilometri di costa dal golfo di Aqaba al mar Rosso, proprio davanti a Sharm el-Sheikh, e poi nell’interno fino a coprire una superficie totale di 26.500 chilometri quadrati, quanto la Sicilia.
Il visionario disegno descritto come «acceleratore di progresso umano» è stato lanciato nel 2017 dal principe saudita Mohammed bin Salman, o Mbs, appena quattro mesi dopo essere stato nominato a sorpresa erede al trono. È il fulcro delle sue grandi ambizioni e, se tutto andrà come previsto, tra una decina d’anni un milione di persone da tutto il mondo avranno scelto di viverci.
Neom dovrebbe essere una zona autonoma, con proprie leggi e tasse.
Sarà varie città in una, con porti, aree residenziali e uffici all’avanguardia, laboratori e centri di ricerca dove realizzare tecnologie senza precedenti, ma anche alberghi meravigliosi e spiagge. Si ospiteranno show ed eventi sportivi unici, il turismo esploderà e anche i diritti – promettono – somiglieranno a quelli occidentali: «Gli abitanti incarneranno l’etica internazionale e una cultura di esplorazione, rischio e diversità» recitano i comunicati ufficiali del Paese islamico «supportati da una legge progressista compatibile con le norme internazionali e propizia alla crescita economica».
Sono sei i progetti residenziali nell’area metropolitana di Neom, che appartiene al fondo sovrano saudita Pif (Fondo di investimento pubblico), ma l’unico annunciato e forse il più importante si chiama The Line: una città estesa su una linea di 170 chilometri, dalla costa al deserto e poi su nel cuore delle montagne e oltre, fino agli altopiani di Tabuk. Costo stimato 200 miliardi di dollari. La vita quotidiana si dipanerà in tante piccole e medie comunità strettamente interconnesse tra loro in nome di ecologia e tecnologia, ma senza strade. Perché il più grande produttore di petrolio promette zero auto e un ambiente rispettoso della natura «al 95%».
The Line sarà disposta su tre livelli sovrapposti: in superficie aree pedonali con abitazioni, uffici, negozi e scuole, servizi a cinque minuti a piedi; sottoterra infrastrutture e logistica utile al funzionamento della città; più in profondità, i trasporti: veicoli a guida autonoma e treni velocissimi. Non solo: si parla di taxi volanti, assistenti robotici, sabbie luminescenti, una misteriosa luna artificiale, connessione 5G e telecamere ovunque. In questa realtà degna dei romanzi di Philip K. Dick, l’intelligenza artificiale pervasiva sarà comandata da Neos, sistema operativo creato appositamente per vedere, predire e interagire: attraverso la biometria ogni abitante sarà riconosciuto e abbinato alle proprie informazioni personali – gusti, necessità, conformità sanitarie, stile di vita. «Stiamo costruendo la prima città cognitiva al mondo» ha sintetizzato a Reuters Joseph Bradley, capo del settore hi tech e digital di Neom.
«Dobbiamo trasformare il concetto di città convenzionale in città futuristica» ha spiegato bin Salman alla presentazione del progetto, assicurando che The Line sarà la pietra angolare di Vision 2030, il «quadro strategico» entro il quale si intende traghettare l’Arabia Saudita da arcaico gigante del greggio al più grande hub di energia verde al mondo. E lo vuol fare proprio partendo da Neom, «l’opera più grandiosa dalla costruzione delle piramidi d’Egitto» secondo la definizione del responsabile del settore Energia, Peter Terium. La parola chiave è idrogeno, rinnovabile al 100%, prodotto usando acqua di mare, sole e vento in un impianto da 5 miliardi di dollari in quantità tali da riuscire a rifornire – previa trasformazione in «ammoniaca verde» – il trasporto pesante globale.
La città incantata per ora è soprattutto nell’immaginazione di chi guarda video e rendering, ma qualcosa ha iniziato a prendere forma. La fase 1 del progetto ha visto la costruzione dell’aeroporto Neom Bay e alcuni quartieri residenziali vicino al mare, mentre si va avanti con la creazione di infrastrutture come la rete di trasporto pubblico, gli impianti di desalinizzazione e quelli idrici ed elettrici. Dal lancio del 2017 non è molto, per la verità. Secondo l’agenzia di stampa britannica Reuters, sono 750 le persone assunte ma non si è ancora cominciato alcun lavoro su vasta scala.
«I sauditi ne hanno annunciato il completamento entro il 2025, ma a mio parere non sarà così» conferma a Panorama Antonino Occhiuto, analista e ricercatore dell’americana Gulf State Analytics e coeditor della testata specializzata in temi mediorientali Amwaj.media. «Tuttavia credo che non si tornerà indietro. Tra i mega progetti di bin Salman inclusi nel suo Vision 2030 (tra cui le lussuose aree turistiche del Mar Rosso, Amaala e The Red Sea, o il più grande parco tematico al mondo a Qiddiya, ndr) questo è il più importante, il fiore all’occhiello della vasta operazione di riconversione post-petrolifera e modernizzazione del Paese. Neom conta talmente per l’immagine, che il ritorno economico è persino secondario. Ma a oggi non risultano difficoltà finanziarie, anche se il prezzo del petrolio è sceso». Un riferimento all’ottenimento di liquidità per il Fondo di investimento pubblico attraverso la cessione di quote della compagnia nazionale di idrocarburi Aramco.
