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I senzatetto, persone che diventano paesaggio

I senzatetto, persone che diventano paesaggio

Sono coloro che vivono in strada, quasi sempre a causa di un rovescio della vita. Il problema è quando un’istituzione pubblica accetta come normale questa povertà.


Li hanno chiamati in tanti modi: barboni, senzatetto, vagabondi, clochard, homeless. Ma ogni inverno puntualmente tornano alla ribalta perché il freddo ne uccide qualcuno e allora diventano visibili, escono dal loro essere invisibili proprio nel giorno a partire dal quale non si vedranno più. Per tutto il resto dell’anno è come se non esistessero, come se appartenessero a un altro pianeta, come se fossero trasparenti. Poi arriva la fantomatica «emergenza freddo» e fa capire ciò che dovrebbe essere compreso sempre e che si chiama – più precisamente – «emergenza umana»; che riguarda i clochard ma anche molti altri italiani in situazione di povertà.

E arriviamo subito, come è abitudine di questo settimanale e del suo direttore, al nòcciolo: ci sono barboni che scelgono questo stato di vita volontariamente, consapevolmente, qualche volta abbandonando anche quella che, secondo loro, i borghesi chiamano «la sistemazione», cioè un lavoro, una famiglia, alcuni anche dei beni; ci sono quelli – viceversa – che non scelgono questa strada spontaneamente ma perché non hanno più alternativa. Chi scrive lo sa bene perché ne ha conosciuti tanti e con l’aiuto dei colleghi della redazione di Dritto e rovescio abbiamo anche provato – qualche volta (troppo poche) riuscendoci – a strapparli da una situazione che non avevano scelto ma subivano con difficoltà, abnegazione assoluta, vergogna, umiliazione fino alla disperazione.

Quelli che la scelgono sono persone che – in genere – non vogliono più avere nulla da nessuno in cambio di non dovere più nulla a nessuno, tutta la società compresa. Vogliono essere invisibili, non subiscono questa situazione, la adottano deliberatamente e la vivono in maniera cosciente anche per diversi anni, almeno finché le forze glielo consentono. Per la stragrandissima maggioranza dei casi vivono in silenzio, in modo innocuo, non sono violenti né tantomeno aggressivi. Vivono come eremiti, ma in mezzo alle città, al centro delle metropoli dove ci sono delle bocchette che, d’inverno, mandano fuori tepore grazie a qualche caldaia.

Quelli che, invece, si trovano in questa condizione perché ce li ha spinti la sorte, sfortunata, a talvolta atroce, la subiscono con grande sofferenza, vittime di privazioni di ogni cosa. E allora, nei giorni di Natale in particolare, i Comuni intervengono – siamo tutti più buoni – con questi famosi provvedimenti chiamati, appunto, «emergenza freddo»: come se il resto dell’anno non ci fosse emergenza, come se il resto dell’anno queste persone non esistessero. Non ci fossero e non rappresentassero, appunto, un’emergenza umana. Quest’anno, a Milano, la Guardia di Finanza ha regalato al Comune sciarpe sequestrate a traffici illeciti e l’ente locale, a sua volta, le ha donate per dare almeno un po’ di sollievo dal gelo.

Per carità, va tutto bene e ogni gesto d’umanità, da qualsiasi parte venga, è benvenuto. Ma per l’esperienza che ci siamo fatti, soprattutto nel lungo ed estenuante periodo della pandemia, i clochard involontari sono aumentati a vista d’occhio così come le code alle mense dei poveri. Perché manca lavoro o non hanno abbastanza soldi per campare. A loro non è arrivato alcun sussidio né dallo Stato né da alcuna altra istituzione. Quasi tutti loro si reggono in piedi grazie alle stampelle rappresentate da quei campioni di umanità che vanno a costituire le fila delle associazioni che si occupano di loro.

La domanda è molto semplice e la risposta è financo scontata. Può permettersi la metropoli più avanzata d’Italia, Milano, ma più in generale può permettersi qualsiasi città di un Paese occidentale ed europeo come il nostro di lasciar scivolare in questa situazione persone degne, incensurate, umili, semplici, sfortunate? L’unico sentimento possibile è lo schifo. E questo perché sarebbero tutte situazioni risolvibili con un minimo di impegno, di interesse. Invece non è così: quando una persona in difficoltà si confonde con il paesaggio abituale vuol dire che nella nostra umanità, di tutti, qualcosa non sta funzionando e questo mancato funzionamento è una colpa grave. Se fosse un peccato sarebbe mortale, non veniale. E la prima responsabilità di tutto ciò ce l’hanno le istituzioni.

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