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Il doppio Rinascimento del Sassetta

Il doppio Rinascimento del  Sassetta

Il pittore toscano del Quattrocento fa dialogare elementi d’innovazione dell’arte fiorentina del tempo con quella senese più legata alla tradizione. Un’esposizione lo celebra a Massa Marittima.


Se qualcuno avesse dubbi, come molti avranno, sulla centralità e l’importanza del Sassetta nella storia del Rinascimento italiano, sarà buona cosa indirizzarlo a uno dei templi degli studi e della critica d’arte. A Villa I Tatti di Bernard Berenson, tra mille dipinti di diversa qualità, nelle belle sale a terreno domina un grande trittico, parte del polittico di Borgo Sansepolcro realizzato da Stefano di Giovanni, il Sassetta, per la Chiesa di San Francesco di Sansepolcro tra il 1437 e il 1444. Era il complesso d’altare più grande del Quattrocento italiano, con 48 tavole disposte su due facce (forse oltre 50 se si ipotizzano anche pilastrini laterali). Disperso nell’Ottocento, ne sono state ritrovate circa la metà. Alla Madonna in trono e quattro santi sulla faccia anteriore, corrisponde l’Estasi di san Francesco e otto scene della sua vita su quella posteriore. La potenza del trittico, con la gloriosa figura del San Francesco entro la mandorla di cherubini, con i piedi sulla schiena del mortificato demonio che ha perso ogni dominio, è memorabile.

L’opera è imponente e costituente nel percorso e nella costruzione dell’edificio del Rinascimento da parte di Berenson. Le due allegorie che galleggiano sull’acqua del mare, o del lago, sono figure femminili di mondana eleganza sia nell’abito della prudenza sia in quello della continenza, galleggianti su onde sfiorate da una luce che le agita. Sono immagini indimenticabili che incorniciano la figura del Santo lambita dalle sguscianti figure degli angeli nella parte superiore contro un cielo d’oro su piccole nuvole bianche. Il grande studioso acquistò l’opera mentre conduceva i suoi studi sulla pittura toscana di cui Sassetta fu protagonista. Il pittore inizia con la pala per il palazzo dell’Arte della lana, 1423, opera dispersa, dedicata all’Esaltazione del Santissimo Sacramento, di cui restano: due frammenti della tavola principale distrutta (raffigurava Angeli in volo coll’ostensorio) con Castello in riva al mare e città in riva al mare, otto tavole dai pilastrini con santi, due cuspidi con profeti, tutti a Siena, nella Pinacoteca Nazionale; inoltre, sei tavole della predella in vari musei in Italia e all’estero. Seguono tre frammenti dal perduto Crocifisso della chiesa di San Martino in Siena, con Madonna dolente, San Giovanni dolente, San Martino a cavallo dona il mantello al povero (1433), tutti a Siena, nella Collezione Chigi-Saracini. E ancora, il viaggio e l’Adorazione dei Magi (1435 circa), tavola divisa in due parti: il Viaggio dei Magi, al Metropolitan Museum of Art di New York e l’Adorazione dei Magi, sempre nella Collezione Chigi-Saracini.

Sassetta è quindi autore di numerose Madonne dell’Umiltà. A Massa Marittima al Museo di San Pietro all’Orto sono oggi raccolte le opere possibili del pittore, in una mostra assai utile. Tra di esse la piccola cuspide di un polittico smembrato, a tempera e oro su tavola, con Angelo annunciante pendant di una Vergine annunciata, conservata nella statunitense Yale University Art Gallery di New Haven. Una testimonianza del 1428-1430, di gusto ancora tardogotico, col fondo oro e i colori delle vesti distesi con contrapposizioni di lamine metalliche d’oro e d’argento. Sono esposte una cinquantina opere, 26 di Sassetta, le altre di artisti come il Maestro dell’Osservanza, Sano di Pietro, Giovanni di Paolo, Pietro di Giovanni Ambrosi, Domenico di Niccolò dei Cori, e ancora l’appena identificato Nastagio di Guasparre già Maestro di Sant’Ansano e il nuovo Maestro di Montigiano. Insieme alle tavole, si ammirano rari libri miniati.

Sassetta giunge bambino a Siena, dove è attivo dal 1423 al 1450 e muore lasciando la moglie e tre figli. La mostra si apre proprio intorno al 1423, con la delicata Madonna col Bambino, dall’Opera del Duomo di Siena, in origine in una chiesa di Basciano (Monteriggioni). È lo stesso momento del notevole Trittico dell’Arte della lana, una delle potenti confraternite cittadine, che lo esponeva nella piazza durante la festa del Corpus Domini. Dipinto tra il luglio 1423 e il giugno 1425, in origine nella distrutta chiesa di San Pellegrino di Siena, fu smembrato nel Sette-Ottocento e disperso.