L’opera è immane e il momento difficile. La pandemia morde una popolazione che assiste a spese faraoniche mentre si tagliano gli assegni ai dipendenti pubblici e a un tasso di disoccupazione giunto al 15,4%. Ufficialmente i mega progetti serviranno anche a questo: Mbs ha detto che The Line frutterà 48 miliardi di dollari l’anno creando 380.000 posti di lavoro, e che nel frattempo il Pif investirà 40 miliardi di dollari l’anno per cinque anni nell’economia locale. Ma i giovani toccati dalla crisi sono tanti: il 65% della popolazione è under 30 e il 63% degli under 30 è disoccupato (dati Onu).
Sui social le critiche non mancano, anche se molto circospette. C’è paura. Perché accanto a progetti tanto luminosi ci sono ombre scure, e le conoscono tutti. Da quando Mbs ha assunto de facto il potere assoluto, ha trasformato la monarchia in un regime autoritario. Gli si attribuiscono atti come l’imprigionamento di familiari, la tortura di attivisti e dissidenti, la morte di oppositori. È il caso di Jamal Khashoggi, giornalista del Washington Post che accusava bin Salman di governare con «intimidazioni e paura» fingendo di modernizzare il Paese per risultare accettabile agli occhi dell’Occidente. La sua fine, nel 2018, ha fatto il giro del mondo: attirato nell’ambasciata saudita di Istanbul, è stato soffocato e smembrato da uomini dello staff più vicino al principe. Un report della Cia ha concluso che sì, Mbs ha approvato un’operazione per «catturarlo o ucciderlo». Un assassinio di Stato, smentito dalle autorità saudite.
Anche per la costruzione di Neom si usa la forza, espropriando e spianando a colpi di bulldozer e minacce. Il caso più eclatante è quello di Abdul Rahim Al-Huwaiti, membro della tribù huwaitat che da secoli vive su quelle terre. Abdul si è opposto, poi le forze di sicurezza hanno assaltato la sua abitazione, uccidendolo. «Bin Salman non usa il pugno di ferro contro una specifica tribù» ha commentato al Financial Times l’accademico e attivista saudita Abdullah Alahud, «lo fa con tutti: principesse, uomini di affari, intellettuali, economisti, poeti. Gente comune è stata arrestata per un tweet. Mbs ha tutto il potere nelle sue mani e lo usa in modo incontrollato».
«Neom, un progetto che si realizza con la rimozione di una popolazione, appartiene al fondo sovrano Pif così come i due aerei privati utilizzati dalla squadra che ha ucciso Kashoggi» commenta a Panorama Sunjeev Bery, direttore di Freedom Forward, organizzazione che sensibilizza il mondo politico americano ed europeo sul regime di bin Salman. «La monarchia saudita usa l’arma della propaganda per nascondere brutalità e repressione. Ed è giusto stigmatizzare chi fa affari con lui o gli si dimostra amico, come il vostro Matteo Renzi che ha rilanciato la narrazione di bin Salman su un “nuovo rinascimento”».
Il riferimento è alla partecipazione, a fine gennaio, del senatore di Italia Viva al Future investment initiative (Fii), organismo controllato dal Pif, dove Renzi ricopre un incarico nel comitato consultivo per cui percepisce uno stipendio fino a circa 80.000 dollari annui. È volato a Riyad per intervistare bin Salman che ha chiamato «my friend», «grande principe», sposando l’immagine di «nuovo rinascimento» e provocando sdegno e un’interrogazione parlamentare urgente. «Si possono solo fare supposizioni, ma non credo che il punto siano gli 80.000 euro l’anno» dice Occhiuto. «Qualcuno potrebbe avere suggerito a Renzi che diventare il referente italiano per la leadership saudita in un momento in cui si parla di investimenti così importanti aprirebbe a lui o al suo entourage la possibilità di porsi come intermediari di eventuali accordi e partnership. Ma è solo la mia sensazione».
«Bin Salman paga un ex primo ministro per mostrare al mondo di essere accettabile» continua Sunjeev Bery, «ma è ridicolo, ormai si è capito che parliamo di un assassino brutale il cui rinascimento tecnologico non sarà altro che uno stato di sorveglianza. Neom forse è il sogno di ogni dittatore ma è certamente il peggior incubo di chiunque creda in una società libera». Curioso che una distesa di rocce e sabbie ancora incontaminate sia già carica di tanti significati. Al punto che si parla di «Neom diplomacy».
Secondo Ali Dogan, studioso del think tank Carnegie Endowment for international peace, «Neom è diventata uno strumento di soft power per la politica estera saudita, una vetrina usata da bin Salman per corteggiare i suoi partner diplomatici». Esempi: «Quando Mbs è andato in visita ufficiale a Mosca è tornato con promesse di investimenti e opportunità per le aziende russe. Mentre le futuristiche idee neoliberali che vi sarebbero importate faciliterebbero ulteriori relazioni di cooperazione e business con gli Usa».
A Neom in novembre si è tenuto un incontro segreto tra l’allora segretario di Stato americano Mike Pompeo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu e Mbs. Erano passati pochi mesi dagli storici Accordi di Abramo tra Israele, Bahrein ed Emirati arabi uniti, ormai un concorrente regionale contro cui usare il solito nerbo. Riyad ha annunciato il «Programme HQ»: smetterà di fare affari con le compagnie internazionali che entro il 2024 non avranno scelto l’Arabia come sede del quartier generale nella regione. In Yemen i sauditi fanno piovere bombe, ma i vicini del Golfo vanno sbaragliati sul piano del turismo, del lifestyle, della modernità e del business. Sul mondo dopo il petrolio non splende poi tanto il sole.