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Teastacoda autostradale

Teastacoda autostradale

L’editoriale del direttore

Il braccio di ferro iniziato da Giuseppe Conte con i Benetton avrà come conseguenza un salasso per le casse pubbliche.


Nei giorni scorsi ho toccato con mano la situazione delle autostrade, in particolare di quelle liguri. Ore di code per superare cantieri, molti dei quali senza traccia di operai al lavoro. Perché per fare gli interventi di manutenzione si sia aspettata la stagione di maggior traffico turistico è un mistero che al momento la ministra Paola De Micheli non è riuscita a svelare.

Durante il lockdown, con gli italiani chiusi in casa e la circolazione ridotta al minimo, sarebbe stato possibile eseguire tutti i controlli senza creare alcun disagio. Ma, inspiegabilmente, le regole per valutare gallerie e viadotti sono state rilasciate dagli ispettori ministeriali solo alla fine di maggio, cioè quando il periodo estivo si stava per aprire. Nessuno sa spiegare le ragioni del ritardo, nonostante le condizioni della rete autostradale fossero emerse in tutta la loro drammaticità nell’agosto di due anni prima, con il crollo del ponte Morandi.

Ci voleva tanto a emanare le direttive per evitare stragi come quella del 14 agosto del 2018? Che motivo c’era di aspettare di cominciare i lavori tra giugno e luglio in una regione che dal turismo ricava gran parte del proprio Pil? Invece di illuminarci sulle ragioni della scelta di attendere quasi due anni e di concentrare gli interventi nel periodo di maggior traffico, massimizzando dunque i disagi, tra il ministero e la concessionaria è iniziato lo scaricabarile.

Per il primo le colpe sono esclusivamente di Autostrade per l’Italia, ossia dell’azienda controllata dalla famiglia Benetton, mentre per la seconda il ritardo sarebbe esclusivamente da addebitare al cambiamento delle regole a ridosso delle vacanze, una decisione che avrebbe costretto Aspi a rifare tutti i controlli già effettuati nei mesi precedenti. Il botta e risposta è andato avanti per settimane senza che qualcuno si decidesse a metter mano alla situazione, evitando gli ingorghi.

Fin qui siamo nella regola dei pasticci all’italiana, dove individuare un responsabile è quasi sempre impossibile. Ma nel caso in questione si è andati oltre, perché la vicenda si intreccia con la decisione di estromettere la famiglia di Ponzano Veneto dalla gestione della rete autostradale. Paola De Micheli, forse per dimostrare di non essere rimasta con le mani in mano, alla fine di luglio ha annunciato che il ministero avrebbe fatto causa ad Aspi, chiedendo i danni per i disagi provocati. Non so se questa citazione arriverà in tribunale o si fermerà, come appare assai probabile, alle agenzie di stampa.

Di certo, a chi è rimasto in coda per ore, sotto il sole, non arriverà alcun risarcimento. La causa tuttavia ha anche un aspetto paradossale, perché il presunto danneggiato, ossia lo Stato, se l’iniziativa giudiziaria andasse avanti rischierebbe in qualche modo di dover pagare, mentre i presunti responsabili del danno, ossia i Benetton, se ne potrebbero infischiare. Infatti le bellicose dichiarazioni del ministro delle Infrastrutture si scontrano con un passaggio fortemente voluto dal governo, ovvero l’uscita del gruppo veneto dall’azionariato di Autostrade per l’Italia.

Dopo aver minacciato la revoca della concessione, Giuseppe Conte ha optato per una complessa operazione che vedrà l’ingresso in Aspi della Cassa depositi e prestiti, ovvero della società di gestione del risparmio postale, che dell’esecutivo è il braccio finanziario. In pratica, Cdp investirà in Autostrade, subentrando nel controllo, poi l’azienda sarà scorporata e nuovi investitori prenderanno il posto dei Benetton, ma sempre con lo Stato, cioè Cassa depositi e prestiti, alla guida.

Come è facile arguire, se davvero il ministero farà causa ad Aspi per i disagi provocati in Liguria e altrove, la farà dunque a se stesso, perché grazie all’uscita di scena della famiglia di Ponzano voluta dal governo, quando e se ci sarà un giudizio, la controparte sarà sostanzialmente il ministero dell’Economia. Cioè, se si arrivasse davvero in tribunale, potremmo assistere a un indiretto confronto fra Roberto Gualtieri e Paola De Micheli.

Se ho deciso di raccontare questo autentico testacoda dell’esecutivo è per due motivi. Il primo è per dimostrare che le conseguenze del braccio di ferro iniziato da Giuseppe Conte con i Benetton finirà per le casse pubbliche in un salasso. Ricomprare Autostrade significa farsi carico dei nove miliardi di debiti che l’azienda ha contratto, più altri 14 miliardi e mezzo di investimenti per migliorare la rete stradale. Dal punto di vista economico, non si tratta proprio di un affare, soprattutto se il governo terrà fede (ma in pochi lo credono) alla promessa di ridurre i pedaggi: le tariffe più basse infatti non consentirebbero di rientrare dei soldi spesi per ammodernare ponti e gallerie.

Ma c’è anche un altro motivo che mi ha spinto a riprendere in mano la faccenda ed è la demagogia della politica, dove l’azione dell’esecutivo si esaurisce in un tweet o in un lancio di agenzia. Non serve fare, basta dichiarare. Tanto nessuno poi si preoccupa di verificare se la promessa è stata mantenuta e se all’annuncio è seguito qualche cosa di concreto.

Forse ha ragione Rocco Casalino, il portavoce del presidente del Consiglio, che giorni fa ha spiegato come la memoria dei giornalisti sia incredibilmente corta. Dopo 48 ore, nessuno di loro si ricorda più di ciò che ha scritto. Dunque il politico può dire ciò che vuole, tanto nessuno, in tv o sui giornali, gli chiederà mai conto di ciò che ha detto, né tantomeno lo dipingerà per quel che è: un bugiardo.

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