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Le donne migliorano le aziende (e l’Italia)

Le donne migliorano le aziende (e l’Italia)

Le imprese con una forte presenza femminile hanno performance più elevate delle altre. Una lezione che dovrebbe valere per l’intero Paese.


Le imprese che hanno almeno il 30% di donne collocate nei luoghi dove si decide vanno meglio delle altre. Non è una novità. In questo senso si erano espressi da tempo la Banca d’Italia, il Fondo monetario internazionale e il World economic forum, nonché innumerevoli studi di ricercatori e professori italiani. E lo ribadisce ora una ricerca effettuata dal Cerved rating agency: quando nei «board» delle aziende la percentuale della presenza femminile supera il 30%, si registrano migliori performance: profili di rischio inferiori e una leva finanziaria più bassa; e, quando «lei» è amministratrice delegata, cresce anche la redditività, il cosiddetto Mol.

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere ci dice, nella sua ultima edizione, che l’Unione europea ha raggiunto un punteggio di 67,9 su 100. L’Italia è ferma al 63,5, al 14° posto tra gli Stati membri europei. Nel nostro Paese questi dati vengono confermati periodicamente da una newsletter curata dalla Onlus Donne e Futuro, guidata dall’avvocato onorevole Cristina Rossello; riporta dati sulla disparità di trattamento in particolare nei riguardi delle donne che hanno, diciamo così, un doppio lavoro: mamme a casa e lavoratrici in azienda.

Del resto, come dicevamo, questa situazione è stata citata spesso in Italia da vari studiosi, tra cui Maurizio Ferrera: nel suo saggio del 2008, Il fattore D. perché il valore delle donne farà crescere l’Italia, scriveva che «non facendo largo alle donne», il Pil era destinato a una stagnazione, perché sono loro a essersi rivelate il vero motore dell’economia mondiale. Infatti, nell’ultimo decennio che analizzava, Ferrera registrava che negli altri paesi sviluppati, Italia esclusa, l’occupazione femminile aveva contribuito alla crescita globale più dell’intera economia cinese.

Il motivo è evidente: il lavoro delle donne è un fattore di crescita decisivo perché contribuisce all’aumento della ricchezza delle famiglie che sono, come è noto, insieme alle imprese, il bimotore che spinge l’economia nella sua crescita. Perché le aziende con oltre un terzo di donne nei loro consigli direttivi funzionano meglio? Evidentemente il maschilismo aziendale produce fenomeni di sclerotizzazione nei comportamenti gestionali. In parole povere, gli uomini se la cantano e se la suonano.

Visto che siamo in tempi di Covid, diciamo che l’«inoculazione» di donne all’interno delle imprese produce effetti che derivano da due fattori. Il primo è relativo alla freschezza, alla novità e al cambio di prospettiva che, comunque, la presenza di una donna porta naturalmente con sé. Non c’è infatti dubbio che le loro sensibilità e attitudini complessive nei confronti del mondo siano diversa da quelle degli uomini: una visione solo maschile è immancabilmente zoppa, monca, mancante dell’«altra metà del cielo».

Secondo, da sempre è riconosciuto alle donne un livello di praticità proveniente, nella stragrande maggioranza dei casi, dal dover gestire più cose nello stesso tempo, ciò che le porta ad avere un atteggiamento veloce e concreto nei confronti dei problemi da risolvere. Quello che avviene normalmente nella vita quotidiana si riproduce fedelmente all’interno della vita delle imprese.

Certo, non si può generalizzare, non tutte le donne hanno gli stessi talenti – come del resto non tutti gli uomini che però, in quanto tali, godono di un privilegio aziendale a prescindere -, né pari capacità manageriali. Sarebbe una visione ideologica quella che dice il contrario. Ma i numeri non c’entrano nulla con l’ideologia, e le ricerche di cui abbiamo parlato (e potremmo elencarne un’infinità) sono fatte di cifre, di indagini, in una parola: di realtà. I numeri non sono ideologici. Rappresentano la realtà, vanno interpretati. E in questo caso ci pare che l’interpretazione sia particolarmente semplice e molto esplicativa.

Queste che ho citato non sono quote rosa, sono quote e basta. Non sappiamo se siano la strada giusta perché il problema da superare è il fatto che, nonostante i numeri, permane una mentalità arretrata, anacronistica, in termini psicoanalitici potremmo definirla ancestrale. L’uomo va fuori a cacciare le prede e la donna sta nell’accampamento a fare figli e a preparare da mangiare al maschio che torna dalla caccia. In certi casi anche dopo migliaia di anni: pure col tempo e pure con la paglia le sorbe non maturano. Ma la speranza è l’ultima a morire.

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