Il racconto e la rappresentazione contemporanea della Valle del Po. Un centinaio di pittori sono riuniti per un evento espositivo al Padiglione d’arte di Ferrara. Spazi e apparizioni, luci e ricordi. Così un territorio reale diventa un nuovo, potente mito.
Realisti, onirici, surrealisti, solitari. Molti dei pittori che io ho tentato di salvare sul fronte, contro l’avanguardia extrapittorica, hanno trovato un porto sicuro nella passione di uno scrittore senza pregiudizi e senza dogmi: Camillo Langone. La pittura è «mimesis», per lui e per me. Certo lo può essere in diversi modi, anche attraverso immagini che non escono dal pennello. La fotografia, il computer, la matematica, il teatro suggeriscono spazi e forme nuove. Ma quella che Langone ricerca, e ora propone, è la stessa che io ho per tanti difficili anni difeso, e definito «arte segreta». E tale per molti resta, mentre a Ferrara furoreggia, con il suo linguaggio abbreviato e popolare, ma certamente realistico, Banksy.
Il campo fu ben diviso, da Leonardo Cremonini, in arte applicata e arte implicata. Sottile interpretazione. Che uno scrittore coltivato si misuri con un artista dà più garanzie del rapporto ordinario, e talvolta prezzolato, di un critico. Lo scrittore è capriccioso, selettivo, perfino con quello che gli piace. Per questo vorrei partire con l’ultima opera che è entrata in questa mostra sorprendente, dal titolo Pittori fantastici nella Valle del Po.
Con l’aggettivo «fantastico» abbiamo voluto intendere sia il significato letterale, legato alla fantasia e al sogno, sia il significato enfatico, ammirativo. Pittori superlativi e, soprattutto, pittori. Negli anni si sono distinti due virtuosi d’eccezione, uno nato con me, Lino Frongia, l’altro enfaticamente sostenuto da Langone, Giovanni Gasparro. Ma a riprova della inclinazione al vizio e all’errore dei critici cosiddetti militanti, il pittore con cui si apre questa selezione fu individuato, sullo scorcio degli anni Settanta, quando la figurazione riprendeva timidamente vigore con i conati «nuovi» di Salvo, mentre la grande pittura declinava nel costante impegno di Riccardo Tommasi Ferroni, da Achille Bonito Oliva, certo non uno spirito gentile. Era, e fu subito abbandonato dal critico salernitano, Wainer Vaccari.
Eccolo oggi con un dipinto di ispirazione mitologica: In acqua dolcissima. Una ninfa appare, mentre si spinge dal bosco sull’argine verso l’acqua perlacea del fiume. Quella luce l’ho vista, quel cielo, quel verde li porto dentro. Di questi luoghi del fiume, più vicini al Delta, ci racconta Lucio Scardino, ricordandoci il Po a Pontelagoscuro di Mimì Quilici Buzzacchi e i cieli grigi di Galileo Cattabriga.
Fra i ferraresi nel cielo più alto, Adelchi Riccardo Mantovani, nato a Ro Ferrarese dove i miei genitori avevano casa e farmacia, emigrò, nei primi anni Settanta, per fare l’operaio a Berlino dove si scoprì pittore autodidatta, di fantasia così libera e sognante, da trovarsi a ripartire dal Salone dei Mesi della Delizia di Schifanoia, come se fosse uscito dalla bottega di Francesco del Cossa.
Chiuso nel suo studio a Berlino, poteva passeggiare con la mente per le strade di Ferrara, e nei cortili e corridoi delle scuole, come se altro mondo non vi fosse.
Il suo sogno, come il mio, fu sempre sul fiume di cui ci restituisce l’incanto nel Notturno padano, sotto la luce della luna piena. Il paese sul fiume è sempre Ro, di cui la spaziosa piazza, al centro della vasta campagna, è il teatro di un’Allegoria del bene e del male. Poco lontano, a Crespino, Vanni Cuoghi e Nicola Verlato immagineranno, in diversi modi, la Caduta di Fetonte nel fiume, mentre le dolenti sorelle Eliadi si trasformano in pioppi, straziate dal dolore e piangendo lacrime d’ambra.
Langone non si ferma a Ferrara. Come Mario Soldati, fa il suo viaggio sul Po, accompagnato dai pittori, dal Monviso al Delta, e ne incrocia diversi come ispirati poeti: Moira Franco, che vede la nebbia a Pian della Regina; Daniele Galliani davanti alla luminosa gran Madre di Dio a Torino; in Val Susa, Guido Bisagni che cerca pietre sacre; nella bella pianura cuneese Valentina d’Amaro, immersa nella sua sintesi verde. Ritrova i bellissimi cani che braccano un cinghiale di Federico Guida, mentre lungo il tratto lombardo del Po incrocia nel verde Annalisa Fulvi, Gabriele Gromes, Gianluca di Pasquale, Letizia Fornasieri.
