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Vannacci: elogio della normalità (censurata dalla diversità)

Vannacci: elogio della normalità (censurata dalla diversità)

Un pensiero al di fuori dei canoni «mainstream», come quello riassunto dal volume del generale Roberto Vannacci, viene stigmatizzato dalle reazioni progressiste. Ma, leggendolo, è evidente che si rifà soprattutto a valori conservatori, senza le pericolose derive di cui lo accusano suoi detrattori «a prescindere». E la sua difesa di principi cristiani è evidente.


Che il mio articolo dello scorso numero su Panorama fosse profetico era impensabile, e invece è stato così. Avevo affrontato l’argomento partendo dal libro La religion woke di Jean-François Braunstein, pubblicato da Grasset in Francia, ma non in Italia. Scrivevo: «Dice Braunstein che “un’ondata di follia e di intolleranza sta sommergendo il mondo occidentale”. E ci invita a riflettere attentamente su questo attentato alla libertà di opinione che proviene da una specie di setta. E volutamente non parlo di adepti come persone, come sarebbe più corretto, ma proprio di un gruppo politico, e di tendenze culturali che si riconoscono in una nuova setta religiosa fondata su alcuni principi di base, pubblicamente dichiarati:

1) Abrogazione della famiglia nucleare.

2) Abrogazione della distinzione tradizionale maschio-femmina.

3) Abrogazione del sentimento religioso tradizionale.

Ma, a parte questi elementi, ciò che soprattutto inquieta è la dittatura della minoranza, il rimorso del diverso. Nel senso che la collettività deve sentire rimorso nei confronti dei diversi, come se la diversità o la fragilità fosse colpa dell’umanità che ogni giorno cerca di produrre per mantenere i propri figli». Ciò che ha annunciato Braunstein è accaduto, pochi giorni dopo, con il libro «maledetto», Il mondo al contrario, del generale Roberto Vannacci, che, in nome di sue convinzioni conservatrici, ha espresso opinioni ritenute inaccettabili, ribadendo la sua idea di «normalità» come comportamento della maggioranza, sulla base di valori condivisi. Si vorrebbe pensare che nella garanzia dei diritti non ci siano gerarchie, e che nessun libro si possa censurare, addirittura da istituzioni dello Stato con punizioni e destituzioni, naturalmente sostenute dall’opposizione.

Abbiamo visto che è riconosciuto legittimo dai vertici dell’esercito il matrimonio di due persone dello stesso sesso. È un affare privato ma si consente che l’unione si celebri in divisa. Non lo discutiamo ma, parimenti, dovrebbe essere ammesso, in un libro, affermare le proprie idee, tra l’altro legate a profondi principi cristiani, senza patire sanzioni. In caso contrario, come è avvenuto, non si fa altro che confermare le idee e i pensieri che si intende punire. Ogni posizione e ogni libertà, garantita dalla Costituzione, non dovrebbe essere censurata. E invece lo è stata.

Il pensiero progressista non dovrebbe autoritariamente mortificare e spegnere il pensiero conservatore. E invece lo spegne. Dopo il trattamento subito, il generale Vannacci potrà ancora scrivere e parlare o dovrà essere umiliato dalla dittatura della minoranza attraverso l’autorità dello Stato? In realtà, con buona pace di Marcello Veneziani, il pensiero conservatore è sconfitto. E non è questione di maggioranza. È il prevalere del costume e delle mode, in nome dei diritti delle minoranze, sui valori tradizionali.

Veneziani lo sa, ma stenta a riconoscerlo. Il pensiero conservatore è perdente anche con un governo conservatore, e anche se è condiviso dalla maggioranza. Veneziani argomenta: «Normale/Anormale non è una valutazione morale, etica ma una constatazione di fatto. Per anni, gli stessi movimenti omosessuali si appellavano ai diritti dei “diversi”, presupponendo che gli altri fossero i “normali”. Da sempre l’umanità, ma anche il regno animale, si riproduce e si perpetua con l’accoppiamento tra un maschio e una femmina; è la regola, normale e naturale e non c’è nessun sottinteso elogiativo o spregiativo nel dirlo. È la vita, la realtà e fa parte del senso comune; magari col tempo i numeri e i rapporti saranno invertiti».

