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Il Parlamento del 1861: così uguale a oggi

Il Parlamento del 1861: così uguale a oggi

Il 18 febbraio 1861, a Torino, s’insediava il primo Parlamento italiano. Contava 433 deputati… Un deputato descrisse in un libro quei politici improbabili, inadatti ad affrontare i problemi di un Paese appena nato. Ma le analogie con l’attualità di Camera e Senato non finiscono qui.


I voltagabbana? Il 18 febbraio 1861, alla prima riunione del primo Parlamento italiano, c’erano già. E con loro il trasformismo, i conflitti d’interesse e il voto di scambio. Fin da allora, i deputati si presentarono come «casta» e fu subito chiaro quale sarebbe stata la loro evoluzione nel tempo.

Tutto quello che ci indispettisce e, qualche volta, ci fa indignare nacque quando, a Torino, nel Palazzo Carignano, si incontrarono i rappresentanti del popolo del nuovo Stato. L’Italia era stata proclamata da qualche settimana e, negli stessi banchi, gli uni accanto agli altri, sedevano piemontesi e siciliani, romagnoli e calabresi.

«La Camera si compone di 433 deputati» raccontò Ferdinando Petruccelli della Gattina nel libro sul neonato Parlamento, I moribondi di Palazzo Carignano, pubblicato nel 1862. «A parte sette dimissionari e cinque morti che, beninteso, non contano più, ci sono due principi, tre duchi, 29 conti, 23 marchesi, 26 baroni, 50 commendatori, 117 cavalieri dei quali 3 della Legion d’onore. Poi: 135 avvocati, 25 medici, 21 ingegneri, 10 preti fra cui Apollo Sanguineti, uno dei più ostinati seccatori del primo ministro mentre Ippolito Amicarelli e Flaminio Valente sono sacerdoti silenziosi».

Poteva quella élite di fortunati immedesimarsi nei problemi di un Paese appena nato che aveva necessità di riforme strutturali per sfidare il futuro? I difetti di allora sono evidenti leggendo la storia con qualche attenzione ma, già allora, non passarono inosservati. Se ne rese conto Petruccelli della Gattina, lucano di Moliterno, convinto della necessità di costruire un’Italia unita, cacciando i regnanti di allora e per questo esiliato dal Borbone. Si trattava, dunque, di un patriota a 18 carati, meritevole di un seggio in Parlamento che, tuttavia, non si lasciò abbagliare dalle apparenze.

Fra i suoi colleghi contò «quattro ammiragli, 23 generali, 13 magistrati, 52 professori o ex professori o che si danno come tali». Tutti indispensabili viene da chiedersi? E il neodeputato continua nel suo elenco: «C’è un Bey dell’Impero Ottomano, l’onorevole Paternostro, due ex dittatori, due ex pro-dittatori, 19 ex ministri, sei o sette milionari, 25 nobili senza titolo, quattro soli letterati e Verdi, il maestro Verdi».

Mancava il repubblicano Carlo Cattaneo che, il Parlamento, preferì «farselo da solo, a casa sua» in polemica con l’Italia sabauda che andava prendendo corpo su modelli centralistici e autoritari. Venne eletto per tre volte e per tre volte rifiutò di giurare fedeltà ai Savoia. Anzi, si consentì giudizi sprezzanti contro «il servitorame» di Torino «come se avessimo combattuto non per avere più libertà ma discendere più in basso nel regime della servitù».

Petruccelli della Gattina si considerava parte dell’opposizione e non tollerava gli inutili riti della retorica parlamentare. Riteneva di essere un «risorgimentalista» di puro conio ma contestava quei rappresentanti del popolo che «si gonfiavano di saccenza e di altruismo per decidere – democraticamente – soluzioni tiranniche». L’articolo che scrisse non trovò ospitalità in Italia. Il «politically correct» del diciannovesimo secolo impose le sue censure. Per la pubblicazione, dovette rivolgersi al quotidiano La Presse di Parigi. «Abbiano notizia di sei balbuzienti, cinque sordi, tre zoppi, un gobbo, molti con gli occhiali e moltissimi calvi ma neanche un muto!». Parlavano proprio tutti e non lesinavano sulle parole.

L’articolo, appena in edicola, provocò un pandemonio. Ruppe amicizie consolidate e troncò vecchi rapporti politici. Tanti si sentirono offesi e in tre lo sfidarono a duello per vendicarsi dell’onore vilipeso. Splendido polemista, Petruccelli della Gattina era straordinariamente versatile con la penna in mano. Ma con la spada non doveva essere granché. Gli scontri all’arma bianca li perse tutti.

