Una rivista che ha messo insieme «strisce» straordinarie – da Charlie Brown a Corto Maltese ai personaggi di Andrea Pazienza – con firme inaspettate come Umberto Eco. Linus ha rispecchiato inquietudini e nuovi linguaggi tra anni Sessanta e nuovo Millennio. E oggi il suo percorso continua.
Posso dire con orgoglio che non avrei immaginato, da ragazzo, quando vedevo spuntare la prima copia di Linus che ebbe fin da subito patina e autorevolezza, che un giorno sarebbe entrato direttamente, come un parente, nella mia famiglia. Nella coraggiosa impresa de La Nave di Teseo, la casa editrice fondata da Umberto Eco e da mia sorella Elisabetta, rientra infatti anche questo mensile, che era nato nel 1965, campione di libertà quando io ero chiuso nel carcere del Collegio salesiano «Manfredini» di Este.
Le mie inquietudini, il mio spirito di ribellione che si è configurato come un carattere distintivo negli anni, partono di lì, per trovare la loro piattaforma naturale nel 1968. Il mondo nuovo, per un giovane, aveva iniziato a scatenarsi poco prima, nel 1960, con i Beatles e Bob Dylan, che inizia a scatenarsi nello stesso 1965 con Subterranean homesick blues. Il primo riflesso in Italia di questi nuovi costumi, che trovano nella musica la loro cifra, è Adriano Celentano che era partito anche più indietro, in coppia con Little Tony, con Ventiquattromila baci nel 1961. Anche Celentano ha il suo momento di liberazione e ribellione politica nel 1966 con Il ragazzo della via Gluck: un passaggio epocale che, con una efficacia comunicativa insuperabile, avrebbe aperto la strada anche alle riflessioni di Pier Paolo Pasolini.
Il ragazzo della via Gluck suscitò l’interesse di Pasolini che progettò di trarre un film dal testo della canzone, con Celentano protagonista, per rappresentare la nuova condizione urbana che stava soffocando la cultura contadina. Il regista e Celentano si incontrarono spesso; il progetto però non andò in porto. Troppo diversi i caratteri, ma identica la visione, tant’è che Pasolini è l’unico scrittore italiano di cui si ricordi e si senta viva la visione. Questa dichiarazione di protesta vale per un’altra canzone dello stesso momento, Nessuno mi può giudicare, inizialmente destinata ad Adriano Celentano e poi interpretata da Caterina Caselli.
Nella mia personale esperienza rientra anche, a rispecchiare la mia condizione in collegio, Ragazzo triste interpretata da Patty Pravo nel 1966. Per me ebbe la stessa influenza della lettura di Cesare Pavese. Ecco allineati in quell’arco di tempo i testi e le idee di riferimento, che hanno il loro corrispettivo figurativo, libero e immediato nella condizione esistenziale illustrata da Linus.
Il nome venne scelto riferendosi a uno dei personaggi principali dei Peanuts, celebre striscia a fumetti, in quanto «è un personaggio pieno di fantasia, è simpatico e ha un nome facile da dire e da ricordare». La semplicità non ha rivali. Nel primo numero l’editore Gandini così presentò la nuova testata: «Questa rivista è dedicata per intero ai fumetti. Fumetti s’intende di buona qualità, ma senza pregiudizi intellettualistici. Accanto alle storie e ai personaggi più moderni e significativi come i Peanuts (…), la rivista intende presentare fumetti di avventura, classici per l’infanzia, inediti di giovani autori. L’unico criterio di scelta di questa “letteratura grafica” è quello del valore delle singole opere, del divertimento che ne può trarre il lettore, oggi; non quello di un interesse puramente documentario o archeologico. I classici della storia del fumetto che pubblicheremo saranno solo quelli veramente originali e ancora validi oggi, verificati a una lettura il più possibile disinteressata, scevra di mitologie. Cercheremo poi di presentare al pubblico italiano quei fumetti che ancora non conosce, di rivelargli tempestivamente le nuove scoperte di tutto il mondo, di tenerlo informato su quanto avviene e si dice in questo campo».