Non «con il tempo», ma con lo spirito dei tempi, che trasforma le minoranze in vittime e le protegge, rendendole intoccabili, attribuendosi un senso di colpa per il solo essere maggioranza e averne comportamenti e consuetudini. Il libro rispecchia, aldilà di qualche sbavatura, le posizioni di molti elettori del centrodestra e, soprattutto, cosa che si è sottovalutata, quella della Chiesa e dello stesso Papa. Il giudizio della Chiesa sull’omosessualità è di piena comprensione e misericordia, ma resta critico e severo, senza la legittimazione dei diritti che uno Stato laico deve riconoscere, e uno scrittore cristiano, anche se generale dell’esercito, dovrebbe poter discutere. Ed è questo che ha fatto Vannacci. Lo scrittore per sua natura, non è mai «in servizio». L’ho imparato all’università da Italo Zannier, mio professore di Storia della fotografia, che ci esortava a non parlare di «servizi» fotografici. Il generale Vannacci, di cui ho letto il libro, mostra rispetto per le leggi e per la Costituzione, e ha semplicemente ribadito i principi che sono alla base del Concordato tra lo Stato Italiano e la Chiesa, ovvero della suprema indicazione, che riguarda anche un soldato, di un filosofo quale Benedetto Croce: «Non possiamo non dirci cristiani».

L’esaltazione della nostra religione è uno dei temi principali del libro di Vannacci, condiviso da tutti i cristiani obbedienti al Papa. Non dal governo. I tempi rendono indifendibili quei valori. Può tentare di sostenerli un prete,un generale no. Leggiamo il pericoloso sovversivo, e non troveremo incitazioni all’odio, ma riflessioni condivisibili. O dovremo pensare che bisogna amare stupratori e pedofili, e anche mafiosi? Vanno rispettati, per non fare come il generale Vannacci: «[…]Quando tutto si fa fluido, quando le certezze vengono messe in discussione, quando si sovverte l’ordine delle priorità, il passato diventa ingombrante e viene definito come antiquato, superato, retrogrado e, se non inutile, certo non adatto a fornire un punto di riferimento. Le tradizioni non contano; le abitudini sono deleterie; la consuetudine è un fastidioso impiccio; la civiltà diventa mutevole e le memorie si trasformano in una paccottiglia per nostalgici. Quello a cui assistiamo oggi, tuttavia, cambia nei metodi ma poco nella finalità. Il lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti giornalmente volto ad imporre l’estensione della normalità a ciò che è eccezionale e a favorire l’eliminazione di ogni differenza tra uomo e donna, tra etnie (per non chiamarle razze), tra coppie eterosessuali e omosessuali, tra occupante abusivo e legittimo proprietario, tra il meritevole ed il lavativo, non mira forse a mutare valori e principi che si perdono nella notte dei tempi? […] Quello che più allibisce è constatare che sono le stesse minoranze che sostengono questo abominevole trasformismo che prevaricano e sottomettono le masse con metodi cruenti e dittatoriali che spaziano dalla censura alla gogna mediatica, dall’evaporazione dai canali informativi sino a pretendere che i pubblici poteri si occupino delle opinioni, dei pensieri, dei pareri, degli ammiccamenti o delle predilezioni».

Così è avvenuto al libro di Vannacci, in perfetta corrispondenza con l’epigrafe di Benedetto Croce: «Strani questi italiani: sono così pignoli che in ogni problema cercano il pelo nell’uovo. E quando l’hanno trovato, gettano l’uovo e si mangiano il pelo». Continua Vannacci: «Un assalto alla normalità che, in nome delle minoranze che non vi si inquadrano, dev’essere distrutta, abolita, squalificata facendo in modo che il marginale prevalga sulla norma generale e sul consueto. Non sono il possessore di verità assolute. Credo sia molto difficile trovare qualcuno che lo sia». Lo sono quelli che vogliono impedirgli di parlare e fanno di un libro un affare di Stato. Si chiama censura. E non porta bene, se non al censurato.

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