Adesso i parlamentari sono 930: 630 deputati e 315 senatori cui vanno aggiunti quelli «a vita» che il Quirinale decide di premiare con il laticlavio. Troppi. Gli Stati Uniti funzionano con 435 deputati e 99 senatori che, presieduti dal vice presidente, diventano 100. In proporzione, a noi dovrebbero bastare 104,4 deputati e 23,76 senatori.

Per ospitare quell’esercito di rappresentanti del popolo non bastano Montecitorio e Palazzo Madama. Occorrono altri 42 «centri», sparsi fra Colosseo e la Città del Vaticano. Uno spazio sterminato di 250 mila metri quadrati che sarebbero quattro volte il museo del Louvre. Per un doveroso paragone, al Bundestag di Berlino i 600 deputati occupano tre edifici per 11 mila metri quadrati complessivi, la ventesima parte di quello utilizzato in Italia. A Parigi, l’Assemblée Nationale si accontenta di due palazzi, uno per il lavoro legislativo degli eletti e l’altro per i servizi. A Londra, basta Westmister.

E qual era lo «stile» politico nel 1861? Parola di Petruccelli della Gattina, «i deputati, eletti nei collegi dell’ex regno delle due Sicilie, si collocavano in prevalenza nel centro» dello schieramento parlamentare. «Il centro» precisò, «era come la zattera della Medusa: il posto dove tutti i naufraghi sono aggrappati, tutti i superstiti, tutti gli sbandati». Secondo le sue valutazioni «il centro aveva preso le forme di una specie di ospizio degli invalidi per chi non aveva più forze ma, non per questo, restava senza speranze».

Analisi corrosiva, la sua che, a dispetto del tempo trascorso, conserva una freschezza e, quasi, un’attualità. Le analogie con l’odierno Parlamento vengono subito alla mente. «La sinistra, pur ridotta ai minimi termini, è un arcipelago di anime in pena e conta mazziniani e garibaldini, autonomisti e federalisti, oltramontani e liberi, dipendenti e indipendentisti. Hanno un loro peso i misteriosi e gli indecisi, gli imbronciati e gli smarriti, gli scettici, i dottrinari, i pretendenti, gli esploratori in campo nemico e gli uccelli di passaggio».

Gli «uccelli di passaggio» – secondo la sua prosa immaginifica – è la definizione che riguarda alcuni dell’estrema sinistra che «risoluti di passare con la destra, si sono, come dire?, arrestati, a mezzo, sui banchi della sinistra». Qualche nome? «Chiaves e Gallenca, quantunque il secondo abbia già fatto un passo avanti e ora segga al centro».

Di che cosa si occuparono i deputati del 1861? «Incominciarono a discutere sulla questione se i militari eletti potevano presentarsi in Parlamento in divisa». Si potrebbe immaginare che un Paese appena nato, cucendo insieme terre e regioni con diverse tradizioni e livelli di sviluppo, avesse bisogno di interventi urgenti per migliorare le zone più arretrate e costruire un’omogeneità dove tutti potessero riconoscersi cittadini. Perché inaugurare il Parlamento con una discussione sull’abbigliamento dei militari?

«Il dibattito fu lungo ed ebbe anche momenti aspri. L’uniforme non poteva essere indossata senza gli strumenti che la giustificavano cioè la spada» prosegue Petruccelli della Gattina. Ma la Camera doveva restare un luogo di libero confronto di idee e non avrebbe dovuto accogliere uomini armati. Solo alla fine si poté decidere che quello borghese era l’abito dei deputati».

Eppure anche adesso, con il record di disoccupazione e, massimamente, di disoccupazione giovanile, imprese che non riescono a tenere dietro alla concorrenza e chiudono, imprenditori che si suicidano più per la vergogna che per il fallimento economico, l’efficienza scolastica precipitata ai minimi termini sembra che le urgenze cui dedicare attenzione riguardino una legge sull’omofobia e una contro l’odio, una regolamentazione per assicurarsi che i social vengano utilizzati secondo regole appropriate e i matrimoni Lgbt. Problemi anche seri e minoranze da salvaguardare, ma per le maggioranze resta qualche attenzione?
Nel 1861, il secondo punto all’ordine del giorno riguardò «l’indennità di carica». Che consente ai deputati di oggi di collocarsi nel range dei meglio retribuiti, a dispetto delle condizioni del Paese che insiste nel tirare la cinghia.

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