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Quei malati di mente senza cuore

Quei malati di mente senza cuore

Il caso del domestico che ha gettato il bambino dal balcone ripropone un dramma mai risolto: i pazienti psichiatrici di cui, in Italia, nessuno si occupa davvero.


«Con la legge Basaglia si sono chiusi i manicomi, luoghi pubblici obiettivamene deplorevoli ma, seppur senza volerlo, sono stati aperti tanti piccoli manicomi familiari». Questa è la sintesi di una madre di famiglia, Rosanna, raccontata a Panorama (in un articolo di Vincenzo Caccioppoli): mamma di un figlio di 53 anni, da 24 affetto da schizofrenia acuta, che ha malmenato lei e il marito e ha dato fuoco all’appartamento di un vicino che non gli apriva la porta.

La recente cronaca del domestico che, a Napoli, ha buttato giù il bambino dal balcone rilancia con forza un problema drammatico del nostro Paese: i tanti malati mentali abbandonati a se stessi, spesso poco o male seguiti, lasciati nello spazio di una libertà malintesa, liberi di fare del male a se stessi e agli altri.

Alla legge Basaglia (la «180» del 1978) si è aggiunta nel 2014 quella che prevedeva la chiusura definitiva di tutti gli Opg (Ospedali psichiatrico giudiziari) lasciando senza strutture i malati di mente che hanno compiuto reati, un caso unico. Come ha detto giustamente Renzo De Stefani, ex direttore del Dipartimento di salute mentale di Trento e fondatore del movimento «Le parole ritrovate» che aiuta migliaia di utenti dei Centri di salute mentale (Csm): «Dalla morte di Franco Basaglia, più di 40 anni fa, la salute mentale è uscita dal dibattito politico e mediatico e, con lei, sono scomparsi quasi un milione di persone colpite dalle malattie mentali pesanti e due/tre milioni di loro familiari».

In Italia lasciare le norme a metà non è una novità; come la legge Basaglia avrebbe dovuto essere completata – nella sua applicazione – con un’ampia rete di servizi territoriali per i malati psichiatrici, così la «194» sull’aborto avrebbe dovuto fornire percorsi e opportunità di accompagnamento alle donne che devono affrontare questo drammatico problema.

Andiamo a vedere chi segue i malati psichiatrici 24 ore al giorno. Secondo il Censis, nel 2019 a occuparsene sono stati per il 54,8% dei casi i genitori, per il 19% fratelli e sorelle, per l’11 i partner che si sono trovati sulle spalle un macigno economico, sociale e professionale. Alle prese con un problema che, nel migliore dei casi, hanno fronteggiato ricorrendo alla loro sensibilità, alla loro intelligenza, al loro amore; purtroppo tutto ciò non basta perché si tratta di malattie e le malattie non si curano con l’amore, ma con la competenza e la professionalità di chi sa come fare.

Il domestico napoletano, probabilmente schizofrenico, era seguito da un servizio di igiene mentale, ma nessuno aveva avvertito la famiglia. A chi spettava? Non è stato fatto per rispetto della privacy? In tal caso la privacy avrebbe prevalso su un’informazione che riguardava la «pericolosità sociale» del soggetto. Purtroppo, ancora una volta, dobbiamo parlare di numeri e di soldi messi a disposizione per i 140 Dipartimenti di salute mentale (Dsm), in genere uno per ogni Azienda sanitaria territoriale (Ast).

Questi dipartimenti in Italia si presentano in modo molto variegato sia da un punto di vista organizzativo sia di qualità e quantità del personale sia come orari di apertura. Secondo un documento del maggio 2021 redatto dal Tavolo tecnico salute mentale, insediato presso il ministero della Salute, l’analisi dei dati 2015-2019 relativi ai dipendenti dei Dipartimenti di salute mentale documenta la carenza del personale. A fronte della crescita di persone afflitte da malattia psichiatrica, si è passati da 29.260 operatori nel 2015 a 28.811 nel 2019 (-1,6%): ossia 56,8 operatori ogni 100.000 soggetti, quando lo standard minimo nazionale richiesto sarebbe di 66,6.

La figura professionale maggiormente rappresentata è il personale infermieristico: categoria scesa da 16.410 lavoratori del 2015 a 12.877 del 2019. Sarebbe sbagliato sottovalutare l’importanza di questa figura: è agli infermieri che spesso viene affidata la prima accoglienza, sono loro a seguire il malato dopo la prima visita e a controllare che le cure siano applicate come si deve, anche perché spesso le famiglie non sono in grado di farlo.

Sempre nello stesso documento, si afferma che la capacità assistenziale della dirigenza dei Dsm è in grado di coprire solo il 55,6% del fabbisogno clinico-assistenziale-riabilitativo in carico al 2016. I dati preliminari del 2019 evidenziano un ulteriore divario. La conclusione è semplice. Ha ragione Rosanna, la madre citata all’inizio: dai manicomi istituzione ai manicomi familiari.

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