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L’instabilità di Algeri, un problema per il Mediterraneo e la Libia

L’instabilità di Algeri, un problema per il Mediterraneo e la Libia

Le ultime elezioni parlamentari algerine hanno registrato un’affluenza bassissima. Il sentimento anti-establishment è sempre più forte, mentre questa situazione burrascosa rischia di ripercuotersi anche sullo scacchiere libico.


Sta crescendo l’instabilità politica in Algeria (con preoccupanti conseguenze anche per lo scacchiere libico). Il Fronte di Liberazione Nazionale, il principale partito del Paese, è arrivato primo alle ultime elezioni parlamentari, tenutesi lo scorso 12 giugno. A renderlo noto, è stata – secondo France24 – l’Autorità nazionale indipendente per le elezioni.

Si tratta tuttavia di una vittoria zoppa, in quanto lo schieramento si è aggiudicato appena 105 seggi: un numero ben al di sotto della soglia dei 204 seggi, necessaria per ottenere la maggioranza in parlamento. E attenzione: non è soltanto un problema di matematica parlamentare, ma anche di trend storico. Quella dell’ultima tornata elettorale può infatti definirsi una mezza disfatta per il Fronte di Liberazione Nazionale: se è pur vero che questo schieramento abbia mantenuto la maggioranza relativa, è altrettanto vero che i risultati di quest’anno risultino significativamente peggiori di quelli delle elezioni del 2017. All’epoca, il Fronte aveva infatti conquistato 161 seggi, laddove il Movimento islamista della società per la pace – formazione legata ai Fratelli musulmani – si era fermato a 34: quello stesso Movimento che invece stavolta è arrivato a ben 64 seggi. In tutto questo, l’affluenza del 12 giugno è risultata la più bassa nell’arco di vent’anni, arrestandosi al 23%: un dato significativamente inferiore a quello del 2017, quando si era collocata al 35%. Ciò vuol dire che, dei 24,4 milioni di elettori registrati, solo 5,6 milioni si sono recati alle urne. Una situazione, questa, prevalentemente dettata dal boicottaggio invocato dal movimento antisistema Hirak.

Ricordiamo, a tal proposito, che questa è la terza volta che l’Algeria va al voto nel giro di due anni: nel 2020 si è infatti tenuto un referendum per modificare la costituzione, mentre nel dicembre del 2019 si sono avute le elezioni presidenziali, in seguito alle dimissioni dell’allora presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, nell’aprile del 2019: dimissioni verificatesi dopo che centinaia di migliaia di cittadini avevano preso parte a proteste contrarie a una sua ricandidatura, chiedendo la cessazione di corruzione e clientelismo. Nonostante le promesse di cambiamento, non è che l’attuale presidente, Abdelmadjid Tebboune, goda di eccessiva popolarità. È stato, sì, eletto con il 58% dei voti, ma anche con un’affluenza inferiore al 40%. Inoltre, come recentemente sottolineato dal sito della Bbc, il malcontento continua ad essere considerevole: in particolare, serpeggia la convinzione che non si sia verificato, almeno per ora, un reale mutamento e che il potere resti ancora nelle mani degli stessi circoli politici. In tal senso, il movimento Hirak – una realtà decentrata e senza una leadership ufficiale – ha rinverdito la sua linea antisistema. E’ alla luce di tutto questo che il recente voto algerino risulta uno smacco per l’establishment locale: uno smacco comunque ampiamente previsto, dato che – già il giorno delle elezioni – Tebboune aveva dichiarato di non essere interessato ai numeri dell’affluenza.

Il rischio è che quindi cresca ulteriormente l’instabilità interna, con conseguenze imprevedibili per il delicato scacchiere politico nordafricano. Anche perché Algeri è coinvolta nel processo di stabilizzazione della Libia (un’area che, neanche a dirlo, riguarda da vicino gli interessi italiani). A fine maggio, si è non a caso tenuto un incontro tra Tebboune e l’attuale premier libico, Abdul Hamid Dbeibah. Nell’occasione, secondo quanto riferito dal The Daily Sabah, Dbeibah ha chiesto esplicitamente al presidente algerino di sostenere il processo di riconciliazione libico. “La Libia vede l’Algeria come un fratello maggiore”, ha affermato. Una riconciliazione che Tebboune si è impegnato a supportare. D’altronde, già in aprile, il ministro degli Esteri algerino, Sabri Boukadoum, si era recato in visita a Tripoli, dichiarando: “La sicurezza e la stabilità della Libia sono il nostro unico obiettivo”.

L’instabilità interna all’Algeria rischia quindi di avere delle ripercussioni indirette sulle dinamiche libiche. E anche sull’influenza di Parigi in Nord Africa. Va detto che il rapporto tra Tebboune e il presidente francese, Emmanuel Macron, non sia privo di qualche attrito. In particolare, nelle scorse settimane, il leader algerino ha chiesto “un riconoscimento totale di tutti i crimini” commessi dalla Francia durante il periodo coloniale nel Paese nordafricano. Dall’altra parte, è pur vero che abbia anche espresso significative parole di elogio nei confronti dell’attuale inquilino dell’Eliseo. “Macron ha tutta la mia stima. È il più illuminato di tutti”, ha affermato. Non è quindi escludibile che le burrascose dinamiche algerine possano avere delle ripercussioni sulle politiche nordafricane di Parigi. Tutto questo, senza infine dimenticare che, appena pochi giorni fa, le forze del generale Khalifa Haftar abbiano chiuso il confine con l’Algeria, dichiarandolo “zona militare in cui è vietato il movimento”. La situazione insomma rischia di farsi ancora più intricata.

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