Al Museo diocesano di Trento, una galleria di artisti del XX secolo di questa regione che hanno spinto la loro ricerca figurativa in una dimensione oltre il tempo, con opere dalla potente spiritualità.
È importante che il Museo diocesano di Trento dialoghi con il Mart di Rovereto perché, nell’arte religiosa, un contributo sicuramente importante e ultimativo l’ha dato proprio il Novecento. Quando noi pensiamo alla grande pittura italiana, alla pittura cristiana, alla storia dell’arte cristiana, pensiamo che parte da Cimabue, e ancor prima dai maestri bizantini, e arriva alle soglie del Novecento, con l’ultimo quadro religioso che è il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Qualcuno si chiederà perché dico religioso: perché il popolo avanza con la certezza di Dio e non ha neppure bisogno di guardare in cielo, perché non c’era nessuno che non fosse cristiano. È un popolo che anche con la protesta socialista cerca di conquistare diritti umani. Ma nella certezza che Dio ci accompagna nella nostra dimensione privata. È quello il momento (siamo nel 1902) in cui sembra che l’arte contemporanea si separi per sempre da Dio, dai soggetti religiosi.
E quando pensiamo al Novecento, pensiamo a De Chirico, a Picasso, a Mirò, a Klee, ai pittori astratti. Anche il tema della Madonna con il bambino diventa più facilmente la Madre con figlio; ed è la stessa cosa, è la dimensione umana di Cristo e l’amore della madre per lui, come nel dipinto di Gino Severini che è l’ultima Madonna col bambino ma non è un soggetto religioso. Tutti i soggetti religiosi del Novecento sembrano come fuori luogo o impropri, in un secolo in cui la ricerca è di immagini nuove, di un mondo diverso. Infatti a prevale la pittura astratta, ma non si può dire che anche nella pittura astratta non ci sia la presenza di Dio. In una cappella di Houston, c’è il trittico di Mark Rothko, che è un pittore astratto, ma parla di Dio. C’è l’idea di una immagine non antropomorfica di Dio. Poi c’è qualche artista, tra quelli figurativi, che ha continuato la tradizione religiosa. Per cui, il Novecento è un tempo interessante per capire due idee di Dio. Quella che coincide con l’arte astratta, per cui Dio è un concetto, e quella che continua la tradizione della figura e della umanità di Dio, una rappresentazione antropomorfica del Padre eterno, di Gesù che è uomo. Sono molto rari i pittori del Novecento che praticano questa pittura legata alla iconografia religiosa come la pittura di Giotto, e sono primitivi molto spesso.
Fra questi il primo è il trentino Tullio Garbari, i cui modelli sono in Giotto e una delle sue opere presenti nella mostra Orantis imago, e cioè Immagini in preghiera, è un capolavoro in cui si sente che, nella rappresentazione della Madonna non c’è la devozione che noi riferiamo alle Madonne di Raffaello o Bellini, ma c’è un concetto in questa rappresentazione antropomorfica, realistica, la Madonna della pace: uno dei capolavori del Museo diocesano. Il riferimento è la pace, che ha qualcosa che ha a che fare non solo con la dimensione spirituale ma anche con quella civile. Nell’occasione presente, in questa bella mostra, curata da Domizio Cattoi e Alessandra Tiddia, la seconda una curatrice di grande qualità che lavora al Mart e si preoccupa di cose trentine e triestine. La creazione di Eva, sempre di Garbari, è certamente un tema tradizionale della grande pittura, un tema dell’Antico testamento; ma la creazione della donna, per un pittore come Garbari, assume una dimensione profondamente umana che non è in relazione alla vicenda che porta al Cristianesimo, ma è un documento di umanità assoluta.