Da Grosseto giunge la bella Madonna delle ciliegie (in origine nel Duomo di Grosseto, poi nel museo Archeologico e d’Arte della Maremma), forse scomparto centrale di una pala d’altare. Scrive Antonio Paolucci: «Il Sassetta è uno squisito “reazionario”, al pari di tutti i maestri senesi del Quattrocento. “Reazionario” perché alle radici della sua cultura figurativa c’è la Siena del Trecento, la Siena fulgida, aulica e ultraraffinata di Duccio, di Simone Martini, dei Lorenzetti. La Madonna in trono, come un lucente gioiello incastonato in un gomitolo d’oro, è un’apparizione celeste, una epifania della gloria del Paradiso. La Madonna è una regina che gli angeli musicanti allietano con le loro melodie, è una sovrana che i santi dislocati ai suoi lati onorano come portatrice di ultraterreno splendore». Eppure il Sassetta non è estraneo alle novità che venivano dalla Firenze di primo Quattrocento, dalla Firenze di Masaccio, del Beato Angelico, di Donatello. Lo vediamo negli episodi della predella del Polittico di Sansepolcro, oggi a Londra alla National Gallery, vere scatole prospettiche all’interno delle quali Francesco compie i suoi prodigi: ammansisce il lupo di Gubbio, presenta la regola al papa, incontra il sultano, riceve le stigmate sulle rocce della Verna. Lo vediamo nella Elemosina di san Martino della senese collezione Chigi Saracini, una tavoletta piccola e preziosa dove il mendico ignudo, al quale il cavaliere Martino offre la metà del suo rosso mantello, sembra tremare nel gelo della giornata invernale, come trema il nudo di Masaccio nel Battesimo dei neofiti nella cappella Brancacci al Carmine di Firenze.

Ed ecco la Madonna di Grosseto, opera della piena maturità dell’artista, probabilmente conclusa nell’anno stesso della sua morte, il 1450. La tavola ha subìto riduzioni, è stata accorciata e mutilata nell’altezza e forse anche sui lati. Secondo un’ipotesi di John Pope-Hennessy, è possibile che la tavola grossetana sia stata, all’origine, la parte centrale di un polittico firmato «Stephanus Joannis me pinxit» che le antiche guide di Siena (1625 e 1697) dicono presente nella cappella Petroni, in San Francesco. La Madonna tiene nella mano sinistra un pugnello di rosse ciliegie e le offre al suo bambino che ne ha già presa una e la sta mangiando. Un precedente fiorentino, che può essere messo a confronto con questo capolavoro, è la Madonna del solletico di Masaccio conservata agli Uffizi. «L’attenzione di Sassetta per le conquiste della prima Rinascenza fiorentina per il dominio della prospettiva e delle forme plastiche, si manifesta nella tendenza a sintetizzare in forme geometriche pure a tre dimensioni, indipendentemente dalle suggestioni fornite dalla realtà». Così Enzo Carli nella monografia sul Sassetta del 1958. Ed è questo, il Bambino che mangia le ciliegie raccolte per lui dalla mamma, il motivo che rende indimenticabile la Vergine di Grosseto.

Una scoperta del curatore della mostra di Massa, Alessandro Bagnoli, è la Madonna in umiltà col Bambino, del Museo diocesano di Siena, in origine nella pieve di San Giovanni Battista a Molli (Sovicille), che dovrebbe essere stata dipinta alla fine degli anni Trenta del Quattrocento. Liberati dalle pesanti ridipinture sono riemersi, con gli ori e le lamine argentee, i colori originali. Non mancano in mostra scene più complesse come la citata Adorazione dei Magi della Collezione Chigi Saracini, dipinta tra il 1433 e 1435 e privata della parte superiore del corteo dei Magi, conservata al Metropolitan Museum di New York. Memorabili i dettagli, dai ricchi copricapi ai tessuti lavorati dei vestiti dei paggi: una scena cortese più che sacra. In questa festa di autunno del Medioevo, il Sassetta è forse il principale esponente di quel «rinascimento umbratile», evocato da Roberto Longhi: nel caso dello stile gotico senese nutrito di rinascimento fiorentino. Le sue ardite e sorprendenti sperimentazioni testimoniano un artista capace, abile nell’integrare la tradizione senese con le innovazioni fiorentine, in maniera misurata, senza mai mettere in secondo piano la cifra stilistica della sua città. Per questo motivo Cesare Brandi descrive il Sassetta come un «senese minutissimo, ma pieno di segreti pensieri ed infedeltà mentali, che non dice tutto quello che sa, ma ben sa tutto quello che dice».

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