Tra Scicli, Noto e Modica rinasce la Sicilia. Chi ha letto Il Gattopardo immagina, con desiderio di conoscerlo, i palazzi dove sono ambientate, tra Palermo e Palma di Montichiaro, le vicende umane del principe di Salina e gli amori di Tancredi e Angelica. Ma di quei luoghi non trova memoria se non, allusiva e rarefatta, nella bella casa del figlio adottivo del principe, Gioacchino Lanza Tommasi, e in Palazzo Ganci, di difficile accessibilità, dove Luchino Visconti girò l’episodio del ballo nel Gattopardo.
Restauri e passioni di privati hanno consentito la riapertura di Palazzo Butera, con le straordinarie collezioni di Massimo Valsecchi, e di Palazzo Mazzarino, dove i baroni Berlingeri hanno raccolto le loro collezioni antiche e moderne, da Jusepe de Ribera, a Giovanni Boldini (il mitico ritratto di Franca Florio), a Damien Hirst.





A Catania resta imperdibile Palazzo Moncada di Paternò dove io, giovane viaggiatore innamorato della Sicilia, andavo a trovare Annalisa Moncada, che ha scritto il bellissimo L’anno venturo al di là del mare, che raccontava del viaggio dei principi di Paternò verso il santo sepolcro restando nelle interminabili stanze della loro casa, fino a coprire la distanza tra Catania e Gerusalemme senza compiere il percorso reale.
Ricordo il bel libro, edito da Longanesi nel 1981, con uno splendido disegno di Domenico Gnoli in copertina. Scendendo da Catania verso Ragusa, resta mitico il Palazzo Arezzo di Donnafugata di Ragusa Ibla, con una preziosa quadreria e ambienti di atmosfere preservate dalle cure della famiglia DiQuattro che ha espresso un’ottima scrittrice, Costanza. E lei, ai luoghi dei Donnafugata, ha dedicato un libro intenso e vivo. Donnafugata è un casato, tra i più antichi di Ibla, che di quelle terre e di quei giorni esprime gioie, patimenti e futuro. Alla sua testa c’è il barone Corrado Arezzo De Spucches, di cui il libro è quasi un diario privato. A Siracusa troviamo Palazzo Beneventano del Bosco, di cui ricordo l’ultima erede, rivestita di tempo, tra specchi e stucchi, come se anche lei, vestita di nero, facesse parte degli arredi.
Oggi, tutto quello che vi ho sommariamente ricordato, esperienza di tanti viaggi, trova una singolare sintesi nella resurrezione di Noto, che iniziò ben prima che il Val di Noto diventasse, in conseguenza del crollo della cattedrale, Patrimonio dell’Umanità, con Modica, Palazzolo Acreide, Ragusa e Scicli. Eravamo sul finire degli anni Settanta quando Luisa Beccaria convinse il principe Lucio Bonaccorsi, suo marito, a far restaurare il Borgo del Castelluccio, luogo abbandonato e meraviglioso nascosto tra i monti Iblei e la costa del siracusano. Ne iniziò così la resurrezione nei primi anni Ottanta, che io vidi, di giorno in giorno, come l’anima di una Sicilia orientale destinata a rivivere nella consapevole bellezza tra Siracusa e Ragusa e, meglio, tra Ortigia e Ragusa Ibla.
Frattanto, in quei luoghi, tra Scicli e Modica, dove era nato Salvatore Quasimodo, un pittore sensibilissimo come Piero Guccione indicava una strada nuova nella pittura di paesaggio, diventata pensiero e condivisa tra un gruppo di artisti che io denominai Scuola di Scicli (non gruppo): Sonia Alvarez, Franco Sarnari, Carmelo Candiano, Franco Polizzi, Salvatore Paolino, Giuseppe Colombo, Giuseppe Puglisi, Pietro Zuccaro. Lentamente, ritornava in quei luoghi una spiritualità siciliana altrove indifesa o inquinata dalla speculazione, dalla mafia e dalla violenza. Quelle terre, quelle campagne, quei muretti a secco, miracolosamente incontaminati, ispirarono il restauro del borgo di Castelluccio.
