Tra La Repubblica, intesa come quotidiano, e il premier, inteso come Giorgia Meloni, c’è un vecchio conto aperto, che risale ai tempi in cui il principe degli editorialisti di casa Agnelli, il Merlo maschio, definì la leader di Fratelli d’Italia «reginetta di Coattonia», solo perché era cresciuta alla Garbatella e non frequentava i salotti della Capitale. A freddo, senza alcuna ragione se non quella che all’opposizione il consenso per il partito da lei guidato cresceva, il quotidiano radical chic sferrò un violento attacco, accusando la Meloni di aver detto di voler sparare sulle navi dei migranti, di voler cacciare i rom stanandoli casa per casa, di aver definito i gay «orchi omosessuali che rubano le identità», di aver bruciato in piazza libri di sinistra. Tutto falso ovviamente e lei, oltre a prendere carta e penna per rispondere criticando metodi da Stasi che puntano a denigrare l’avversario, denunciò. Da allora – era il 2019 – molte cose sono cambiate, perché la leader del partitino del quattro per cento è a Palazzo Chigi, ma non è diminuita l’ossessione di Repubblica nei confronti di Meloni. In piena campagna elettorale le hanno riservato un’inchiesta in più puntate, tutte incentrate sull’Internazionale nera di cui sarebbe stata alla guida. Un «longform» formato polpettone, con tanto di monogramma: M maiuscolo, che sta per Meloni, ma anche per Mussolini. I luoghi comuni con il babau in camicia bruna e i saluti romani c’erano tutti, ma ahiloro non hanno indotto gli italiani a non votarla.
Leggi l’articolo completo su La Verità
