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Anche i Draghi glissano

Anche i Draghi glissano

Dopo il decisionismo spinto, nella nuova fase il premier dribbla e rimanda i più impervi dossier di governo. La scaltra lezione democristiana non si scorda mai…


Era il più compiuto di tutti, tanto da aver meritato l’eroico soprannome di SuperMario. Adesso rischia di diventare il premier delle incompiute. Da risoluto a traccheggiatore. Inevitabile forse, vista la variopinta maggioranza del governissimo. Fatale magari, data l’ambizione di salire al Colle. Un feroce dubbio però assale: il Migliore è già stato sopraffatto dai migliorabili? A parte il dirigismo sanitario e l’ubiquo green pass, le epocali riforme restano a bagnomaria. Eppure, i primi mesi a Palazzo Chigi erano stati benauguranti. Decisionismo spietato: scontentare tutti, per non scontentare nessuno.

Ora invece, in vista della corsa al Quirinale, pare tornata l’era della balena bianca. Reddito di cittadinanza ai Cinque stelle, opzione donna al Pd, revisioni catastali bloccate per Forza Italia, proroga delle concessioni balneari care alla Lega. Ecumenismo ostinato: accontentare tutti, per non accontentare nessuno.

I partiti fibrillano. Molti ministri annaspano. Stavolta però non rischiamo paternalistici rimbrotti, ma di inceppare il Recovery plan. L’Europa promette oltre 200 miliardi. In cambio, chiede impellenti riforme. L’indubitabile prestigio dell’ex presidente della Bce è l’ipoteca. Ma adesso Bruxelles comincia a ridubitare della cara, vecchia, Italia. Il tempo strige. Entro quest’anno l’architrave del mitologico Pnrr dev’essere edificata. L’Italia s’è impegnata a rispettare 51 obiettivi. Non ne ha centrati nemmeno la metà. Per non parlare dei conseguenti decreti attuativi da approvare, già insuperabile inciampo del precedente governo di Giuseppe Conte.

Due volte all’anno la Commissione verificherà l’avanzamento dei lavori. Manca poco più di un mese alla prima scadenza. Fioriscono cabine di regia da primissima repubblica: perfette per ingarbugliare. E da mesi i sindaci, in particolare quelli del Sud, implorano di inviare tecnici e personale. Nel Mezzogiorno vanno spesi 80 miliardi. Rischiano, in gran parte, di essere restituiti al mittente. Brilla la Sicilia: 31 progetti presentati al ministero dell’Agricoltura, tutti bocciati. L’isola aveva chiesto 422 milioni. Non vedrà un centesimo. Insomma, si arranca perfino laddove c’è plateale comunione d’intenti.

Come sul nuovo processo civile. Le lentezze dei tribunali si riverberano anche sull’economia. Il Senato ha approvato la legge delega già il 21 settembre scorso. Da allora, il testo giace placidamente in commissione Giustizia a Montecitorio. Quando arriverà in aula, di grazia? Solo a fine novembre, pare.

La discussione sulla Finanziaria, quella su cui Draghi doveva esibire rinomate competenze, si fa intanto estenuante. E sterile. Viene presentata il 28 ottobre: otto giorni dopo la scadenza prevista. Seguono modifiche e ripensamenti. All’insegna dell’italico cerchiobottismo. Il caso più eclatante è il reddito di cittadinanza. Per mesi, è stato il bersaglio grosso. Matteo Renzi, in estate, propone un referendum per abolire la misura grillina, sperando di far risalire dal baratro la moribonda Italia Viva. Fumisterie.

Mentre, da Vibo Valentia a Verona, si continuano a scoprire legioni di furbastri e malviventi beneficiati, la vigorosa stretta si risolve in un buffetto: qualche controllo in più e la sbalorditiva decurtazione progressiva di cinque euro al mese per chi rifiuta un’offerta congrua. Del resto, i Cinque stelle sono il primo partito in parlamento. In vista delle elezioni al Quirinale, meglio evitare scorribande.

L’arte del compromesso si è dispiegata pure sul decreto Concorrenza. Vedi i balneari. L’Unione ha aperto da tempo una procedura di infrazione per la mancata applicazione della direttiva Bolkenstein. Approvata nel 2006, obbliga a bandire gare per la concessione di beni pubblici. Come le spiagge appunto, che in Italia appartengono al demanio. L’Antitrust ricorda: i quasi 30.000 lidi fruttano solo 115 milioni, di cui appena 83 riscossi. Ma il giro d’affari stimato è di 15 miliardi l’anno. Draghi traccheggia. E a salvare, temporaneamente, i balneari arriva un ciambellone dal Consiglio di Stato: la sentenza procrastina a inizio 2024 il fatidico istante riformatore. Provvidenziale: la legislatura scadrà mesi prima.