È questa la forza di Garbari, di rappresentare soggetti religiosi in una semplicità, in una immediatezza, in una verità che lo rendono uno dei grandi pittori del Novecento, la cui dimensione primitiva lo rende diverso dai maestri riconosciuti come De Chirico, Morandi, De Pisis proprio perché c’è in lui l’idea di dire, attraverso la pittura, delle cose prime, originarie e questo primitivismo esteso, non in senso stilistico, è come ritornare all’origine dell’uomo e scegliere un soggetto come la Creazione di Eva lo dice senza alcuna incertezza, come scelta tematica. Ora dicevamo di Tullio Garbari, in Orantis imago, ma posso dire anche di Umberto Moggioli – l’altro grande maestro che ha rappresentato, diversamente da Garbari, non temi di umanità ma prevalentemente legati al paesaggio, al paesaggio trentino o veneziano, paesaggi dell’anima, rimanendo imperturbabile negli anni più importanti della sua produzione, che è il periodo della Prima guerra mondiale.
Ecco, io ho sostenuto questa impresa comune con il Museo diocesano: il dialogo con il Mart è inevitabile perché sono esposti e sono nel museo di Rovereto i disegni preparatori per l’affresco del Palazzo delle Poste di Trento. È del Mart anche l’interno della Chiesa di Sant’Ilario di Giorgio Wenter Marini, e abbiamo prestato opere che contribuiscono al tema della preghiera, della Orantis imago, intesa come una condizione religiosa ma anche di rapporto con la natura. Ecco perché c’è preghiera anche nei paesaggi di Moggioli. Ora, la mostra è piccola ma estremamente stimolante, perché sono presenti tutti gli artisti fondamentali del Novecento trentino: Moggioli, Garbari, Bonazza. Bonazza è il Klimt di questa regione, la cui forza, nella casa in cui ha abitato, si riproduce anche nel Tramonto a Campo Trentino in cui il sentimento panico della natura è sentimento, coscienza della presenza di Dio. Ancora dipinti neorinascimentali che citano tradizione in cui la pittura religiosa era l’unica pittura possibile. Mi riferisco ai dipinti di Carlo Bonacina che ha una semplicità e una purezza che io ho accostato a un maestro morto giovanissimo che si chiamava Lorenzo Bonechi. E mi pare che si possa confermare questo rapporto fra Bonacina, maestro della prima metà del Novecento, e Bonechi, maestro della seconda metà del Novecento. Notevoli, tra i soggetti religiosi, anche le Due bambine di Gino Pancheri, perché in quelle bambine c’è il sentimento della religione proprio dell’infanzia.
E così, naturalmente, nella Madonna col bambino di Eraldo Fozzer e nella Madonna del pane con una potenza degna della pittura bresciana del Cinquecento, di Michelangelo Perghem Gelmi, un importante pittore a cui si dovrebbe dedicare attenzione. L’opera che è presentata insieme a Silenzio e Golgota, indica un maestro che, in questa occasione, è rimesso nella luce e nell’attenzione che meritava. Del mondo della pittura femminile, rara nel passato ma più frequente nel Novecento, c’è Cesarina Seppi: una novità della mostra di ricerca che Cattoi e Tiddia ci hanno proposto. Importanti le xilografie di Guido Polo. E molto importante per me, che lo ritengo uno dei maestri del tardo Simbolismo, con la potenza di Alfred Böcklin o di Franz von Stuck, è Dario Wolf. Ogni volta che incontro un dipinto o un disegno di Wolf sento una tensione interiore assolutamente straordinaria che è quello che chiamo Simbolismo, e che in realtà è spiritualità, è sentimento dell’anima dell’uomo. Ecco, tutte queste variazioni, nel numero limitato di opere presentato, sono la prova che il Museo diocesano di Trento, presentando arte del Novecento, può essere un prolungamento del Mart, può essere un museo completo di arte contemporanea, non solo religiosa, come è proprio dei musei diocesani, ma arte senza alcuna altra definizione. E credo che sia un’occasione importante per i successi di questo bellissimo museo anche il segmento che dialoga con Rovereto. Ci sono gli stessi artisti e opere che hanno la stessa potenza spirituale. Questa spiritualità è la misura del nostro rapporto con Dio, anche per chi a Dio non crede, come alcuni artisti che lo hanno evitato nel Novecento, ma che sentono l’urgenza di parlare dello spirito: spirito dell’uomo, spirito di Dio.
