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Il marxista al di là degli steccati di destra e sinistra

Il marxista al di là degli steccati di destra e sinistra

Costanzo Preve è stato un pensatore sempre in dissenso con le «mode» ideologiche della sinistra. Ha criticato le storture del politicamente corretto e del femminismo, ha rifiutato l’omologazione liberale che esalta il capitalismo americano come modello unico. I suoi libri oggi sono attualissimi.


«Quanto ho detto sarà sembrato ad alcuni razionale, ad altri sgradevole, bigotto e reazionario. E tuttavia, se si vuole gettare un sasso nello stagno, è impossibile impedire che si allarghino i cerchi nell’acqua». Così scriveva il filosofo Costanzo Preve (1943-2013) nel suo Manifesto filosofico del comunismo comunitario, un testo rovente che a breve arriverà in libreria grazie alla casa editrice Inscibboleth, da qualche tempo impegnata nella ripubblicazione di tutte le opere del pensatore piemontese (il primo volume, Il nemico principale, è già disponibile).

In effetti, Preve di cerchi nell’acqua ne produceva parecchi. Poco prima di scrivere le parole che abbiamo sopra riportato, si era dilettato a fare a pezzi il femminismo a colpi di scimitarra. «Non intendo affatto nascondere ipocritamente la fortissima antipatia culturale che provo verso questo fenomeno, antipatia fortunatamente condivisa da molte donne anagrafiche, e che i vertici intellettuali femministi (fortissimi nel clero universitario dei cosiddetti gender studies) cercano di diffamare in termini di “maschilismo”» spiegava. Ancora prima se l’era presa con i gay pride, definendoli parate narcisistiche. E, come vedete, già in un paio di righe ce n’è abbastanza per fare di Preve una figura sulfurea, un grande reietto, un impresentabile che infatti non viene quasi mai citato dagli intellettuali pubblici.

Certo Preve ci metteva del suo. Persino nei libri, il tono che assumeva non era per nulla conciliante, anzi a sfogliare le sue opere sembra d’imbarcarsi in una lotta a mani nude contro un avversario che provoca, colpisce, incassa e non cede mai. Un osso duro che non arretra di un millimetro. Uno che talvolta si fa odiare ma resta dotato di una capacità strabiliante: quella di aprire la mente, di ribaltare il punto di vista. Forse è anche per questo che oggi i suoi testi meritano d’essere riletti: basta riprenderli in mano per un istante per rendersi conto di quanto siano spaventosamente attuali, e ancora mortalmente affilati. Alcuni dei suoi saggi più intensi sono stati riproposti negli ultimi anni dall’editore Petite Plaisance, in particolare un fondamentale scritto sugli intellettuali, che Preve definiva «il nuovo clero», e non era per nulla lontano dal vero. Viene da chiedersi che avrebbe pensato dell’attuale classe medica, ma per indovinarlo non c’è poi bisogno di fantasticare troppo. Egli era ed è sempre restato marxista, ma a differenza dalla larghissima maggioranza dei pensatori di sinistra ha saputo guardare oltre lo steccato pieno di schegge, e ha proposto un superamento della divisione fra destra e sinistra, ritrovandosi a dialogare con alcune delle figure di spicco della Nuova destra italiana e non, a cominciare da Alain de Benoist, con cui si può dire che abbia condiviso un tratto di strada.

Ricostruire oggi l’intero suo pensiero, o ricordare tutti gli argomenti che seppe trattare con intelligenza nella montagna di pagine scritte quand’era in vita, sarebbe un’impresa folle. Basti sapere che Preve fu tra i primi e i più efficaci nel denunciare le storture del politicamente corretto (parlava di un Partito unico del politicamente corretto in cui gli pareva che tutti gli schieramenti politici presenti sulla piazza si fossero volentieri intruppati), e nel fuggire come la peste l’omologazione liberale. Rimaneva ruvidamente antioccidentalista, cioè rifiutava la americanizzazione coatta imposta nel dopoguerra alle culture europee. Universalista ma avversario della retorica dei diritti umani, non risparmiava critiche alla destra, ma era capace di infierire con gusto sulla sinistra radicale, specie quella più impegnata nel presentarsi come avanguardia nella lotta per i cosiddetti diritti civili.

