Al posto delle soluzioni, in Italia c’è il rifiuto a prescindere: come quello al termovalorizzatore di Roma che dovrebbe smaltire – forse – l’eterna monnezza.
Non sappiamo cosa debba accadere in Italia, forse una nuova glaciazione, forse l’eruzione contemporanea e multipla di vulcani nascosti o qualcos’altro del genere perché si possa cominciare a ragionare di ambiente, di verde, di ecologia, di energia, di Green e di tutta la fastidiosa retorica annessa, in termini concreti, pragmatici e possibilmente capaci di condurre verso la transizione alle cose intelligenti e non alle cretinate. Siamo o non siamo in piena crisi energetica? Siamo o non siamo in pieno «caro bollette» tale da mettere in ginocchio l’economia peggio del Covid? C’è o non c’è in corso una guerra che incide sulla questione in modo radicale e per tutta l’Europa, in particolare per il nostro Paese che ha perso decenni non facendo una beata mazza?
In altri termini: siamo o no in una situazione dove occorre guardare non al migliore dei mondi possibili, ma alla migliore delle soluzioni possibili? Sì, ci siamo fino al collo, anzi ormai vicino alla bocca e rischiamo l’annegamento. Ebbene, in questa situazione Legambiente, una parte del Pd e altri stanno facendo la guerra al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, perché ha giustamente annunciato che vuole costruire un termovalorizzatore: uno degli strumenti che, se adottato in molti siti italiani, ridurrebbe la nostra dipendenza energetica, ridurrebbe la spesa per trasportare i nostri rifiuti altrove, segnatamente in Germania, destinati ad altri termovalorizzatori, e ridurrebbe anche l’inquinamento perché gli impianti di ultima generazione sono ecologicamente ottimi.
Insomma, ci sono strumenti possibili da subito per ridurre i fattori inquinanti a favore di un ambiente salubre ma in Italia, purtroppo da anni, c’è e impera il partito del «no»: no ai rigassificatori, no agli impianti per le biomasse, no ai termovalorizzatori, no all’energia nucleare. Sui no non ci sono dubbi e tutti questi hanno le idee chiare. Sui «sì» invece le idee sono nebulose, richiedono tempi lunghissimi, non si è capito mai bene chi debba pagarli; insomma, i no sono certi, i sì sono inesistenti. Tra l’altro, sarebbe interessante andare a vedere dove sono finiti i soldi – quasi un quinto delle bollette – che gli italiani ogni volta pagano per le cosiddette energie rinnovabili. Vengono pagati da decenni ma i risultati, almeno a occhio nudo, salvo qualche pala eolica (situata nei posti meno adatti) non sono visibili e soprattutto non tali da indicare un’inversione di marcia all’interno del mondo dell’energia sia nei suoi aspetti produttivi che in quelli distributivi.
Solo per fare un altro esempio, si sa da anni che in Campania c’è un pressoché certo e molto importante giacimento di petrolio ma non si muove foglia. Abbiamo gas distribuito in tutto il Mediterraneo, la cui estrazione favorirebbe la nostra autonomia energetica, ma anche di questo guai a parlarne. Si è fatta la guerra a un tubo che passava sott’acqua con rischi praticamente ridotti a zero, e che si chiama Tap, come se si volessero collocare in Puglia scorie radioattive a cielo aperto.
La domanda è: possiamo ancora permetterci per altri decenni di rimanere in un irragionevole e ingiustificato immobilismo a causa di qualche minoranza che manifesta ed evidentemente impaurisce il governante di turno? È sperare troppo che questi governanti mostrino, nel caso in cui ne siano in possesso, gli attributi necessari ad assumere decisioni adeguate? C’è o non c’è un’emergenza energetica che non consente ulteriori dilazioni delle decisioni a riguardo? E in caso di emergenza lo Stato – come del resto ha fatto a proposito del Covid derogando anche al dettato costituzionale e inserendo l’obbligo di cura – non può fare lo stesso in materia ambientale?
Ossia decidere che è arrivato il tempo di costruire impianti ecologici all’altezza della situazione e, dopo aver ascoltato tutti, governare, cioè farli? O vogliamo ancora aspettare i rimpalli fra Stato, Regioni, Comuni, comunità montane, comunità diocesane, parrocchie, cappellanie, associazioni reduci e chi più ne ha più ne metta? E dopo averli ascoltati non fare la solita ricorrente beata mazza? Del resto, basterebbe andare a vedere ciò che fanno gli altri Paesi dove ascoltano tutti e poi i governi decidono come ritengono giusto fare. Qui si discute e poi non si fa nulla, né in un senso né nell’altro.