A Trento, le opere di diciassette artisti italiani raccontano un’arte che dialoga con il surrealismo e il fumetto, con gli elementi della cultura di massa e il fantasy. E, soprattutto, con le provocazioni della Rete. Ecco che si ricompone un «affresco» rutilante della nostra contemporaneità. Da scoprire con ironia.
Erano con me, or sono 15 anni, Maurizio Sciaccaluga e Alessandro Riva quando io entrai, con passo rivoluzionario, nell’assessorato alla cultura del comune di Milano per una delle esperienze più ricche e vive della mia variegata e composita carriera: non di politico ma di critico d’arte applicato alla politica culturale della prima città italiana, nel nuovo millennio, dopo che l’ultimo secolo del precedente si era aperto con il manifesto futurista.
In cent’anni Milano era la sola città che fosse cresciuta e migliorata, la sola città futura, la città che sale, come aveva profetizzato Umberto Boccioni. E continua a salire. Ne erano consapevoli Maurizio Sciaccaluga e Alessandro Riva che avevano il termometro di tutti i fermenti e i fenomeni artistici presenti in città. Poi Maurizio, giovanissimo, ci lasciò, lasciando a loro volta orfani gli artisti, e sospeso un premio Michetti che portammo a termine Alessandro e io. Poi anche Riva mi lasciò, travolto dalle urgenze della vita in un transfert caravaggesco, un paradosso di cui fu vittima. E io rimasi con Eugenio Viola, promosso ora commissario del Padiglione Italia della Biennale di Venezia, 11 anni dopo di me, e con cui curammo la memorabile e censurata Vade retro. Arte e omosessualità, per la quale posi fine alla mia esperienza di assessore.
Fu in quegli anni che la nuova realtà artistica milanese prese forma tra pittori pittori e graffitisti, da noi per la prima volta fatti prigionieri nelle sale del Pac, il Padiglione d’arte contemporanea, convertendoli alla legalità e celebrandoli. Sono risalito fin qui perché la mostra che si è allestita negli spazi e anche proposta, usque ad finem, sulle pareti della Civica di Trento, prende le mosse di lì; e lì maturarono, arrivati da ogni parte d’Italia, artisti che furono riconosciuti a Milano e assistiti da Sciaccaluga e Riva in un’informe «Italian Factory», in dialogo con galleristi come Giovanni Bonelli, per una nuova figurazione fatta di Eccentrici, apocalittici e pop, convenuti nella galleria del capoluogo trentino, con le cure di Margherita de Pilati e Ivan Quaroni, per fare il punto del loro percorso negli ultimi 15 anni.
Lo dice bene Ivan Quaroni, nella sua puntualissima illustrazione: «Nello specifico, molti dei linguaggi pittorici emersi in Italia in quel periodo mostravano già una propensione sia verso l’elemento fantastico, eccentrico, surreale, sia verso l’immediatezza dell’immaginario pop, consumistico e massmediatico, come dimostrano numerose esposizioni del periodo, da Sui Generis, curata nel 2000 da Alessandro Riva al Pac di Milano, a La linea dolce della Nuova Figurazione e Ars in Fabula, entrambe curate da Maurizio Sciaccaluga rispettivamente alla Galleria Annovi di Sassuolo (2001) e al Palazzo Pretorio di Certaldo (2006), da La Nuova Figurazione Italiana. To be continued… (2007), curata da Chiara Canali alla Fabbrica Borroni di Bollate, alla rassegna Arte italiana 1968-2007, curata nel 2007 da Vittorio Sgarbi al Palazzo Reale di Milano, fino alla celebre mostra milanese Street Art Sweet Art (2007), ancora una volta curata da Alessandro Riva al Pac».
E ancora, approfondendo i caratteri della ricerca nell’euforia millenaristica di un tempo nuovo: «Sono anni, quelli della prima decade del Duemila, in cui l’attenzione verso i giovani pittori e scultori figurativi è ai massimi livelli, grazie anche al costante monitoraggio dei premi nazionali e all’interessamento delle riviste di settore, che documentano l’emergere di una scena artistica capace di combinare la tensione verso il fantastico con le inedite possibilità di saccheggio dell’immaginario mediatico offerte da internet. Il risultato è una miscela figurativa esplosiva, caratterizzata non solo dall’affermazione di linguaggi che fanno appello all’immediatezza e alla godibilità delle immagini pop, ma anche da un’attitudine alla contaminazione dei codici espressivi e da una volontà di esplorazione dei territori della fiction che si ritrovano, qualche anno più tardi, anche nella scena Italian Newbrow, che nasce come diretta conseguenza delle esplorazioni neofigurative».