«In quanto alla sinistra radicale, è evidente che il suo storicismo filosofico, il suo nichilismo relativistico e il suo futurismo ingenuo la fa diventare il luogo dell’innovazione di costume» scriveva. «Tutto ciò è chiaro almeno da alcuni decenni. E nello stesso tempo il tempo degli “intellettuali” innovatori è finito, proprio perché il vecchio ceto degli intellettuali è finito. Oggi l’innovazione è completamente in mano a bande di pubblicitari direttamente dipendenti dalla committenza capitalistica diretta, e non ha più bisogno di mediazione culturale indiretta. La realtà virtuale, i centri commerciali e gli “eventi” tipo circenses postmoderni gestiti direttamente dal ceto politico di servizio fanno da rompighiaccio senza più la mediazione delle vecchie “avanguardie”. Anche in questo campo, siamo a mio avviso oltre la dicotomia Destra/Sinistra, ancora legata al periodo storico della permanenza di uno specifico ceto intellettuale separato».

In queste ore è salutare rileggere alcune pagine della sua Filosofia del presente (ancora nel bel catalogo dell’editore Settimo Sigillo) relative all’utilizzo strumentale dell’accusa di fascismo, che in tempi di governo di destra sembra andare per la maggiore. «Non c’è bisogno di essere dei grandi cultori del metodo psicoanalitico freudiano […] per capire una cosa molto semplice, e cioè che una cultura politica in profonda crisi d’identità e di prospettive può sopravvivere solo mediante una demonizzazione nevrotica dell’avversario, visto come portatore di una “infezione spirituale” potenzialmente mortale» spiegava Preve. «La metafora epidemica della “infezione” caratterizzò storicamente la cultura di destra negli anni Venti e Trenta […] e caratterizza ancora oggi la cultura di sinistra […]». La sinistra convertita al liberal-progressismo «in preda alla confusione e all’indebolimento di un’identità progettuale reale», si rifugia nella «demonizzazione di una fantomatica “cultura di destra” che molto spesso non è che il rovescio onirico delle paure inconsce e addirittura dei desideri rimossi della propria identità incerta. La “destra” è così costruita mediante un’immagine cavernicola e trogloditica […]. Questa destra afferma ovviamente che i negri sono inferiori e devono essere tenuti al proprio posto di Bingo Bongo, che l’eroico samurai ha il diritto di stuprare tutte le donne che incontra, che Hitler ha fatto bene a trattare così gli ebrei…».

A che serve tale demonizzazione? «A rendere illegittima anche la considerazione razionale delle obiezioni tradizionali al modello utilitaristico». Chiunque contesti il modello politico-economico dominante, il liberalismo reale, è etichettato come fascista, e cancellato. Ecco la funzione di quello che Preve definiva «antifascismo senza fascismo». Esso, scriveva, «è stato la religione di compensazione di un mondo che stava disgregando i precedenti valori comunitari. Si è trattato di una vera e propria religione laica, o meglio di un surrogato laico della vecchia religione, e questo spiega perché i cosiddetti “fascisti” sono diventati l’equivalente degli intoccabili e degli immondi delle vecchie religioni tribali». Non a caso capitò anche a lui, che pure era rosso e marxista, di essere etichettato quale fascista, e di essere ferocemente osteggiato.

Reagì con classe, e anche questa è una grande lezione da imparare: niente piagnistei né pose da perseguitato. Anzi, ribadiva che in altri tempi di più violente censure gli sarebbe andata peggio. «Io ringrazio ogni giorno la divinità (indipendentemente dalla sua esistenza, problema che ritengo accessorio)» scrisse in Dialoghi sul presente (Controcorrente edizioni) «per avermi fatto nascere nell’epoca del Silenziamento e della Diffamazione e non in quella del Rogo e della Bastiglia. Le cose possono per altro cambiare in futuro». A vedere come siano andate le cose dopo la sua morte, si può dire che non avesse torto. n

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