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Piero Pelù: «Siamo pugili fragili, ma non siamo all’angolo»

L’inossidabile rocker si racconta. Dall’incontro con Mina all’ultimo album ispirato alla moglie Gianna. E della situazione attuale dice: «Per la musica il virus è “el diablo”. Con lo streaming, però, lo batteremo».


Non vedo i miei genitori da un mese. Mio padre ha 92 anni, mia madre 83. A fine febbraio ho tenuto una conferenza stampa a Milano per presentare il nuovo disco, Pugili fragili, e da quel momento non sono più andato a Firenze per evitare di esporli a inutili rischi» racconta Piero Pelù a Panorama. Parla dalla Puglia, dove è arrivato in pullman da Napoli la notte in cui è stato emanato il primo decreto per il contenimento del coronavirus. «Proprio in quelle ore cadeva l’anniversario dei miei 40 anni di carriera. L’8 marzo del 1980 ho tenuto il mio primo concerto», ricorda il primo vero frontman rock italiano.

La musica, l’arte la cultura: che cosa resterà dopo lo tsunami Covid-19?

Ci vorrà molto tempo per tornare a una sorta di normalità. Quello che sta succedendo nel campo dell’arte e dell’intrattenimento è una mazzata senza precedenti. Le grandi catene di dischi, libri e film, e i concerti, anche quelli programmati per maggio e giugno, vengono annullati uno dopo l’altro. Un massacro. Io sto stringendo forte i «gemelli del gol» sperando di riuscire a tornare dal vivo a luglio. Ho lavorato duramente per due anni a Pugili fragili (il disco che contiene Gigante, il brano presentato a Sanremo, tre milioni e mezzo di clic su Spotify; ndr) e adesso l’unica possibilità di ascoltarlo è lo streaming. Negozi chiusi, consegne a casa rinviate a tempo indeterminato Se ci penso, mi viene da snocciolare un rosario di parole impronunciabili (dice ridendo). Il giorno del «firmacopie» a Firenze, a fine febbraio, quando ancora non c’erano divieti stringenti, ho imposto a tutti fan di mantenere la distanza di sicurezza. Niente foto e selfie ravvicinati. Allora sembrava un eccesso di prudenza, ma col senno di poi…

Al di là degli eventi di queste settimane quanto è precario il mestiere di artista?

Gli artisti vivono di incertezze, siamo una delle categorie più precarie di sempre. Un giorno sei sugli altari e il giorno dopo ti ritrovi sul sagrato. Se tutto va bene.

Tornando al coronavirus, che prezzo sta pagando la sua Firenze?

Un prezzo altissimo anche perché la città dove vivo ha da tempo abdicato al suo patrimonio di artigianato e creatività per dedicarsi all’accoglienza del turismo mordi e fuggi. Non c’è da aggiungere molto altro, se non che questa tragedia avrà un’onda lunga e che per almeno un anno i turisti stranieri non si faranno vedere.

Pugili fragili è ispirato alla relazione con sua moglie Gianna (Fratta, direttrice d’orchestra), ma si presta anche a descrivere la condizione che stiamo vivendo.

Siamo tutti lottatori fragili, nel senso che basta un attimo per far emergere tutte le nostre debolezze. In una manciata di giorni il nostro mondo è stato ribaltato, ogni certezza è stata rovesciata. E adesso? Siamo pugili ancora più fragili, ma non dobbiamo commettere l’errore di chiuderci nell’angolo del ring della vita. Dobbiamo ricostruire ed è quello che faremo appena sarà possibile. Bisogna stare a casa per abbreviare i tempi della ripartenza. Non c’è altro da fare.

Lo scorso 14 settembre, il giorno del suo matrimonio, ha ripensato a quando nel 1990 cantava con i Litfiba «Il cuore no, no, non te lo do. L’anello no, no, scordatelo»?

Quel giorno non ci ho pensato, ma diciamo che adesso, per coerenza, quando canto Gioconda in concerto modifico il testo e dico «L’anello sì, sì, mettilo qui».

La sintesi della sua carriera sono due istantanee, due immagini di palchi inusuali. La prima all’interno di un circolo Arci fiorentino, la seconda nello studio di registrazione di Mina, a Lugano. Che cosa ricorda di quei due episodi?

Era l’8 marzo del 1980, il giorno del mio primo concerto in Via Maragliano a Firenze: arrivo e scopro che non c’è il palcoscenico. A quel punto, armato di spago, afferro i tavoli della tombola e li unisco. E così ho debuttato live davanti a parenti e amici. Quanto a Mina, beh quella è leggenda: ero in studio da lei e aveva appena finito di cantare Stay with me (il brano del 1999 in cui duettano, ndr). Lei, gasatissima, abbandona di corsa la cabina di regia e mi raggiunge in sala d’incisione urlando «Bravissimo, fortissimo, sensualissimo! Mamma mia… Sali sul pianoforte che ti faccio una fotografia». Per inciso, quel piano era appartenuto ad Arturo Benedetti Michelangeli. A quel punto prende la macchina fotografica, mi mette in una posa statuaria e mi immortala da dietro. Mi ha fotografato il culo… È meravigliosa, Mina. Con un’energia incontenibile.

Perché ha scelto di ricantare Cuore matto di Little Tony?

L’ho portata a Sanremo e l’ho incisa nel nuovo disco come un omaggio alla mia infanzia. Da bambino ero impazzito per quella canzone, quindi ho deciso di farne una cover potentissima, molto rock’n’roll. Ma andando oltre i ricordi degli anni Sessanta, ho scoperto, rileggendo con attenzione le parole, che si tratta del testo di un uomo abbandonato da una donna, che non sfoga la sua frustrazione su di lei, scegliendo di stare male fino a impazzire per poi rialzarsi e rinascere. Un gran bel messaggio…

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