«Mi sono subito innamorata di questo luogo e ho appassionatamente lottato per la sua resurrezione» racconta Luisa Beccaria. «Poi il nostro amico Teddy Millington Drake, grande pittore e raffinato paesaggista, mi ha aiutato a convincere Lucio che quell’isolamento che lo spaventava sarebbe diventato un vero, grande lusso e che questo generoso progetto sarebbe stato un magnifico regalo non solo per i nostri figli, per metà siciliani, ma per la Sicilia stessa».
Una vera, grande impresa, contando che tutto l’edificio nel Borgo, come io lo vidi la prima volta, in quei tempi avventurosi, era puntellato e che nell’hortus conclusus erano sopravvissuti solo due melograni. «Sognavo una casa fluttuante e leggera che conservasse però questo carattere solido e massiccio della costruzione e dei materiali utilizzati. Un “castello in aria” per far sentire bene e a proprio agio noi e i nostri ospiti». L’area era vasta e l’impegno totale. Così Luisa pensò che la vera intatta meraviglia era avere camere di passaggio recuperate nella loro interezza, e luminose.
«Quando si capisce la direzione da prendere, da un’idea ne viene un’altra. Certo, all’inizio mi sentivo persa, però poi l’ispirazione, arrivata anche grazie a Teddy, purtroppo passato a miglior vita dopo il primo anno di restauro, ha reso più facile continuare l’opera. Un esempio: ho cercato di mettere tocchi di colore, tinte fatte con polveri mescolate a calce con metodo naturale, perché altrimenti di sera il bianco tende al grigio e diventa freddo. Colori originali del Castelluccio che, nascendo nel ’700, era stato dipinto cipria, lilla, pesca». Lo stesso io feci recuperando il «colore dell’aria» nelle facciate di palazzo Pamphilij in piazza Navona a Roma, dove ho lungamente abitato.
Ma l’impresa di Luisa non fu occasionale, bensì integrale, come chi pensa a una casa della vita. Afferma: «Ho sottolineato elementi tipici della vita siciliana di un tempo, come le tende di pizzo che gonfiandosi di vento volano e riportano alle atmosfere de Il Gattopardo, i mobili bianchi e oro di un palazzo Bonaccorsi di Catania, i copriletto ricamati… Dopodiché quando vedo le “stanze verdi” da noi create, l’hortus conclusus di ispirazione araba, il giardino di giacarande, aranci e ulivi, ancora oggi non ci credo…». Poco lontano, nel luogo perfetto dell’oasi di Vendicari, si vive l’esperienza di una fuga nella luce e nel suo mistero, come nei quadri di Guccione. Si tratta di espressioni del pensiero. Stare qui è una scelta di vita. È il modello più alto che la Sicilia abbia offerto, e il tempo ha dato ragione a Luisa.
Poi è arrivato il crollo della Cattedrale di Noto e io sono stato coinvolto nella resurrezione dialogando con due vescovi, Carlo Chenis e Antonio Staglianò, per una decorazione che tenesse conto delle ragioni della liturgia oltre che di quelle estetiche, coinvolgendo altri artisti pieni di spiritualità e di energia: Lino Frongia, Giuseppe Ducrot, Oleg Supereco, Tullio Cattaneo, Giuseppe Bergomi, Livio Scarpella, Bruno d’Arcevia. Ciò che era partito da Castelluccio (tra l’altro uno dei siti archeologici più antichi di Sicilia) era progressivamente diventato una vera e propria rinascita, analoga a quella del rilancio barocco dopo il terremoto del 1693. Ed ecco che, dopo la Cattedrale, un altro straordinario edificio, il Palazzo di Lorenzo di Castelluccio, che sarebbe potuto passare in eredità ai Bonaccorsi di Castelluccio come naturale coronamento dell’impresa del Borgo, dopo la morte dell’ultimo marchese fu ereditato dall’ordine di Malta.