Vicino a Piacenza, a Isola Serafini e a Vallonia, sotto il cielo grigio, Langone vede, nel placido andamento del fiume, tra alghe e sabbie, Riccardo Taiana. Non è solo paesaggio ma anche genti padane, uomini e donne, il senso del grande fiume che troviamo nel sapiente Nicola Biondani, nel fantasioso Marco Mazzoni, nel dolente Daniele Vezzani.
Il surrealismo padano nella sua più sontuosa esibizione si manifesta in Enrico Robusti, scatenato in vertiginosi punti di vista. Una pittura densa e forte, più che un disegno di virtuoso senza pari, è espressa da Omar Galliani, nella ricerca neosimbolista ripresa dal figlio Massimiliano. Come un rinnovato amarcord si propone la fantasiosa invenzione di Luca Moscariello; mentre come un novello Ulisse Aldrovandi disegna Marcello Carrà, mostrando una nuovissima creatura: il pesce siluro. Apparve così, all’improvviso, come un mostro di fiume, a un battitore d’argini come lo scrittore polesano Gian Antonio Cibotto, fino a guadagnarsi il titolo di uno dei cinque evocativi film dedicati da mia sorella Elisabetta al Po: Il pesce siluro è innocente.
Ambienti estremi abbandonati, in prossimità del fiume, illustra, in uno spazio doloroso, Andrea Chiesi. A Nicola Samorì tocca la magistrale rielaborazione di uno dei dipinti assoluti della pittura del Rinascimento ferrarese, in una natura padano-lunare: il San Giovanni Battista di Ercole de’ Roberti, ascetico e prosciugato nella sua spettrale magrezza, trasfigurata nell’onice.
Avanza Langone, e trova una ispirazione dossesca in Sergio Padovani: è un esito surrealista fondato su una magia di Circe o di Melissa, protettrice di Bradamante nell’Orlando Furioso. Un cupo paesaggio notturno, come su un nuovo succo d’erba, dipinge Cuoghi Corsello. Mentre Nicola Nannini racconta di un paese in golena, con le povere case in laterizio, nella grigia luce d’autunno. Il ferrarese Gianfranco Ghiberti, maestro di tante stagioni, propone un suo libero paesaggio padano con l’intensità lirica di uno spaesato Piero Guccione.
Con disarmata semplicità osserva il fiume e la pianura Sergio Zanni, scultore di consumate argille, mentre Aurelio Bulzatti insegue le muse inquietanti di Giorgio De Chirico nelle strade e nelle piazze ferraresi. Giuseppe Frangi vede le vaste campagne verso il Delta, dall’alto, come labirinti della mente. E siamo al bosco della Mesola con i cervi liberi di Marco Cingolani: Vita, morte e miracoli. Nella valle di Scardovari, dove i miracoli sono di luce, sotto le nuvole grigie, in una desolazione che è pura poesia, silenzio, solitudine, ci porta Barbara Nahmad.
Alla foce, nel fervore del mercato del pesce, troviamo Luca Zarattini. Finalmente, con Enrico Minguzzi, in una notte tempestosa, entriamo nel mare. Il viaggio di Langone, accompagnato dai pittori, è terminato. La varietà dei paesaggi si rispecchia nella infinità degli stati d’animo. Quelli che hanno interpretato Ludovico Ariosto e Torquato Tasso e poi, figli del fiume, Riccardo Bacchelli, Corrado Govoni, Michelangelo Antonioni, Giorgio Bassani, Gian Antonio Cibotto, Florestano Vancini, Folco Quilici, Roberto Pazzi.
Ma l’elenco non sarebbe completo senza Alfonso Ferraguti, con i suoi versi in lingua ferrarese: «Vola, nuvla, pr’al zziel …vola luntan! /e ‘nt il to man/, più alzieri d’una pluma ad fior d’ radecc/ portam vie’ la memoria/ e mi an sarò mai vecc!». Li ricordava a memoria mio padre che, ultranovantenne, aggiunse un tassello essenziale agli stati d’animo dei pittori fantastici della Valle del Po, girando un cortometraggio ispirato a Edvard Munch e dedicato a sua figlia, per lasciarci memoria del suo sentimento del fiume, vissuto, lungo l’argine del tempo, dall’infanzia, attraverso la biblica alluvione, fino agli ultimi giorni della sua vita. Con questa immagine si chiude il viaggio del Po.
