Al di là della retorica risorgimentale, l’impresa di Giuseppe Garibaldi che libera la Sicilia dai Borboni e getta le basi per la riunificazione italiana non parte sotto i migliori auspici, tra difficoltà logistiche e improvvisazione. Ma i «poteri forti» del tempo hanno deciso che quello sbarco si deve fare a tutti i costi…
Lo scoglio sta al suo posto da quando Genova non esisteva nemmeno. Intatto e immobile nei secoli dei secoli, giusto con un profilo appena addolcito dalle mareggiate. Però una citazione nella storia l’ha conquistata quando, nella notte del 5 maggio 1860, Garibaldi con le camicie rosse partì alla conquista del Sud.
Da allora non è più una roccia qualunque. È lo scoglio di Quarto dei Mille che – neanche si trattasse di un santuario – è diventato la meta del pellegrinaggio di una quantità di associazioni che, quella partenza, hanno già idealizzato e trasformato in mito.
I libri di storia della scuola se la sbrigano con il descrivere l’abbordaggio ai due bastimenti come l’agguato di un commando, capace di colpire come fulmine per dileguarsi come ombra. In realtà l’operazione si rivelò un po’ più complicata. Le caldaie del primo battello – il «Piemonte» – fecero il loro dovere ma quelle dell’altro – il «Lombardo» – non ne vollero sapere di avviarsi. Qualche accenno di movimento, come un colpo di tosse, poi gli ingranaggi tornarono ad ammutolirsi.
Dopo un paio d’ore di bestemmie, i normali macchinisti si arresero e vennero sostituiti da due ingegneri, Orlando e Campo, che cominciarono ad armeggiare su quei congegni senza peraltro venirne a capo. Smontarono qualche pezzo e lo lubrificarono con petrolio ma, al momento di avviarsi, i motori non prendevano tono. Con la luce dell’alba, per colpa di un pistone reazionario, l’impresa dei Mille correva il rischio di fallire prima di cominciare
Giuseppe Garibaldi, con i suoi uomini in camicia rossa, aspettava i due bastimenti sullo scoglio di Quarto, qualche miglia marina fuori dal porto. C’erano i volontari, le fidanzate, le amiche, le compagne di una notte e una folla di curiosi «avidi di vederci e di salutarci». Via via che il tempo passava, l’entusiasmo diventava inquietudine e l’inquietudine si trasformava in affanno. Che cosa stava succedendo?
Garibaldi montò su una barca che, a forza di remi, cominciò a muovere verso Genova. Si mise in piedi, sulla prua, come per vedere prima e più lontano, senza reggersi a una cima né appoggiarsi all’albero. Barcollava, quando un’ondata più forte rischiò di scaraventarlo in mare. Fu un marinaio ad acchiapparlo per il bavero dei pantaloni e a trattenerlo a bordo. «Porco qui.. porco là…», anche se era l’eroe dei due mondi doveva starsene seduto e tranquillo: lui, il poncho, la sciabola a tracolla e il berrettino di feltro grigio. Se cadeva in mare nessuno si sarebbe buttato per raccoglierlo e lui, da solo, in acqua, non era granché.
Risolsero di muoversi con i motori del solo «Piemonte». Il «Lombardo» venne agganciato con una fune e trascinato a rimorchio fuori dal porto. I Mille, in attesa, erano «di tutte le ombre e di tutti gli splendori, di tutte le miserie e di tutte le virtù». Storie strane alle spalle. Scappavano da qualcuno o da qualche cosa: mogli abbandonate, amanti infuriate, figli illegittimi, conti da regolare con la giustizia e non sempre per ragioni politiche. I ricchi partirono per il gusto dell’avventura. Gli squattrinati perché si assicuravano la pagnotta e un bicchiere di vino.
Poteva sembrare una compagnia folcloristica: 150 avvocati, 100 medici, 20 farmacisti, 50 ingegneri, 60 «possidenti» e «nessun contadino». Ovidio Sermone, fuoriuscito da Salerno, compariva come «prete»; Luigi Gusmaroli come «ex prete»; Giuseppe Sirtori come «prete spretato». In Sicilia si aggiunse frate Giovanni Pantaleo. Non era difficile morire in pace.