Per molti anni quel luogo del desiderio fu abbandonato. Dal 2011, nel contagio della resurrezione, un intelligente innamorato francese, Jean-Louis Remilleux, ne iniziò il restauro, cui ha dedicato il libro dal titolo emblematico Un Palazzo in Sicilia. L’impresa, certamente straordinaria, è stata condotta su due livelli, fino al terzo sommamente meritevole, rispetto alla riservatezza degli edifici ricordati fin qui, che è l’apertura al pubblico. Il palazzo è stato restaurato con rispetto e rigore, pur con la concessione a una suggestione decorativa di carattere teatrale, scenografica, come un grande allestimento. Ma non finiremo di essere grati a Jean-Louis Remilleux per avere recuperato i pavimenti più belli di Sicilia, altrove smontati e dispersi. Poi l’arredo, con una concezione completamente diversa da quella di Luisa Beccaria, è stato ispirato a un collezionismo curioso ed eterogeneo, con campioni di Wunderkammer, collezioni di vedute del Grand Tour, dipinti e oggetti eterogenei in perfetta consapevolezza di non restituire a Noto, come fu in passato Palazzo Trigona, un edificio proprio della città, ma un emblema dello spirito della Sicilia.
Lo dice chiaramente Remilleux separando i due momenti del suo prezioso intervento e trasformando un palazzo di Noto in una sintesi dello spirito di tutti i palazzi siciliani: «Le cicatrici sulle pareti si sarebbero rimarginate, i soffitti sarebbero stati riportati al loro antico splendore, le porte, le finestre, gli zoccoli delle pareti resuscitati. Tutto allora sarebbe andato liscio, pagina dopo pagina per una breve eternità… A Noto il passato vi prende, il presente è reale, il futuro non ha più alcuna importanza». Il seguito è quello che vediamo. Osservato con sospetto dai pionieri come Luisa Beccaria, ma risposta determinata a quanti, di questa nuova Sicilia, vogliono conoscere ciò che per troppo tempo è stato nascosto dietro a un muro.
Lo spettacolo è iniziato: «Disperatamente privo di qualsiasi arredo al mio arrivo (le decorazioni sopra le porte erano state addirittura strappate), il palazzo ha bisogno di essere ammobiliato. È la cosa che mi rende più felice: con mobili, quadri, sculture e oggetti artistici costituisco la mia personale collezione che si arricchisce lungo la strada ogni volta che vado in Sicilia in auto. I mobili scelti, così come i quadri, devono evocare l’atmosfera di un palazzo nel periodo del Grand Tour. Ecco allora una scrivania e un comò di legno dipinto di gusto barocco, vere rarità, nella sala della musica. E così le sedie nella sala Murat, il ritratto di Lady Hamilton, l’imponente orologio siciliano del 1750, il trono barocco che gli sta di fronte, il settecentesco reliquiario napoletano dell’oratorio, la collezione di dipinti che riproducono le eruzioni vulcaniche e tanti altri oggetti che illustrano la potenza, la ricchezza e la raffinatezza dell’Italia del Sud di quell’epoca.
Infine, per strizzare l’occhio all’erudizione di un aristocratico siciliano, è allestito un cabinet de curiosités con minerali, conchiglie e strani e affascinanti animali: un ornitorinco, un coccodrillo gaviale, un corallo blu oltremare! Non si dimentichi che il principe di Biscari (per non citare che lui) aveva raccolto nel suo meraviglioso palazzo di Catania la più impressionante collezione di oggetti di antiquariato, come vasi greci, monete antiche e libri per eruditi. A Noto i palazzi Astuto, Landolina, Trigona o Nicolaci, come il palazzo Beneventano del Bosco a Siracusa, ospitano tra Sette e Ottocento i più grandi letterati, artisti e scienziati. E il principe di Salina del Gattopardo trascorre ore e ore chiuso nel suo studio a osservare al telescopio i nuovi astri. Da palazzo Castelluccio si ritorna a veder le stelle.
