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Il tassello «anziani» nel puzzle familiare

Il tassello
«anziani» 
nel puzzle
familiare

La presa in carico di chi è in età avanzata da parte dello Stato è cruciale. Gioverebbe anche al nucleo primario su cui si basa l’intera società.


Gli anziani in Italia saranno sempre di più, e lo sappiamo, ma oltre a questo c’è il fatto che saranno sempre di più le persone in età non autosufficienti e, come ha scritto giustamente Ferruccio De Bortoli, «in una società che purtroppo invecchia sempre più, il crescere della fragilità si accompagna alla perdita della dignità, alla cancellazione della cittadinanza». L’ex direttore del Corriere della Sera e del Sole-24 ore ha centrato in pieno la questione perché ha trasformato i freddi numeri in ciò che essi significano da un punto di vista esistenziale per gli anziani di questo Paese.

L’anziano (uomo o donna che sia) è una persona che generalmente ha lavorato, ha formato una famiglia, ha tirato su i figli, talvolta li mantiene anche ora che è anziano perché sono disoccupati o fannulloni, ma sempre figli rimangono. Insomma, sarebbe uno cui dovrebbe essere riconosciuto il diritto di vivere serenamente la parte matura della vita, non in forza di quel che ha fatto per sé, ma in forza di quello che ha compiuto per lo Stato e la società facendo da padre, da madre, da lavoratore e lavoratrice e avendo versato, nell’arco della sua vita, quote spesso immani di tasse nelle casse dello Stato. È una fragilità, quella anziana, che andrebbe sostenuta economicamente ma anche socialmente, che dovrebbe permettere alle persone che ne fanno parte di vivere senza dover pensare a procurarsi l’essenziale.

Sono persone cui dovrebbe essere riconosciuta, valorizzata, motivata la dignità dell’essere in là con gli anni, alle quali la società deve molto per tante ragioni: il contributo economico, educativo, sociale e valoriale che hanno dato. In parole semplici, dovrebbe essere il periodo della vita in cui viene loro restituito almeno un po’ di quel tanto che hanno «regalato» negli anni in cui lo potevano fare. Purtroppo, questo spesso non avviene e, se avviene, è in modo insufficiente, con poca dignità, in alloggi fatiscenti, privi di quei minimi spazi di socialità che l’essere anziano richiede più che quando si è giovani. Altrimenti c’è sofferenza, solitudine, difficoltà a campare e ad arrivare a fine mese.

Io sono testimone, per la mia professione televisiva, di tutto ciò. Lo testimonio da anni, lo rappresento, ne faccio discutere, ma ho visto che ben poco si va nella direzione di un maggiore rispetto della loro dignità. Si sta lavorando, dal governo Draghi a quello Meloni, alla prima riforma nazionale di assistenza agli anziani. In Germania lo hanno fatto nel 1995 e in Spagna nel 2006, ce lo dice il professor Cristiano Gori, docente di Politica sociale all’Università di Trento e coordinatore del «Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza»: vi aderiscono 56 associazioni che vanno, per intenderci, dalla Caritas ai sindacati. È sempre lo stesso Gori che ci informa che in Italia vivono poco meno di tre milioni e 800 mila persone anziane non autosufficienti. Diventeranno 4,4 milioni nel 2030 e 5,4 milioni nel 2050.

Solo il 6,3 per cento di questi anziani è ospitato in una struttura residenziale, soprattutto persone di oltre 85 anni spesso affette da fenomeni di demenza. Lo 0,6 per cento vive in centri semi-residenziali. Il 21,5 per cento beneficia di servizi di assistenza domiciliare, ma ciascun anziano, in media, per sole 15 ore l’anno. Il 26 per cento è aiutato da una badante, ovviamente a pagamento. Il 45,6 per cento è affidato alla cura dei familiari, nel 71 per cento dei casi a una donna e, come afferma ancora il professor Gori, «questo spiega come la mancanza di servizi di cura adeguati limiti la partecipazione al lavoro di oltre un milione di donne».

Il dato appena citato ci dice una cosa molto chiara: ben venga una riforma sull’assistenza agli anziani ma siamo consapevoli che essa è solo un tassello, pur importante, di tutto ciò che andrebbe fatto per la famiglia; che, secondo la Costituzione, almeno fino a oggi rappresenta il nucleo fondamentale della società.

Perché diciamo questo? Perché la famiglia è come un puzzle, non puoi occuparti soltanto di uno dei suoi componenti, altrimenti la figura finale del puzzle non torna, ed esattamente così è la situazione della famiglia in Italia: mancanza di supporti per donne che lavorano sia sul luogo dell’impiego sia a casa (si chiama rapporto maternità-lavoro), questione anziani, appunto, questione malati di mente, questione invalidi non anziani, questione tasse pagate da una famiglia nella stessa misura di un single, ecc. ecc.

Speriamo che il governo porti avanti le sue intenzioni di riforma almeno in questo settore.

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