Una mostra, un libro, un viaggio spirituale nella realtà magica dell’Oriente esplorata da questo pittore appartato e straordinario. A Giaveno, nella provincia torinese, il nuovo appuntamento a lui dedicato è l’occasione per conoscerlo.
Questa occasione è preziosa e rara. Le opere e i testi di Lorenzo Alessandro (1927-2000) non raccontano soltanto una storia fondamentale per la comprensione di un pittore dimenticato, ma ci offrono una interpretazione nuova e originale di un mondo lontano, mortificato e mistificato. Il Tibet, così come lo abbiamo sentito ricordare in questi ultimi anni, è un luogo più ideale che reale a cui hanno aderito occidentali attratti dall’invenzione geografica, spirituale ed esotica. Qualcosa di elegante, di mondano, di contrastante con un mondo omologato e moralmente indebolito. Il Dalai Lama è così diventato la guida religiosa di persone bisognose di evadere, quasi a rassicurare la loro debolezza. Poi, il Dalai Lama ha iniziato a venire in Europa, e anche in Italia, e ha trovato adepti soprattutto tra signore della buona società. Nel primo dei suoi tour, preparato proprio da amici di Torino, io l’ho incontrato manifestandogli la necessità per un buddhista italiano di essere cattolico proprio perché il Buddhismo è una religione di appartenenza, di legame con la tradizione e la conversione ad esso è sostanzialmente uno sradicamento, una rinuncia alle proprie tradizioni. Il vero buddhista in Italia non può che essere un cattolico fervente, praticante e osservante dei riti. Il Dalai Lama lo capì e, credo, lo abbia anche ripetuto. Rispetto a questa patina esotica che rende fascinoso il Buddhismo d’Occidente, ho voluto sottolineare che ben altre sono le visioni e l’applicazione di Lorenzo Alessandri fin da tempo più antico, senza l’ombra di mode o desideri di fughe consolatorie.
Alessandri mostra il suo interesse per il Tibet fin dal 1944, e lo sente come condizione interiore, non una fuga ma un ritrovamento. Era nato in un’altra vita in Tibet, e alle sue origini voleva ritornare. Così studiava i riti, le relazioni con il soprannaturale come chi volesse formarsi all’esercizio di monaco. Il suo Tibet è ben diverso da quello turistico non solo in senso materiale ma anche spirituale. È come quello di Giuseppe Tucci, straordinario studioso di mondi lontani e orientali e, non per caso, in una dimensione naturaliter esoterica, massone come Alessandri. A entrambi interessava svelare l’oscuro, cercare per capire ciò che è nascosto; ed entrambi hanno subito una dissoluzione, scriteriata e inaccettabile.
Alessandri, dopo la sua morte, è stato profanato distruggendo a Giaveno, nella Valsangone, la sua villa allestita e circondata da un bosco asiatico con innumerevoli reperti della civiltà e della tradizione tibetana. Non c’è più lo studio di Alessandri, somma ingiustizia per l’unicità delle sue raccolte. Parimenti sconvolgente come negli ultimi anni, e io l’ho visto con i miei occhi, sia stato smantellato l’Is.I.A.O. (già Is.M.E.O.) e svenduto in asta parte del patrimonio raccolto e ordinato da Tucci (io ho acquistato la sua scrivania e un classificatore di schede della sua biblioteca). Un altro scempio determinato da governi idioti che cancellano una lunga conoscenza di studi proprio nel momento in cui abbiamo rapporti difficili con l’Africa, il Medio e l’Estremo Oriente. Così sarebbe assai utile cercare di capire quei mondi lontani, studiarli invece che tentare di curarli con interventi chirurgici attraverso le bombe. Tutto questo patrimonio è disperso, cancellato nella totale indifferenza della pseudo cultura italiana compiaciuta nella retorica e rassicurata dal dilettantismo.
Tucci è stato il sacerdote alla cui dottrina si è formato Alessandri e che poi è quello che ha letto e studiato e non sempre ha trovato. Dopo India e Nepal negli anni Settanta, nel 1991 Alessandri parte in compagnia con la figlia di Dina Foppa, che era stata moglie dell’artista, e visita il Tibet. Ma è dopo la morte che egli inizia alchemicamente a rinascere grazie all’impegno costante e notturno di Concetta Leto, studiosa devota al pittore con un’incredibile sensibilità. Quella che vediamo non è soltanto una serie di quadri ma una casa interiore, una serie di preghiere, nello spirito, assolutamente laico, di una religione con sfumature e colori unici. Alessandri è così riemerso da uno scandaloso oblio. È un narratore di stati d’animo attraverso episodi che sono trascrizioni di sogni e di pensieri. Alessandri tibetano è invece un visionario del vero spirituale di una fede, che non gli appartiene, ma che sente vera in un Oriente del cuore. Vi può dipingere Kirtipur: teatro della mia quinta morte o il meraviglioso sogno de Il miracolo dei lama blu tra i quali egli si raffigura in processione intorno al lago Manasarovar quando, in prossimità della sorgente, appare il Prezioso Maestro, luminoso lama giallo in volo. Alessandri commenta: «Tutti i lama divennero blu e io acquistai per dieci minuti la conoscenza e coscienza dei tre colori fondamentali e delle mie vite precedenti».
Dunque il Tibet parla in lui più di quanto lui parli del Tibet in un procedimento insolito che si esprime in vedute interiori. Allo stesso modo, in Carovana infida, la processione lungo un erto cammino si avvia verso la immacolata montagna sacra. È un percorso dell’anima, sotto metafora di un pellegrinaggio. Alessandri ci sta raccontando la sua ascesi in una visione di Oriente. Ogni quadro di questa serie è una sorprendente apparizione, per esempio Cinquantatreesimo tramonto. È, in realtà, un luogo del sogno. Il Tibet è come la luna, gli è tanto vicino quanto lontano; è irraggiungibile ma raggiunto con le emozioni e i sentimenti. In questo sogno è memorabile la Montagna scolpita, non meno di un incredibile Pòtala.
Questo mondo immaginato e intimamente restituito, apre la strada ad altre invenzioni oniriche rare come sogni. Penso al Lago sacro dove un gruppo di monaci sta nella posizione in cui i viandanti vedono Le bianche scogliere di Rügen di Caspar David Friedrich. Il racconto pittorico di questo viaggio profetico precede il viaggio reale del 1991 di cui forse non rimangono documenti pittorici. Alessandri teneva presso di sé reliquie tibetane necessarie alla sua sensibilità e alla sua fantasia. Illustrandole, Alessandri affermava che «alcune maschere rituali sono provenienti dal Pòtala, il palazzo in cui risiedeva il Dalai Lama prima di essere costretto alla fuga per salvarsi dagli invasori cinesi». Da questi oggetti viene uno stimolo alla meditazione verso il paranormale che, al di là delle superstizioni, può essere di stimolo e guida. Consapevoli di questa esperienza, condividendo il singolare rapporto con il Tibet, oggi Erberto Lo Bue, Robi Vitali, Robi Rubiolo e Bruno Portigliatti ci lasciano la loro testimonianza in un catalogo unico, ordinato dalla illimitata passione e dalla curiosità che, con gli occhi di Lorenzo Alessandri, Concetta Leto offre al desiderio di osservatori e lettori sensibili e iniziati.
