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Santoro, Saviano, Fedez e compagnia bella

Santoro, Saviano, Fedez e compagnia bella

L’editoriale del direttore

Per mantenersi sull’onda del successo, gli eroi di casa nostra hanno sempre bisogno di un nemico.


Ma se non ci fosse stato l’editto bulgaro, avremmo avuto un Michele Santoro in versione telepredicatore? O il conduttore di Annozero e Servizio pubblico sarebbe rimasto per sempre «Michele chi?», cioè uno dei tanti volti Rai, come lo definì Enzo Siciliano fresco di nomina nel consiglio di amministrazione di viale Mazzini ai tempi del primo governo Prodi? Non voglio negare la professionalità del collega, a cui riconosco una certa capacità istrionica, ma credo che se non fosse cresciuto nella tv pubblica, cioè in un’emittente dove a dettare legge erano i partiti, molto probabilmente non avrebbe potuto godere di un palcoscenico su cui recitare la parte della vittima del potere.

Voglio riportare indietro le lancette, per capire che cosa sta succedendo ora e perché alcuni personaggi riescono a usare il servizio pubblico per i propri comodi e per le proprie campagne. E credo che per comprenderlo sia utile partire proprio da Santoro che, nonostante sia un po’ imbolsito, rimane pur sempre un furbacchione quando c’è da attirare l’attenzione. Pochi ricordano che i suoi primi esordi da capopopolo non risalgono al periodo berlusconiano, ma a quello democristiano. All’epoca a viale Mazzini il direttore generale non era Mauro Masi, ossia il manager con cui Santoro riuscì a fare il pieno di ascolti, sfidandolo in diretta tv a impedirgli di andare in onda, ma Gianni Pasquarelli, ex direttore del Popolo, il quotidiano ufficiale della Dc.

Cresciuto all’ombra di Amintore Fanfani, con un passato da giornalista e uno da amministratore delegato della società Autostrade, Pasquarelli fu catapultato a viale Mazzini al posto di Biagio Agnes quando a piazza del Gesù, dove la Balena bianca aveva la sua storica sede, regnava Ciriaco De Mita. Che cosa si inventò quel volpone di Santoro per far parlare di sé e del suo programma che allora si chiamava Samarcanda? Una puntata sulla mafia che in pratica era un processo alla Dc. Risultato, il povero Pasquarelli che già di suo aveva l’aria del burocrate divenne ancor più grigio e minacciò sanzioni esemplari.

Finì con il tribuno salernitano calato nei panni dell’eroe che resiste alla censura e accusa la Rai di non meritarsi un programma come il suo. Ma lo scontro con il triste funzionario Dc non fu che l’antipasto, cui ne seguirono altri. Nel periodo dell’Ulivo, siccome i comunisti sono sempre stati più furbi e sanno far sparire chi è ritenuto scomodo senza far troppo clamore, il capopopolo finì nelle retrovie con un semplice «Michele chi?» e fu costretto a emigrare a Mediaset, dove riuscì nella mirabile impresa di fare una diretta da Belgrado, mentre la Nato cercava di liquidare il regime marxista e stragista di Slobodan Milošević.

Caduti Prodi e compagni ecco, tuttavia, Michelone ricomparire a viale Mazzini, ancora in versione anti regime, non quello del dittatore serbo ma di Silvio Berlusconi, ossia del magnate di cui era stato dipendente fino a prima. Il quale gli fece subito il favore di togliergli la trasmissione e quindi di decorarlo sul campo Grande censurato. Tralascio il resto della storia, perché credo la conoscano tutti: per un po’ fece l’europarlamentare dell’Ulivo, poi si riaccasò in viale Mazzini, dove, con la scusa della censura, e dell’eterna lotta contro il Cavaliere nero, riconquistò le piazze.

Insomma, il decorato speciale deve molto, anzi quasi tutto, a chi provò a levargli il microfono, prestandosi al suo gioco. Se Pasquarelli e Berlusconi avessero ignorato le sue filippiche, se fossero stati sordi quando fischiettava in diretta Bella ciao come se fosse un partigiano costretto a nascondersi sui monti e non un tipo che si tuffava in acqua dalla sua villa in Campania, quasi certamente non avrebbe avuto l’eco che ha avuto e la storia sarebbe finita molto prima, come infatti si è conclusa quando il Cavaliere non è più stato in auge. Non essendoci più un nemico da sconfiggere, non serviva più neppure un eroe che impugnasse la spada. Pardon: la telecamera.

Ho rievocato la carriera sulle barricate di «Michele chi?» non soltanto perché in queste settimane sta provando a ritornare in scena, per presentare un libro sulla mafia (le cosche sono sempre state la sua vecchia passione), ma anche perché l’epurato speciale – che la Rai liquidò con un congruo assegno – mi è tornato in mente pensando a Fedez, il San Francesco in Lamborghini che ha difeso il disegno di legge Zan contro l’omofobia dal palco del primo maggio. Anche lui, come Santoro, per conquistare titoli da prima pagina e aperture dei tg, ha pensato bene di atteggiarsi a vittima.

Non so chi abbia fatto le ricerche di marketing, se sia farina del suo sacco o della moglie imprenditrice oppure di qualche collaboratore. Sta di fatto che sposando la causa del ddl contro le discriminazioni Fedez è stato eletto santo subito, divenendo in un secondo il protettore delle cause vinte. Già, perché nessuno, se non quattro scemi che purtroppo si trovano sempre (qualche volta anche tra i cantanti che hanno il microfono in mano e ai quali per non essere messi alla gogna bastano le scuse a posteriori), può incitare all’odio contro i gay o le lesbiche.

Ma un conto è punire chi incita all’odio nei confronti di chicchessia, un altro è istituire la giornata contro l’omofobia, con tanto di catechizzazione nelle scuole. Un conto è fare educazione sessuale ai bambini (che essendo materia delicata, infatti, non si fa), un altro è fare educazione omosessuale. Tuttavia, basta avere un palco, dire qualche cosa che spaventi il funzionario del servizio pubblico, il quale di regola non vuole rogne, per assicurarsi un invito ad abbassare i toni. Dopo di che il gioco è fatto e dunque anche i soldi, perché è sufficiente dire che qualcuno sta cercando di censurarti per ricevere centinaia di migliaia se non milioni di «like». Tutti sono contro la censura, ma solo uno incassa. Non so chi l’ha detto: beato quel Paese che non ha bisogno di eroi. Una cosa è certa: gli eroi di casa nostra – Santoro, Roberto Saviano, Fedez e compagnia bella – per mantenersi sull’onda del successo hanno sempre bisogno di un nemico.

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