Vidi in quel tempo nascere e crescere artisti che trovo ora in formidabile forma e piena maturazione. È sempre molto viva la realtà artistica siciliana, in un’allucinazione visionaria che accende la fantasia in una formidabile ebollizione di immagini, come una nuova creazione del mondo. È lo spirito fantastico e ultra surreale di Fulvio Di Piazza. A lui, e a Francesco de Grandi, Alessandro Bazan, Andrea Di Marco, i pittori della scuola di Palermo, rutilanti e fantasiosi, dedicai una mostra a palazzo Riso, mentre si avviavano a diventare protagonisti indiscussi nel mondo. E così, sotto i pianoforti di Jannis Kounellis, trovarono spazio sogni e fantasie sepolti dopo De Chirico e Savinio.
Li ritrovo ora a Rovereto, con Nicola Verlato e Giuseppe Veneziano, diversamente atteggiati, mentre sui muri rivedo Pao e Ozmo, ed El Gato Chimney, e Vezod, sempre più liberi. Pao ci aveva lasciato sulla parete esterna del Pac di Milano, dopo la prima mostra autorizzata dei writers, una montagna di cocaina dipinta, per chi avesse dubbi sulla realtà «colombiana» milanese.
E poi Vanni Cuoghi e Laurina Paperina, tra teatrini e Trionfi della morte, all’incrocio perfetto di surrealismo e pop. Dal mondo del fumetto, con gusto coltivato, viene Massimo Giacon. Abbiamo visto Leonor Fini, Dorothea Tanning, Leonora Carrington e Remedios Varo, in una sconvolgente riabilitazione della creatività femminile, nel padiglione centrale dei giardini della Biennale, e ne troviamo l’erede in Ilaria Del Monte, con ferma fantasia. Anche Zoe Lacchei, con un’intelligenza educata sull’eleganza grafica giapponese, esprime, come Ilaria Del Monte, una sensibilità femminile turbata e ribelle: entrambe immaginano una tigre prigioniera, come rappresentazione del loro carattere indomito. La mitica marchesa Casati, suprema artista, ne portava una al guinzaglio!
Apocalittica è l’esperienza di Nicola Caredda, sardo incontinente e disperato per la fine del mondo dopo le irreversibili alterazioni ambientali e climatiche dell’ecosistema terrestre. Marco Mazzoni dissemina la sua elegante scrittura grafica su una catena di taccuini Moleskine, come diari di una fantasia ispirata alla fusione di donna e natura nell’Apollo e Dafne di Bernini. L’arte non ha tempo. Giovanni Motta, in perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione, dialoga con Takashi Murakami: ne esce un puer aeternus, recentemente diventato il protagonista del primo fumetto digitale realizzato dall’artista, intitolato Megborg.
L’universo infantile è anche il tema prevalente delle opere di Luciano Civettini, immerso in atmosfere fiabesche ambigue e inquietanti, tra i fumetti del mondo di Walt Disney e le fragili esistenze di bambini che contrappongono la loro innocenza a un mondo attraversato da guerre e violenze. Il suo linguaggio è affine a quello di artisti giapponesi come Makiko Kudo, Aya Takano e Yoshitomo Nara, o di pittori americani come Tim McCormick e Gary Baseman. Chiude, pensandomi, Fatima Messana che mi dà il volto di capra in una scultura divenuta celebre. Il mio miglior ritratto. Poi tutto è mutato. E noi lo stiamo vivendo. Banksy da tanto sovrabbondante fantasia è lontano, perduto nel suo scontro con la realtà. È didascalico; gli apocalittici sono oltre. È questa una vivace proposta per gli anni che verranno. Ci saranno ancora, quando sarà finita l’apocalisse?