Nel dubbio, il premier aveva aggirato l’ostacolo, piuttosto che saltarlo. Urge mappare le concessioni. Servono sei mesi. Rino Formica, indimenticato teorico della politica «sangue e merda», maramaldeggia: «A me però, nel 1981, quando ero ministro delle Finanze, le diedero i pochi giorni». Nel dubbio, meglio prendere tempo. Anche su taxi, acque minerali e termali, frequenze. Operazione trasparenza, assicura Draghi. «I cittadini potranno così verificare quanto ciascuno paga per esercitare la sua attività». Sarà. Assomiglia però all’ennesimo cedimento. Ogni categoria di liberalizzati vanta in aula battaglieri difensori. Meglio soprassedere. S’è già fatto con la riforma del catasto. Un caposaldo del Pd. Di fronte alla strenua opposizione del centro destra, il premier glissa. Serve, pure in questo caso, certosina mappatura dell’esistente.

Il nuovo superpotere di SuperMario è schivare le supergrane. Servirà ancora. Con il cloud della pubblica amministrazione, per esempio. «Entro il 30 giugno assegneremo la concessione pluriennale» giura in primavera il ministro per l’Innovazione tecnologica, Vittorio Colao. Progetto epocale. Una nuvola virtuale su cui far migrare i dati informatici. L’Europa ci guarda con apprensione, ma siamo alle offerte preliminari. Inarrivabile resta però il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. Mancano i professori, nonostante avesse giurato e spergiurato sulla fine della supplentite. E le nuove regole per la quarantena, niente Dad con un solo positivo in classe, sono entrate in vigore l’8 novembre: al risalir dei contagi e due mesi dopo l’inizio delle lezioni.

Sui trasporti, uno scaricabarile via l’altro, non s’è fatto nulla. In compenso vengono stanziati, lo scorso agosto, 410 milioni per l’avvio in sicurezza. «Un conto è aprire le finestre in inverno a Bolzano, altro è farlo a Palermo…» segnala Bianchi. Come consigliato dal Cts, servono appositi impianti. «Abbiamo dato 350 milioni per strumenti di aerazione alle scuole pubbliche e 60 alle private» gongola il ministro. «Sono sicuro di aver messo le persone in condizione di esercitare la loro responsabilità».

In Italia però ci sono più di 53.000 scuole. Visto lo stanziamento, farebbero in media meno di 8.000 euro a istituto. Cifretta con cui, ben che vada, si riesce a intervenire su un paio di classi. Dunque, finestre spalancate. Anche nella gelida Bolzano. Eppure Draghi, lo scorso febbraio, nel suo discorso per la fiducia al Senato, aveva rimesso finalmente la scuola al centro del dibattito: dovevamo recuperare il tempo perso con la didattica a distanza, allinearci agli standard europei, sviluppare l’istruzione tecnica, adeguare il calendario alla contingenza.

In cima alla lista dei desolanti, Bianchi però rivaleggia con la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. Rispetto al 2020, gli sbarchi sulle coste italiane sono raddoppiati. Il patto di Malta, che prevede la redistribuzione degli arrivi, è carta straccia. Ma il premier, cavallerescamente, non fa mai mancare la sua solidarietà all’ex prefetto, attaccata anche per disastrosa gestione dell’ordine pubblico nel rave di ferragosto e la manifestazione contro il green pass tracimata nell’assalto alla Cgil.

C’avevano detto, come cantava Francesco De Gregori, «non è da questi particolari che si giudica un giocatore». Appena eletto, tutti preconizzavano: in autunno, vedrete il vero fuoriclasse. L’ex banchiere del «Whatever it takes». L’inarrivabile liberista. Invece, pure sulla manovra, Draghi non è mai tornato quel macina ostacoli che ha triturato ogni dissenso su emergenza e green pass. Persino il taglio della selva di sgravi fiscali, spesso ridondanti e iniqui, pare dimenticato.

E pensare che il suo consigliere più fidato, l’economista Francesco Giavazzi, è ritenuto il massimo esperto in materia. Tanto da aver consegnato, una decina d’anni fa, un dettagliato piano al governo, guidato allora da Mario Monti. Nemmeno il bubbone cosmico del Monte dei Paschi, storica banca del Pd sull’orlo del fallimento, trova soluzione.

Così, avanza il dilemma. E se anche l’insuperabile Draghi fosse un democristianone? Quando arrivò a Palazzo Chigi, lo scorso febbraio, tutti si chiedevano: ma è di destra o di sinistra? «È uno dei nostri» giubila Silvio Berlusconi. «È uno dei nostri» assicurano al Nazareno. Domanda malposta, giura la sterminata pletora di entusiasti: Draghi è oltre. Fluttua nell’empireo degli irraggiungibili. Sono passati nove mesi. Sul volto del salvatore della patria, di tanto in tanto, sembra disegnarsi l’indimenticabile ghigno andreottiano.

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