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La rapidità che manca alla scuola

La rapidità che manca alla scuola

La formazione tradizionale non riesce a stare dietro alla richiesta professionale del mercato. Fatti salvi i caposaldi dell’educazione, più flessibilità non è rinviabile.


In Italia abbiamo un problema assai grave che riguarda la formazione dei giovani: si formano ragazzi per professioni di cui non c’è richiesta o addirittura sono sulla via del tramonto e, d’altra parte, le imprese ricercano affannosamente persone che abbiano competenze e che non trovano. Mancano ingegneri, medici (soprattutto dopo la pandemia, anche perché delle famose assunzioni promesse dal ministro Roberto Speranza speranza non c’è), tecnici di ogni tipo e di ogni settore: dal tessile al calzaturiero, dall’edilizia all’idraulica, dagli elettricisti ai falegnami, ecc. ecc., per non parlare di ragazzi che conoscano l’informatica e sappiano parlare il cinese.

Ma potremmo allargarci a molte altre aree di produzione di beni e servizi, come quella turistico-alberghiera, aree amministrative specifiche, tecniche e di progettazione, della logistica, aree dei servizi generali; comunque in cima, sulla vetta della classifica dei più richiesti, ci sono farmacisti, biologi e altri specialisti delle scienze della vita, esperti in scienze informatiche e chimiche nonché fisiche, come già detto personale generico nelle costruzioni, figure adatte alla direzione e alla dirigenza in generale.

Purtroppo, quello che emerge da una ricerca svolta in Piemonte da Fondimpresa vale per tutta l’Italia. Qual è il problema dei problemi? La risposta sta sulle due facce della stessa medaglia: l’eterno problema del rapporto tra scuola, formazione dei giovani e richiesta di professionalità nel mercato. Che corre veloce: oggi ha bisogno di muratori e domani di esperti lattonieri, oggi di professionisti nella produzione lattiero-casearia e domani nel settore della componentistica per calzature.

Mentre il mercato va per la sua strada – d’altra parte non fa che adeguarsi alla domanda di prodotti e servizi proveniente dall’Italia e dall’estero – la formazione scolastica, soprattutto quella professionale, ma non meno quella universitaria (e quest’ultima soprattutto in ambito pubblico), viene gestita con la rapidità di adattamento di un pachiderma o, vista la prosopopea di esperti e professori, meglio ricorrere alla metafora della lumaca che oltre ad andare piano lascia dietro di sé la bava. Le esigenze delle imprese – prendiamone una per tutte: quella di persone che sappiano parlare cinese – non si palesano dall’oggi al domani. Nella maggior parte dei casi sono prevedibili anche in termini quantitativi e quindi tali da poter organizzare una formazione adeguata a rispondere alle necessità.

Per far questo occorre che i percorsi formativi, soprattutto nei campi professionali, siano gestiti con la stessa flessibilità con cui le imprese si adattano ai prodotti e ai servizi richiesti dal mercato. In fondo, anche la formazione può essere considerata un prodotto o un servizio e quindi, in quanto tale, ha senso solo se risponde in tempo reale a esigenze reali, non se risponde a piani più o meno intelligentemente formulati e, soprattutto, burocraticamente asfissianti.

La procedura ideale dovrebbe avvicinarsi al seguente modello: prima analizzare insieme alle imprese, regione per regione, provincia per provincia, le esigenze reali di personale e manodopera formata, poi, sulla base di questo, organizzare piani di studio adatti alla domanda.

A nostro modesto avviso, questi percorsi di studio in alcuni anni dovrebbero essere anche rimodulati nella loro durata che, talora, è sproporzionata rispetto alle reali esigenze formative. Se c’è bisogno di persone che parlino cinese, forse non è utile stabilire un corso di cinque anni, può bastare molto meno. Questo non vuol dire insegnar loro solo il cinese, perché la cultura generale è indispensabile – e in particolare quella umanistica, anche se non va di moda – ma significa accorciare il percorso di studio per arrivare con prontezza a rispondere a ciò che chiede il mercato.

Difficile reagire con strutture antiquate e anacronistiche, e molto burocratizzate, a esigenze che si trasformano con celerità e in modo dinamico: ci vuole una regia, una pianificazione, per costruire e adeguare la formazione al cambiamento continuo del mercato del lavoro. E badate bene che, se qualcosa muterà, il senso sarà quello di una maggiore e più estesa velocità delle trasformazioni, non certo di una loro riduzione.

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