Tentarono di imbarcarsi una quantità di ragazzini e i genitori si precipitarono alla partenza per trattenerli a schiaffi. Uno riuscì a convincere la madre a lasciarlo andare: Riccardo Luzzato, 16 anni, partito con il cuore gonfio di emozione ma destinato a scoppiare al primo assalto.
Altri tre: Gaspare Tibelli, Angelo Vai e Luigi Adolfo Biffi – 17, 16 e solo 14 anni – ingannarono i parenti, nascondendosi sui vapori diretti in Sicilia. Nemmeno loro arrivarono al compleanno successivo. Il più giovane aveva 11 anni – Peppino Marchetti, di Chioggia – ma lui stava per mano a papà il quale, volendo seguire Garibaldi ma non sapendo a chi affidare il figliolo, prese la decisione di portarselo dietro, come si fosse stata una partita di caccia.
All’alba, per strada, comparvero donne che reggevano dei cesti con carciofi per venderli al mercato di Genova. Agli aspiranti guerriglieri era venuta fame e divorarono quelle verdure «così com’erano e tanti ne mangiammo». Non si sa se la pur frugale colazione venne pagata o se l’avventura dei Mille cominciò gratis. Non ebbero il tempo di aspettare due paranze che, da Bogliasco, dovevano arrivare con fucili e munizioni da guerra «con cappellozzi». Quel carico era già finito altrove. Il capo della ciurma, incaricato del trasporto – un certo Selle – guidò i barconi da un’altra parte per contrabbandare il carico, lasciando i Mille con le mani in tasca.
Ma perché preoccuparsi? Tutto – inutile nasconderselo – era stato pianificato dai cosiddetti «poteri forti». Ciò che apparve suggerito dall’entusiasmo e dal patriottismo era, invece, il capitolo di una pièce teatrale da recitare con qualche enfasi. In quelle settimane, il governo di Torino dovette fare i salti mortali. Per un verso, si trattò di assumere una posizione ufficiale che fosse compatibile con il diritto internazionale. In questo senso, l’unica opzione a disposizione imponeva di bloccare la spedizione con ogni mezzo. E davvero sarebbe bastato poco. D’altra parte, avendo deciso di approfittare della situazione per appropriarsi delle regioni meridionali, fu d’obbligo prepararsi a dichiarare e smentire, esibire la faccia costernata e quella da rapina.
Controprova? L’ammiraglio Carlo Pellion di Persano che navigava al largo della Sardegna, nelle condizioni più facili per intercettare i barconi garibaldini, ricevette due messaggi da Torino. Nella lettera ufficiale, la disposizione, perentoria, di fermare i Mille e, in un messaggio riservato, tutto il contrario, l’invito di «navigare tra Garibaldi e gli incrociatori napoletani», con lo scopo evidente di proteggerli.
Certo, i più efficaci risultarono gli inglesi. I quali inglesi, con il Regno delle Due Sicilie avevano una questione aperta per lo sfruttamento dello zolfo che, allora, valeva quanto l’uranio oggi. La Gran Bretagna era riuscita ad assicurarsi un diritto di esclusiva sulle miniere siciliane considerate fra le più ricche. In un primo tempo, i Borbone avevano garantito agli inglesi un monopolio commerciale. Poi tentarono di introdurre qualche elemento di concorrenza affidando una parte di concessione ai francesi della compagnia Taix e Aycard. Lord Palmerston, il primo ministro britannico, protestò per un atto che considerava una specie di esproprio minacciando di trasformare la guerra commerciale in guerra guerreggiata. Alla fine, per le premure degli stati della Santa Alleanza, un giurì d’onore venne incaricato di dirimere la controversia. La sentenza fu inequivoca: le condizioni di monopolio andavano ripristinate. Il contenzioso, risolto sulla carta, lasciò però uno strascico di rancore e diffidenza.
