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La Via Crucis del Sinodo

La Via Crucis del Sinodo

In autunno si tiene l’assemblea mondiale dei vescovi. Bergoglio deve evitare che si trasformi in una verifica del pontificato. ma i tedeschi, che perdono fedeli, minacciano lo scisma.


Disse: «Io sono la via, la verità e la vita». Così Cristo nel Vangelo di Giovanni a un (San) Tommaso incredulo e preoccupato che lo interroga: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Da lì dovrebbe partire il Sinodo, che significa camminare insieme. Jorge Mario Bergoglio, appena asceso al soglio di Pietro, ordinò al cattolicesimo di essere una chiesa in uscita. Ma da cosa e verso dove? Il fronte più tradizionalista radicato tra America, Francia, in parte in Italia dove la normalizzazione bergogliana non si è del tutto compiuta nonostante la nomina del cardinale Matteo Zuppi a capo della Cei, risponde: verso l’eresia. Dopo dieci anni di questo pontificato che ha cancellato il «vetus ordo» proibendo la messa in latino, il fronte tradizionalista nonostante sia orfano di Joseph Ratzinger, di monsignor Carlo Caffarra, del cardinalissimo George Pell e conti ormai sulla voce potente di Gerhard Müller e di Leo Burke – non a caso entrambi cardinali tedeschi – annuncia che il Sinodo sarà un pre-conclave e prepara per Francesco una via crucis dottrinaria. L’arcivescovo «ribelle» e già nunzio apostolico negli Usa Carlo Maria Viganò ha fondato l’Associazione Exsurge Domine per difendere i religiosi «vittime dell’epurazioni bergogliane». Il primo iscritto forse sarà padre Georg Gänswein, il custode dei segreti di Benedetto XVI che Francesco ha esiliato senza alcun incarico a Friburgo dove è stato accolto con una freddezza ai limiti dello stalking. Il fronte ultra-progressista che si è radicato tra Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo replica: camminiamo verso il mondo. Il capo dei vescovi tedeschi Georg Bätzing ha ammonito: obbligo di fedeltà alla Chiesa, non al Papa.

E la chiesa più numerosa e la sola in espansione, quella africana, che dice? Non accetta l’idea che il Vangelo sia a geometria variabile. Sono i sudamericani a spingere verso una sorta di animismo cattolico (resta ancora un mistero perché Francesco abbia alzato agli onori dell’altare la Pacha Mama, la dea pangea degli Inca): le radici della teologia della liberazione ora sono in Amazzonia. Saranno i vescovi del Sud del mondo a decidere se Roma debba tornare alla dottrina antica o se il Vaticano si deve trasformare in una Onlus. Francesco è consapevole del rischio che si corre nella prima assemblea generale del Sinodo (dal 4 al 29 ottobre di quest’anno con replica nel 2024) che di fatto è un pre-conclave e così si blinda azzerando del tutto l’eredità di Joseph Ratzinger e dando il via a una sorta di cerchiobottismo dottrinale: preti sposati forse, donne sacerdote no, ma diaconato e tanto potere a loro, benedizione dei gay risolta con «chi sono io per giudicare?» e piuttosto che occuparsi di teologia meglio parlare degli ultimi, o dell’emergenza ambientale. Ci sarà tra le righe anche un’accusa per la perdita di peso politico della Santa Sede. Il flop rimediato da Matteo Zuppi – cardinale di Bologna, da molti dato per papabile – nella missione di pace in Russia brucia e il colloquio con Kirill (il patriarca dei russi ortodossi, garante di Vladimr Putin) non è sufficiente a placare la fronda. Così come in Cina continua la persecuzione verso Joseph Zen Ze-kiun e arrivano nuove richieste di aiuto dei cattolici in dissenso con l’accordo che il segretario di Stato Pietro Parolin ha stretto con Xi Jinping.

