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Bisogna sedersi intorno a un tavolo

Bisogna sedersi intorno a un tavolo

L’editoriale del direttore

È l’unico modo per fare la pace. Il resto sono dichiarazioni a uso di giornali e telegiornali e non servono a salvare nemmeno una vita umana.


Più la guerra si allunga e più la pace si allontana. Sembra un’ovvietà, ma non è così. Perché in un conflitto che non si ferma, aumentano le vittime e di conseguenza diminuiscono le possibilità di un armistizio. L’osservazione, che può apparire scontata, non è mia, ma di Volodymyr Zelensky, l’uomo simbolo della resistenza ucraina. Il quale, proponendo la ripresa dei colloqui con la delegazione russa per raggiungere un’intesa che porti alla tregua, ha detto che con la scoperta di «ogni nuova Bucha, di ogni nuova Mariupol e di nuove atrocità, scompare il desiderio e la possibilità di negoziare, così come la possibilità di risolvere questo problema in modo diplomatico».

Il problema da risolvere è la fine dell’invasione, il raggiungimento di un accordo di pace che ponga fine alle stragi, ma se il numero dei morti cresce, riuscire a convincere chi ha perso tutto, casa e parenti, è un’operazione impossibile. Chi lo spiega, a quell’ucraino con le mani imbrattate di sangue del figlio, che la sua uccisione non è servita a vincere, ma semmai a regalare un pezzo della sua terra all’invasore? Osservando che il tempo non gioca a favore della pace, Zelensky ha dunque detto una grande verità, dando la sensazione di ricredersi dopo settimane in cui, invece, aveva sostenuto altro. Nei primi due mesi del conflitto, il presidente ucraino infatti si era trasformato in una specie di propagandista della causa del suo Paese, apparendo sugli schermi di tutti i parlamenti occidentali per reclamare aiuti, ma soprattutto armi. «Dovete darci i missili e i carri armati per resistere» è stato il leitmotiv con cui ha accompagnato i suoi discorsi, spiegando che Kiev combatteva anche per Roma, per Parigi, per Berlino, per Londra e per Tokyo. Le armi sono arrivate, spedite per vie traverse da Europa e Stati Uniti. Tuttavia, malgrado l’esercito ucraino sia meglio equipaggiato, questo non basta a costringere Vladimir Putin alla ritirata. Sì, le truppe russe sono in una condizione di stallo e non riescono ad avanzare e conquistare l’Ucraina come avevano sperato. È vero, molti mezzi militari di Mosca sono stati distrutti e alcune navi affondate. Il numero di militari dell’Armata rossa deceduti non è noto, ma si parla di decine di migliaia. Però, nonostante Mario Draghi nella sua visita a Washington abbia detto che la Russia non è Golia e può essere battuta, la guerra continua e con essa si allunga anche la lista delle vittime. Finora, Kiev si è limitata a dare i numeri dei soldati di Putin caduti, forse nel tentativo di suscitare la reazione delle famiglie dei giovani scomparsi, ma non ha mai fornito ragguagli sulle proprie perdite che, immaginiamo, siano altrettanto consistenti. Già, perché malgrado gli eserciti siano forniti di molte armi tecnologiche, come i droni e i missili ipersonici, questa è una guerra tradizionale, dove le truppe vanno all’assalto dopo essersi guardate a vicenda per giorni. La fanteria si confronta e si scontra. Così come i mezzi corazzati, quelli aerei e navali.

Nonostante tutta l’elettronica e la tecnologia, sono i cannoni a decidere l’esito del conflitto. Perché se non vuoi perdere troppi soldati, devi radere al suolo intere città, spazzando via a colpi di obici la resistenza. Oppure devi lanciare missili a decine se non centinaia di chilometri di distanza, o anche spararli da un velivolo senza pilota. Sì, il conflitto si combatte con le sanzioni, con le misure economiche, con i sequestri di yacht e riserve depositate nei caveaux delle banche estere. Ma a deciderne l’esito restano sempre le bombe. Sarà una guerra lunga, dicono tutti gli analisti. Mosca non può vincerla, ma forse neppure Kiev può vincerla. Di sicuro, Putin non può perderla e neppure Zelensky. Non bisogna umiliare la Russia, dice Macron. Ma neppure l’Ucraina, che ormai è assurta a simbolo della libertà. Risultato, la lista dei morti si allunga e più si contano le vittime, meno si decide la pace. C’è una sola frase che ci è sembrata degna di interesse fra le molte parole spese durante la settimana trascorsa e a pronunciarla è stato Mario Draghi dopo la sua visita a Washington: Russia e Stati Uniti si devono sedere attorno a un tavolo. È l’unico modo per fare la pace. Il resto sono dichiarazioni a uso di giornali e telegiornali e non servono a salvare nemmeno una vita umana.

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