Gli inglesi, per togliere di mezzo il Borbone, prepararono un’operazione a largo raggio che arrivò a coinvolgere le comunità inglesi trapiantate negli Usa.
In una serie di iniziative, coordinate dalla massoneria di Edimburgo, raccolsero tre milioni di franchi francesi. Lo storico Giulio Di Vita, esaminando i documenti delle logge scozzesi, ha trovato le tracce di questa maxi-colletta. Il denaro fu poi convertito in un milione di piastre turche che erano le monete utilizzate nei porti del Mediterraneo.
Il denaro venne girato a Garibaldi che, insieme, agli appoggi politici internazionali e alla complicità non dichiarata ma efficiente di Torino, aveva ragionevoli certezze di vincere, prima ancora di cominciare a combattere… I barconi con i Mille potevano proseguire la loro avventura. Le navi piemontesi di Persano li sorvegliavano stando a una giusta distanza, in modo che i garibaldini sentissero la sicurezza della protezione.
Invece i vapori napoletani non si videro proprio. Il Regno delle Due Sicilie disponeva di una flotta poderosa. Contro i «filibustieri in camicia rossa» vennero mobilitate 12 cannoniere che dovevano perlustrare poche miglia di mar Tirreno. Altre quattro furono dislocate fra Trapani e Marsala. I comandanti portarono i loro legni a navigare chissà dove, in modo da non incontrare i Mille, nemmeno per caso. L’eroe dei due mondi si occupò di comporre una poesia. «Lo straniero mia terra calpesta\ il mio gregge macella, il mio onor\ vuol strapparmi, ma un ferro mi resta\ un acciar per ferirlo nel cuor». Per l’accompagnamento musicale immaginò i ritmi del coro della Norma di Vincenzo Bellini che gli sembravano sufficientemente grandiosi.
Il generalissimo si mostrò tranquillo, disteso, fiducioso. Addirittura ilare.La maggior parte dei suoi uomini incontrò qualche difficoltà in più. Alla deriva da sei giorni, i Mille erano stravolti dal mal di mare e disidratati dal vomito che non potevano trattenere. Sul «Lombardo» la ciurma cominciò a rumoreggiare ma il patriota Nino Bixio stroncò i malumori. «Ho fatto il giro del mondo, sono stato naufrago e prigioniero ma qui comando io». Conclusione: «Vengo prima del Padreterno». Finalmente avvistarono una barca con otto pescatori che si buttarono in ginocchio, chiedendo misericordia. Dovettero faticare per spiegare che erano lì per «liberare» il Regno delle Due Sicilie. Il padrone della barca, Antonio Strazzieri (o Strazzeri) (o Strazzera), a giudizio degli agiografi della spedizione, appariva corto e largo, con una pancia ridondante che lo faceva sembrare simile a un tonno.
Ci vollero un paio di sorsi di vino per cavargli qualche parola di bocca. Navi? «Pigghiaro ‘u largo». E truppe? «Iera partieru… ‘un sacciu unni…». L’uomo-tonno, di questa conversazione, si vantò in seguito: «Io la fici l’Italia» e qualcuno gli dette credito perché lo autorizzarono a riscuotere una piccola pensione.
Il campo era libero (come previsto). Tanto valeva attraccare. Ma anche qui qualche problema. I nocchieri in camicia rossa erano giusto in grado di tenere il timone nelle mani. A Marsala, al momento dello sbarco, uno dei due vapori riuscì a centrare l’entrata del porto mentre l’altro si infilò in un cumulo di sabbia, incagliandosi. Qualche settimana più tardi, l’Illustrated London News pubblicò la lettera di un ufficiale inglese, testimone dell’episodio. «Sbarcavano e si avviavano a piccoli gruppi verso la città, senza fretta, come se si fosse trattato di un convegno. Ci vollero le barche dei pescatori di Marsala a fare la spola fra la nave e la terraferma per gli uomini intrappolati sul Lombardo nei bassi fondali. Entravano nelle barche con calma come se fossero l’equipaggio di un canotto alle regate di Spithead. Una volta sulla spiaggia, marciarono per quattro». Come in parata. Come a teatro.
