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In Europa è ora di parlare di tregua

In Europa è ora di parlare di tregua

L’editoriale del direttore

Il mio non è un cedimento di fronte a un dittatore criminale. È realismo. Quella tra Russia e Ucraina è una guerra che non si può vincere, né dall’una né dall’altra parte, prima o poi bisogna fermarla. Quando non ci sono né vincitori né vinti, sul campo di battaglia restano solo i perdenti.


Sono passati 18 mesi dal giorno in cui i carrarmati di Vladimir Putin hanno invaso l’Ucraina e oggi possiamo dire che quasi tutte le previsioni fatte, sia russe che occidentali, si sono rivelate sbagliate. Lo zar del Cremlino, quando decise di dichiarare guerra a Kiev, pensava di poter destituire in un giorno Volodymyr Zelensky, nominando al suo posto un presidente fantoccio. Le truppe di Mosca, secondo i calcoli dell’ex agente del Kgb, avrebbero con rapidità spazzato via ogni difesa e il Paese sarebbe tornato nell’orbita russa come ai tempi dell’Unione sovietica. Sono bastate poche settimane di combattimenti per rendersi conto che i calcoli erano stati fatti senza l’oste, che in questo caso non era l’ex comico prestato alla politica e neppure l’orgoglio e l’indipendenza di quello che un tempo era chiamato il granaio d’Europa. Il mescitore in questione si chiamava e si chiama Nato. O meglio Stati Uniti.

Putin non aveva messo in conto che dietro la linea di demarcazione che segnava il confine fra Russia e Ucraina non c’era più solo l’esercito di Kiev, la cui resistenza aveva già testato nel 2014, quando invase la Crimea, ma anche quello occidentale. Per anni gli ufficiali di collegamento americani hanno addestrato le truppe ucraine e per anni le hanno preparate a ciò che poi è successo. Joe Biden non lo ammetterà mai e lo stesso faranno il Pentagono e la Nato, ma la guerra ai confini dell’Europa era ampiamente immaginata e, secondo alcuni, forse addirittura cercata, per farla finita una volta per tutte con quello che un tempo era chiamato l’impero del male.

Sbagliati quindi, e clamorosamente, i calcoli di Putin, ma altrettanto fallimentari sono state le previsioni americane ed europee. Non so se ricordate i molti articoli in cui, all’inizio della guerra, si prevedeva che il sistema russo avrebbe dovuto alzare bandiera bianca sotto il peso delle sanzioni economiche. Sequestrando i patrimoni degli oligarchi e bloccando le transizioni finanziarie delle banche e delle grandi aziende russe, l’Occidente era convinto di veder collassare il sistema e di mettere lo «zar» con le spalle al muro. Ripassando con la memoria i molti articoli usciti sulla stampa nazionale, ma anche su quella internazionale, pareva poi che la soluzione di tutto consistesse nello stop al gas e al petrolio russo, dopo i tentativi falliti di escludere Mosca dal sistema Swift. Ci è voluto un anno e anche più, ma adesso è chiaro che né il sequestro di ingenti capitali detenuti nei caveau di compiacenti banche, né le sanzioni commerciali sono servite a mettere in ginocchio la Russia. Il Pil certo non brilla e il rublo soffre, ma alla fine anche i più ottimisti, quelli che fino a ieri si dicevano sicuri degli effetti a medio lungo termine delle misure prese per fermare l’avanzata dei carrarmati di Putin, hanno dovuto ammettere che qualche cosa non ha funzionato.

Dice bene un alto ufficiale esperto di equilibri internazionali: se nel passato l’Occidente non è riuscito a piegare l’Iran (ma neanche l’Iraq e nemmeno la Corea del Nord) con i blocchi commerciali, perché avrebbe dovuto farcela con la Russia? Domanda legittima, che per noi era presente fin dall’inizio, ma di fronte alla quale in tanti hanno fatto spallucce. Se si vuole dirla tutta, le sanzioni hanno fatto più danno a noi, nel senso di Europa, che a Putin, il quale ha trovato mille scappatoie (in Turchia, Armenia, India, Cina eccetera) per continuare a fare i suoi affari e vendere la propria merce. Ma se gli Stati Uniti e la Ue hanno sbagliato i conti economici del conflitto, hanno fallito anche nel prevedere un risultato positivo a favore dell’Ucraina. Ora lo possiamo dire. Per mesi abbiamo letto anticipazioni e previsioni circa la controffensiva di Kiev: il risultato è che alle soglie di una stagione in cui la battaglia rischia di finire nel pantano a causa delle piogge e delle temperature, l’avanzata si riduce a poche centinaia di metri, o nel migliore dei casi di qualche chilometro. Si stima che nel tentativo di riprendere il terreno perduto, in questo periodo siano morti più di 30 mila ucraini, un numero spaventoso che si somma a quello ancor più drammatico del primo anno di guerra, facendo arrivare il numero delle vittime a 100 mila, senza contare i feriti e i mutilati. Certo, dall’altra parte, cioè fra i soldati di Mosca, i caduti forse sono 70 mila in più, ma anche se fossero il doppio delle vittime che conta Kiev, che cosa cambierebbe? Nulla, perché la contabilità dei decessi, in un Paese come la Russia, non muterebbe di un centimetro la linea del Cremlino.

L’Occidente ha sperato che Putin avesse il cancro e stesse per tirare le cuoia e, a un certo punto, ha perfino desiderato che un colpo di Stato dello sgherro della Wagner lo destituisse, quasi che bastasse liberarsi di lui, per via di una malattia o di un golpe, per liberarsi dell’incubo di una terza guerra mondiale. Ricordate quando, dopo il tentato putsch di Yevgeny Prigozhin, la grande stampa scrisse che lo zar era più debole e isolato, lasciando intendere che fossero gli ultimi giorni prima della caduta dell’impero? Beh, era un’illusione. Putin, purtroppo, non è stato spazzato via e grazie alla debolezza europea, ma anche all’astuzia di una serie di Paesi canaglia, continua a finanziarsi con il petrolio, il gas, il grano, l’oro e i fertilizzanti. Ed è per questo che dopo 18 mesi di guerra, dopo centinaia di migliaia di persone uccise o mutilate, dopo un’infinità di miliardi spesi per sostenere la corsa agli armamenti e alle munizioni, dobbiamo fare i conti. Un conflitto non può continuare all’infinito, anche perché dopo un anno e mezzo gli slovacchi e i polacchi non hanno più intenzione di sostenere la causa ucraina per un altro anno. E tentennamenti, come è noto, si registrano anche in America, dove i repubblicani non vogliono rifinanziare la spesa in armamenti, e persino in Italia. So che non è facile, ma in Europa, è ora di parlare di tregua. Il mio non è un cedimento di fronte a un dittatore criminale. È realismo. Una guerra che non si può vincere, né dall’una né dall’altra parte, prima o poi bisogna fermarla. Quando non ci sono né vincitori né vinti, sul campo di battaglia restano solo i perdenti. E più si combatte, più il numero di morti cresce. So che in molti non vogliono sentire discorsi del genere, ma negli ambienti che contano queste cose non solo si pensano, si dicono.

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