Tutte faccende che trasformano l’assemblea dei vescovi, dove però voteranno anche 70 laici di cui 35 donne e non era mai successo prima, in una sorta di Congresso Vaticano. Bergoglio lo sa e dopo aver messo a tacere padre Georg ha fatto un’altra mossa a sorpresa finalizzata a sterilizzare l’opposizione sinodale. Ha nominato Víctor Manuel Fernández, detto Tucho, Prefetto della Fede, il dicastero dove si custodisce l’ortodossia teologica cattolica, il luogo da dove Joseph Ratzinger ha illuminato per decenni la fede. Bergoglio ha fatto fuori il cardinale spagnolo Luis Francisco Ladaria Ferrer che ha usato per escludere Gerhard Müller (il potente cardinale tedesco baluardo contro la deriva mondialista della chiesa di Germania) dal Sant’Uffizio dove era succeduto a Benedetto XVI. La nomina di «Tucho» Fernández ha scatenato ferocissime polemiche in Vaticano. Questo cardinale argentino è il più stretto collaboratore di Bergoglio, ne è il ghost writer e a Francesco deve tutto: lo ha messo a capo dell’Università Cattolica di Buenos Aires (nonostante le perplessità di Roma), lo ha nominato arcivescovo di La Plata e ora lo ha portato al più delicato dicastero nonostante su di lui penda l’ombra di aver coperto gli abusi di un sacerdote. Tucho è famoso per aver scritto Saname con tu boca, un saggio molto documentato – e ci si chiede come sia possibile – sull’arte del bacio.

In Argentina lo chiamano il Besuqueiro (il baciatore) o Tucho besame mucho. Con lo stesso ardore ha steso due encicliche di Bergoglio che sono alla base del percorso sinodale: Evangelii gaudium e Amoris laetitia, che in Argentina, sapendo delle inclinazioni di Tucho, traducono con «gli amori di Letizia». Fernández nella sua teologia è un assertore del matrimonio a termine, della grazia graduale (si può peccare a rate), della sessualità libera. È uno dei principali padri sinodali. Prenderà servizio come interprete autentico della dottrina – per lui è accogliere tutti compresa la possibilità della comunione ai non battezzati- il primo di settembre, giusto in tempo per risparmiare al Papa di dover fare i conti con i vescovi tedeschi. Sono su posizioni poco conciliabili con la tradizione cattolica. Il loro documento finale che il potentissimo cardinale di Monaco Reinhard Marx – tiene anche i cordoni della borsa del Vaticano, argomento su cui è molto sensibile il Papa – ha incoraggiato cinque condizioni: preti sposati, donne sacerdote, benedizione e matrimonio delle coppie omosessuali perché – è scritto nel documento – «il magistero della Chiesa non può ignorare varianti non binarie», sacramenti ai divorziati, sostanziale autocefalia delle chiese locali.

È un progetto di fatto scismatico quello che è riassunto nel documento Synodale Weg, passato con 38 sì, 13 astensioni e 7 contrari, tra i quali il cardinale Walter Kasper che si è chiesto: è tutto cattolico ciò che c’è scritto in quel documento? Di rimando il capo dei vescovi tedeschi Georg Bätzing ha replicato: «La nostra azione non cambierà». Müller ha rincarato: «Non sarà più Roma a dirci quello che dobbiamo fare qua». Molte chiese locali del Nord Europa li stanno seguendo; il vescovo di Anversa, Johan Bonny, ha già dato corso alla benedizione delle coppie omosessuali. La chiesa di Germania – misura i fedeli perché ci si deve iscrivere versando un contributo – però sta continuando a perdere fedeli. Lo scorso anno oltre 520 mila cattolici hanno abbandonato (meno 2,2 per cento rispetto al 2021) il che significa anche meno soldi.

Francesco perciò sta cercando di aggiustare il tiro sulle pretese dei tedeschi con una doppia manovra. Con il Besuqueiro dal Sant’Uffizio dirà che alcune aperture soprattutto sull’omosessualità sono compatibili con la dottrina, e tenterà di cloroformizzare il Sinodo. L’incarico per questa operazione è nelle mani di un altro fedelissimo di Bergoglio: Jean-Claude Hollerich. È il cardinale del Lussemburgo, una chiesa di appena 600 mila fedeli, ma ricchissima. Lui per primo ha detto «Francesco è forte e non si dimetterà mai, la Chiesa però deve cambiare: dire sì ai preti sposati, alla benedizione degli omosessuali, e sulle donne sacerdote occorre riflettere». Posizioni che sono più avanti di quelle di Bergoglio, ma a Hollerich, che sarà il relatore dell’assembla sinodale di ottobre, si chiede di mediare. Lui stesso ha detto: «Siamo chiamati a tracciare una rotta comune». Il rischio è che il Sinodo si traduca in una verifica del pontificato di Francesco. Il Papa vuole evitarsi questa via crucis. Ha azzerato i ratzingheriani, ha blindato il Sant’Uffizio e trasformerà il documento sinodale da Instrumentum laboris in Instrumentum regni.

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