Nel primo numero compariva anche, nella prima pagina, un’intervista di Umberto Eco a Elio Vittorini e Oreste Del Buono fatta presso la libreria della moglie di Gandini, incentrata su «una cosa che riteniamo molto importante e seria, anche se apparentemente frivola: i fumetti di Charlie Brown». Da lì tutto parte, con una dose di sana esterofilia. Si trattava di un fumetto ben diverso dai classici della nostra infanzia: Topolino, universale con la gamma dei suoi personaggi, la cui storia coincide con il tempo totale della mia vita, e Diabolik, che era nato solo in Italia con una straordinaria forza eversiva tre anni prima di Linus, nel 1962, grazie alla formidabile intuizione di Angela e Luciana Giussani.
Passano gli anni, si scavalca il Sessantotto; e, nel 1972, la rivista è ceduta alla Rizzoli, insieme a tutta la casa editrice; e la direzione della rivista passa al giornalista e scrittore Oreste Del Buono, mentre conquista una posizione assolutamente centrale nel panorama del fumetto e della cultura italiana. In questo periodo la testata arriva a vendere 110 mila copie al mese. Si aggiungono autori come Georges Wolinski, Jean-Marc Reiser, Gérard Lauzier, Copi e nuove serie a strisce americane come Crock e Beetle Bailey, oltre a creazioni di autori italiani come Corto Maltese di Hugo Pratt, le illustrazioni con il personaggio di Cipputi di Altan o le serie di Lunari e Filippo Scozzari, Renato Calligaro, Perini e Pericoli, o le sapide vignette di Vincino e Vauro.
Linus accompagna la nostra vita. Cresce con noi. Ai primi anni Ottanta arruola Andrea Pazienza ed Elle Kappa, Bobo di Staino, Ciacci di Alfonso e Cascioli. Oltre ai fumetti compaiono articoli di autori e giornalisti come Saverio Tutino, Michele Serra, Giampaolo Spinato, Pier Vittorio Tondelli, Stefano Benni, Alessandro Baricco, Omar Calabrese. La realtà e le inquietudini della nostra generazione si rispecchiano lì. Ed è con Linus che avanza la coscienza che il fumetto possa essere arte. Una benedizione di Oreste Del Buono e Umberto Eco, prevedibili. Ma anche di Elio Vittorini che, sorprendentemente, nell’immediato dopoguerra, aveva pubblicato Popeye e Barnaby, due fumetti su Il Politecnico, essenziale rivista di politica e cultura.
La forza dei personaggi di Linus, da Charlie Brown a Snoopy a Schroeder a Pig Pen, ricorda quella che, partita nello stesso tempo, in America, nei primi anni Cinquanta, non finì di influenzare e caratterizzare generazioni, fino al nostro tempo. Mi riferisco al Giovane Holden di J.D. Salinger che, concepito nel 1951, ha continuato ad accompagnarci, senza esaurirsi nella propria epoca. A maggior ragione il fumetto non invecchia e Linus si spinge, senza cedere, fino alla fine del Millennio quando, nel 1995, la testata viene rilevata da Baldini&Castoldi. Nel 2017 entra in casa nostra quando Baldini &Castoldi è acquistata da La Nave di Teseo, e la direzione della rivista è affidata al grande disegnatore Igort.
Ormai è storia. Ma è la nostra storia in 690 numeri. Ce lo dice seriamente Stefania Rumor con molta serietà: «Aveva già segnato la storia della cultura italiana, Linus, e anche quella politica, spalleggiando tutto quel che di innovativo e rivoluzionario si andava sviluppando nella società in termini di linguaggi, identità culturali, ricerca, compresa la carica creativa dei movimenti studenteschi saldata con le nuove istanze del movimento operaio».
Ora, trionfalmente, Linus entra al Mart, nella sede storica e nobile di Palazzo delle Albere. Quella storia cominciata nel 1965, con la irrimediabile malinconia di un ragazzo triste chiuso in un collegio, non si capisce bene perché, culmina con la celebrazione della rivista che è cresciuta con lui, e oggi la ospita da presidente di un grande museo per raccontare la storia della sua generazione. n
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