Sei medici «over 70» offrono il proprio lavoro, senza stipendio, negli ospedali in emergenza Covid. Un gesto straordinario, che il governo dovrebbe accogliere.
Un’eccellente notizia. In una lettera alla Repubblica sei primari in pensione (tra cui anche alcuni professori universitari) si mettono a disposizione per lavorare negli ospedali per un biennio senza stipendio, ma solo con l’assegno a cui hanno diritto. «Durante l’emergenza pandemica» scrivono «il pensionamento di tanti medici non sempre prontamente sostituiti da nuove indispensabili assunzioni ha determinato crescenti difficoltà in tutti i settori della medicina, incluse le attività medico-chirurgiche specialistiche.
In questa complessa congiuntura siamo numerosi a offrire la nostra disponibilità, esperienza e competenza, rimanendo operativi al nostro posto per altri due anni oltre l’attuale limite di settanta». E fin qui siamo nell’ambito di un’azione bella, altruistica, magnanima che ci dimostra quale giacimenti di umanità ci siano nel nostro Paese, spesso non favoriti, se non addirittura ostacolati (vedi l’incompiuta riforma fiscale nel settore del volontariato e del no-profit).
Speriamo che l’offerta, due anni di lavoro senza stipendio, dei primari in età pensionabile non trovi da parte della burocrazia e dell’organizzazione sanitaria qualcuno che si appigli a un cavillo idiota e nefasto e impedisca che si concretizzi questa generosa disponibilità di medici. Sanitari, tra l’altro, che vantano una grandissima esperienza e, per quanto ne sappiamo, sono tutti clinici apprezzati.
E qui si inserisce il secondo elemento che rende la proposta particolarmente interessante e utile perché, come scrivono i primari stessi (Carlo Antona dell’Università di Milano, Michele Battaglia dell’Università di Bari, Nicola Mangialardi e Francesco Musumeci del San Camillo di Roma, Giancarlo Palasciano dell’Università di Siena e Francesco Talarico del civico di Palermo, a nome di molti altri primari disponibili), «ciò consentirebbe, da una parte, l’efficienza utile a fronteggiare l’attuale criticità e dall’altra a sostenere l’ingresso e a completare la formazione dei giovani medici».
Questo aspetto, che potrebbe a prima vista apparire marginale, nella realtà non lo è perché, soprattutto in fasi emergenziali come in pandemia, i giovani medici vengono «gettati» in trincea senza un indispensabile accompagnamento all’inizio della loro pratica ospedaliera. Per loro, questi primari sarebbero una manna venuta dal cielo: la loro presenza in ospedale, ormai al di là di ogni aspirazione carrieristica e gestione baronale, sarebbe un potenziale formativo ed educativo nei confronti dei giovani e naturalmente poco esperti colleghi.
Sono sempre i primari a scrivere: «Se il governo varasse un provvedimento ad hoc, valido solo fino al 2025, quando l’Italia sarà sperabilmente uscita dall’emergenza Covid, consentendoci di dare volontariamente il nostro aiuto sul fronte dell’emergenza sanitaria, saremmo disposti a rinunciare allo stipendio ricevendo solo la pensione maturata al settantesimo anno, senza alcun aggravio per le casse dello Stato. Questa è la nostra offerta d’aiuto, che naturalmente rimettiamo alla valutazione del governo».
Non abbiano alcun dubbio che se l’iniziativa fosse accolta dal governo attraverso la semplice applicazione di strumenti amministrativi che probabilmente non hanno bisogno neanche di interventi di legge, ebbene, a questo gruppo di medici si unirebbe spontaneamente una schiera di altri primari in età pensionabile.
Speriamo che il governo – in particolare il ministro della Salute, Roberto Speranza – si mostrino tempestivamente ed entusiasticamente favorevoli a questa eccellente proposta che, oltre a non comportare spese (come rilevato dai primari), non avrebbe ovviamente nessuna ripercussione negativa sulle nuove assunzioni essendo questi medici, a tutti gli effetti, fuori dall’organico degli ospedali in quanto pensionati.
Speriamo che qualche dissennato non sostenga che così si toglierebbe spazio ai giovani, perché in realtà sarebbe proprio il contrario: favorirebbe un loro migliore ingresso, «accompagnato» da colleghi al termine del percorso lavorativo e con un’importantissima esperienza alle spalle, maturata in anni e anni di corsia. Troppe sono ancora le situazioni in cui il Paese, sanitariamente, non è all’altezza. Si veda, per esempio, il disastro della bambina morta a due anni di Covid perché nella sua regione, la Calabria, non c’era neppure una terapia intensiva pediatrica. Certo, una simile carenza non la potranno risolvere quel gruppo di primari ma potranno dare il loro contributo.
