Gli angeli custodi del Covid ci hanno reso il lockdown meno duro. Ma il loro lavoro troppo spesso è stato svalutato, privato di dignità. Ora, forse, qualcosa sta cambiando.
Durante la pandemia i «riders», quei giovani che in bicicletta o in motorino, freddo o caldo, piaggia o sole, neve o bel tempo, ci hanno consegnato a domicilio ogni ben di Dio, sono stati, in un certo senso, i nostri angeli custodi per ciò che da soli, soprattutto durante il lockdown, non avremmo mai potuto avere a casa. Cibi pronti, pizza a volontà, bevande, tutto ciò che ci ha fatto sentire meno duro quel tempo passato rinchiusi, tutto ciò che ci ha permesso di sentirci un po’ meno spersi in un momento così difficile e faticoso per noi e per le nostre famiglie.
A chi ha inventato questo sistema, ma soprattutto a questi ragazzi, non c’è che da plaudire. E poi qualsiasi attività economica che incrementi la ricchezza del Paese e che crei posti di lavoro non può che trovarci forti sostenitori e, per quanto possiamo, incentivatori di queste attività.
Ma c’è un «però». I lavori vanno bene se rispettano la dignità di un salario giusto e la sicurezza durante l’orario di lavoro. E qui, purtroppo, casca l’asino. Tant’è vero che nel febbraio scorso la pm Maura Ripamonti del Tribunale di Milano mosse una serie di contestazioni a varie piattaforme come Deliveroo, Glovo, Uber e Just eat. Fu fatta un’indagine che potremmo definire «dal basso», cioè attraverso mille questionari compilati con l’ausilio della polizia giudiziaria assieme ai singoli riders.
Si riscontrarono in quella occasione molti problemi: la mancanza di un’adeguata formazione alla sicurezza, che nel caso di questi lavoratori è spesso e volentieri messa a repentaglio dalle condizioni dell’asfalto e dal traffico, la mancata necessaria dotazione di caschi, giacche antipioggia e mascherine, la mancanza di adeguate visite mediche e di controlli di sicurezza sulle loro biciclette.
Alla fine, la maximulta per le società di delivery è scesa da 733 milioni a 90.000 euro, dopo che le stesse imprese hanno fatto investimenti nella sicurezza per 10 milioni di euro. Così i Carabinieri e la Procura hanno assicurato la garanzia di tutte quelle tutele previste da un decreto legislativo del 2008 ai riders. Obiettivo che sembrava irraggiungibile.
Naturalmente occorre anche ricordare a questi giovani che spetta al singolo rider, una volta che è stato correttamente informato, rispettare il Codice della strada «evitando» come scrivono Carabinieri e Procura «di passare con il rosso, fare lo slalom tra i pedoni sul marciapiede e usare tutti quei veicoli che il Codice della strada vieta».
Non stiamo parlando di quattro gatti, parliamo di decine di migliaia di persone che lavorano in questo settore. Sono nella stragrande maggioranza giovani che lavorano per permettersi lo studio e qualche svago, ma ci sono anche persone che vorrebbero farne il loro lavoro stabile e, quindi, ottenere quel che gli spetta e non pochi euro l’ora come è avvenuto troppo spesso in forme che somigliavano molto a quel mostro che si chiama caporalato.
È proprio ingiusto sfruttare quei giovani, non raramente stranieri, che si danno da fare e mostrano la schiena dritta lavorando a qualcosa che non rappresenta il loro ideale, ma solo un modo per guadagnarsi da vivere in maniera decente. In fondo non ne siamo stati avvantaggiati solo noi, durante il Covid, dal lavoro di questi ragazzi, ma anche molti ristoratori e fornitori che, in tal modo, hanno potuto in qualche forma resistere all’ondata del virus e trovare un salvagente a cui aggrapparsi.
Secondo le stime di alcune società del settore il mercato delle consegne a casa di cibo nel 2020 in Italia ha toccato i 900 milioni di euro, il doppio dell’anno precedente e quattro volte il fatturato del 2018. Si tratta dunque di imprese che molto hanno guadagnato, per cui dovrebbe scattare qualcosa nella coscienza morale di chi le possiede e di chi ne è alla guida. Infatti, la dignità di un lavoratore si misura certamente dalle condizioni di lavoro che devono essere adeguate a tutelare la sua sicurezza e la sua salute; ma si misurano anche con un altro metro, quello che fin dal Medioevo veniva chiamato il «salario giusto».
Un salario è giusto quando ciò che la persona guadagna è rapportato alle condizioni di lavoro, al rischio, all’usura che quell’attività comporta. E non lo si può stabilire in modo arbitrario – come spesso è ingiustamente avvenuto in questo settore – ma deve essere stabilito in relazione ad attività simili e con una retribuzione minima che non vada sotto la soglia stabilita per altri tipi di lavori.
Questo è uno dei casi in cui l’Europa ha fatto qualcosa di giusto; infatti, la settimana scorsa la Commissione ha pubblicato una direttiva che vincola gli Stati membri a rispettare condizioni di lavoro eque, diritti e protezione sociale per i lavoratori delle piattaforme digitali, tra i quali ci sono gli angeli custodi del Covid, i riders.
