Ci vorrebbe un commissario straordinario per entrambe le regioni, con il compito definito di programmare tutti i possibili interventi del Ponte sullo Stretto. Un commissario non deve tener conto delle elezioni e nemmeno del consenso.
Paolo Cintolesi, lettore di Comeana, frazione del comune di Carmignano in provincia di Prato, mi rimprovera per l’editoriale sulle solite scuse di chi dice «No al ponte di Messina». È vero, scrive, che per ragioni ideologiche, qualcuno è pregiudizialmente contrario a qualsiasi opera pubblica. Però, secondo lui, non si può dimenticare che l’infrastruttura destinata a unire Sicilia e Calabria riguarda due regioni che avrebbero bisogno di ben altro. «Le sembra giusto» mi chiede Cintolesi «intervenire spendendo cifre iperboliche, quando la realtà delle infrastrutture in quelle regioni è ferma al secolo scorso, con linee ferroviarie a binario unico, strade che risalgono al dopoguerra e per fare da Messina a Enna in auto ci vogliono ore?».
Caro Cintolesi, lei ha ragione: in Calabria come in Sicilia, le infrastrutture e i servizi non sono certo degni di un Paese moderno, che aspira ad attirare investimenti e turismo per poter crescere. Tuttavia, continuo a pensare che il ponte non sia in contrasto con l’obiettivo di rendere più efficiente la viabilità (e non solo quella) delle terre interessate dall’opera. Mi spiego: 30 anni fa, quando si cominciò a pensare all’alta velocità ferroviaria, qualcuno sostenne che viaggiare a 250 chilometri all’ora fra Milano e Roma non sembrava una priorità. In fondo, le due città più importanti erano già collegate da molti voli aerei che consentivano a chi partiva dalla capitale economica di arrivare in appena un’ora in quella politica. Dunque, perché perdere tempo e miliardi per un viaggio in treno di cui non si intravedeva l’utilità? Anche allora, come adesso, c’erano linee a binario unico. E, come ora, treni per pendolari perennemente in ritardo e, in sovrappiù, scandalosamente vecchi e sporchi. Eppure, l’alta velocità ha modificato il nostro modo di muoverci.
I convogli che vanno su e giù per l’Italia, fra la Capitale e il capoluogo lombardo, ci hanno cambiato la vita, perché in meno di tre ore riusciamo a giungere a destinazione e per di più nel centro della città. Tutto ciò riuscendo a lavorare e conversare come se fossimo in ufficio. In vent’anni, l’alta velocità si è diffusa collegando altri centri: Torino e Milano, Roma e Napoli, Padova e Venezia, Napoli e Salerno e presto si aggiungeranno altre località. Eppure, continuano a esistere linee ferroviarie che sembrano risalire ai primi del Novecento, come la Torino-Chivasso o la Roma-Ostia, la Catania-Gela o la Barletta-Bari. Seguendo il ragionamento di Cintolesi, invece di fare quel collegamento tra Roma e Milano avremmo prima dovuto sistemare le tratte più scalcinate. O quanto meno farle in parallelo. In realtà, se i treni a scorrimento veloce non fossero stati realizzati, i convogli per pendolari sarebbero rimasti quello che sono e le Ferrovie dello Stato avrebbero continuato ad essere quel carrozzone che erano. L’investimento, miliardario, nelle linee dell’alta velocità ha invece cambiato il volto delle Fs, generando risorse – grazie a tariffe di gran lunga superiori a quelle praticate su altri treni – che poi sono state spese anche per sostenere tratte che, a torto o a ragione, sono considerate minori e poco remunerative.
In altre parole, un investimento che in apparenza è considerato dispendioso, se genera un ritorno servirà a trascinare risorse in altre opere che da sole non riuscirebbero ad attirare i fondi necessari. Restando alla Sicilia, mi ha sempre stupito come il numero di turisti nell’isola sia inferiore a quello dei visitatori che raggiungono le Baleari. Com’è possibile, mi sono chiesto, che una terra con la storia, i monumenti, la cucina e la qualità della vita dell’antica Trinacria non riesca ad attrarre come e più dell’arcipelago spagnolo? La risposta tempo fa me la fornì uno studio della Boston Consulting, importante multinazionale americana. Il numero dei voli che facevano rotta su Minorca, Maiorca e Ibiza era infinitamente superiore a quello degli aerei che atterravano a Palermo e Catania. Cioè, le infrastrutture hanno una ricaduta sul territorio. Puoi avere il mare più bello e il cibo più buono, opere d’arte affascinanti e centri storici meravigliosi, ma se le persone non riescono ad arrivare, turismo e affari cambiano rotta. Lo stesso discorso vale per la Calabria, con i suoi aeroporti e gli antiquati sistemi di collegamento.
Cintolesi probabilmente obietterà: se le cose stanno così, perché allora non rinunciare al Ponte e fare più aeroporti? Ma il collegamento fra le due regioni, se mai ci sarà, oltre ad attirare visitatori consentirà di unire i due territori e anche di permettere alle merci di viaggiare con maggior speditezza, rilanciando le economie di Sicilia e Calabria. Dopo di che, ci si augura, verrà anche il resto. Certo, finché a un’iniziativa si oppone il ragionamento che c’è ben altro da fare, alla fine non si concluderà niente, come capita quasi sempre in Italia. Tuttavia, c’è una cosa su cui sono d’accordo con Cintolesi: nella sua lettera lui propone un commissario straordinario per entrambe le regioni, con il compito definito di programmare tutti i possibili interventi. Ecco, questa è una buona idea. Un commissario non deve tener conto delle elezioni e nemmeno del consenso, dunque può fare davvero ciò che è utile.
