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La nave del terrore che portò Italia e Stati Uniti sull’orlo dello scontro

La nave del terrore che portò Italia e Stati Uniti sull’orlo dello scontro

Trentacinque anni fa il sequestro dell’Achille Lauro da parte di quattro esponenti legati al Fronte nazionale della Palestina portò all’uccisione di un turista americano, Leon Klinghoffer. Ma la promessa della liberazione del commando da parte del governo Craxi fece infuriare il presidente statunitense Ronald Reagan. E Roma e Washington arrivarono a un passo dal conflitto.


Trentacinque anni fa, il 7 ottobre 1985, il dirottamento della nave Achille Lauro rischiò di trasformarsi in una carneficina e, come conseguenza diretta, provocò un crisi diplomatica fra Italia e Stati Uniti. Le relazioni fra i due Paesi si raffreddarono fino a toccare il minimo storico di tutti i tempi. La vicenda cominciò con quattro terroristi legati al Fronte nazionale della Palestina che, come turisti interessati a visitare le coste del Mediterraneo, s’imbarcarono a Genova. Esibirono passaporti emessi in Ungheria e in Grecia e due di loro, insieme ai bagagli, riuscirono a portare a bordo un piccolo arsenale di rivoltelle e quattro mitragliette kalashnikov. La programmazione degli attentati sconta sempre un margine di approssimazione. Questa sembrò disordinata fin dall’inizio.

Il commando era composto da personaggi incolore con preparazione approssimativa e idee abbastanza confuse. Più che pretese rivolte all’esterno, andavano in cerca di credito all’interno dei gruppi militari palestinesi di cui quali facevano parte ma dai quali evidentemente non erano granché apprezzati. A dimostrazione della scarsa considerazione dei vertici dell’Olp, i palestinesi non rivendicarono l’iniziativa e, quasi, ne presero le distanze come se si fosse trattato dell’azione di qualche loro scheggia impazzita. L’Achille Lauro, muovendosi con la navigazione pigra delle crociere, in quattro giorni, aveva attraccato al porto egiziano di Alessandria, da dove era ripartita il giorno successivo, a metà mattinata.

I quattro intervennero all’ora di pranzo, quando la nave era appena entrata in acque internazionali. Al comandante dell’Achille Lauro, Gerardo De Rosa, intimarono di far rotta verso il porto di Tartus in Siria. A Damasco, il capo dello stato Hafiz al-Assad (padre dell’attuale Bashar) diede inizialmente l’autorizzazione all’attracco ma, immediatamente dopo, in seguito alle pressioni ricevute dagli Stati Uniti, la rifiutò. Situazione pericolosa e – potenzialmente – esplosiva. Una città galleggiante si trovò ferma in mezzo al Mediterraneo, senza una rotta da seguire né un porto cui fare riferimento.

I terroristi non avevano l’appoggio incondizionato della loro organizzazione, ma non per questo dovevano essere considerati meno temibili. Anzi, il fatto di sentirsi scaricati, senza consenso all’interno dei loro gruppi ed esposti alle reazioni dei paesi occidentali, rischiava di trasformarli in elementi impazziti. A bordo erano imbarcati 201 passeggeri e 344 uomini dell’equipaggio ognuno dei quali rappresentava un ostaggio e potenzialmente una vittima.

Comunicarono che, ogni tre minuti, ne avrebbero ammazzato uno. In realtà solo una persona rimase uccisa: Leon Klinghoffer, statunitense per passaporto, ebreo per religione, costretto su una sedia a rotelle in seguito a un ictus che l’aveva colpito un paio d’anni prima. A sparargli una rivoltellata a bruciapelo fu Youssef al-Molqi. Poi il commando si sbarazzò del cadavere spingendolo dalla poppa nell’acqua del mare.

Gli Stati Uniti erano affidati alla presidenza di Ronald Reagan. Il premier, in Italia, era il socialista Bettino Craxi con Giulio Andreotti, ministro degli Esteri. In un primo tempo, s’immaginò un’azione di forza che, più che rischiosa, dovette sembrare disperata. La tecnologia allora era quella che era. Impensabile individuare i terroristi con i satelliti o i termoscanner che, attualmente, consentono l’esatta rilevazione delle sagome e la loro posizione, In quegli anni, occorreva confidare nella sorpresa e agire d’istinto. Ma, inevitabilmente, era necessario mettere nel conto un numero di morti fra gli ostaggi. Anche a decine. Quando gli incursori del reparto Col Moschin furono pronti a entrare in azione, partendo dalla base di Akrotiri, a Cipro, la diplomazia impugnò le redini della crisi, avviando una trattativa che arrivò a coinvolgere gli stessi vertici del Fronte di liberazione della Palestina. Il numero uno dell’Olp Yasser Arafat mise a disposizione Abu Abbas e Hani al-Hassan perché collaborassero con i Paesi occidentali proponendosi come mediatori. Infatti, promettendo loro l’impunità, i quattro del commando accettarono di arrendersi. L’Achille Lauro ritornò in acque egiziane e gettò l’ancora a Port Said.

Immediatamente un Boeing accolse i dirottatori con coloro che avevano seguito la trattativa e un gruppo di agenti dei servizi egiziani. Era previsto che volasse a Tunisi dove, in quei mesi, Arafat e l’Olp avevano trasferito il loro quartier generale. L’aereo fu fermato prima. Gli americani (circostanza prima sconosciuta) scoprirono che il dirottamento dell’Achille Lauro non era avvenuto senza spargimento di sangue. Un loro concittadino era stato assassinato brutalmente e ritennero di dover riconsiderare gli accordi di salvacondotto che pure avevano avallato. I «caccia» statunitensi intercettarono l’aereo e lo costrinsero all’atterraggio alla base di Sigonella, che è un centro della Sicilia ma anche una base controllata dalle forze Usa. Il braccio di ferro ebbe momenti drammatici.

Reagan, da Washington, pretendeva che i terroristi gli venissero consegnati in modo da essere giudicati dalla giustizia a stelle e strisce. Craxi intese rispettare gli accordi internazionali, considerando illegittima l’insistenza americana. La querelle non si limitò a qualche intemperanza verbale. Si rischiò uno scontro armato. I carabinieri e gli uomini della Vam (Vigilanza aeronautica militare) si schierarono intorno al Boeing a sua difesa mentre quelli della Delta Force si disposero per assaltarlo.

Ore di grande tensione. Il governo italiano dispose di trasferire l’aereo da Sigonella a Roma Ciampino «per avere la possibilità di compiere alcuni accertamenti alfine di verificare» quali fossero le responsabilità dei membri del commando. Il cuore del problema stava nella possibilità di comprendere se i quattro avessero agito di testa loro o se fossero le pedine di un gioco orchestrato dal vertice dell’Olp. E, in questo caso, Abu Abbas non sarebbe stato considerato un mediatore ma un mandante.

Trasferimento drammatico. Il Boeing venne accompagnato da un aereo egiziano e da uno dei servizi segreti militari. E una squadra di F-104 come scorta. A pochi minuti dal decollo, un velivolo americano tentò di rompere la formazione italo-egiziana ma non riuscì per l’opposizione dei «caccia» tricolore.

Ancora. Nella notte, un secondo aereo statunitense, dichiarando un guasto meccanico, ottenne l’autorizzazione per un atterraggio d’emergenza e, una volta a terra, andò a posizionarsi proprio davanti al Boeing chiudendogli la possibilità di riprendere il volo. Un altro momento posizionato sul filo della guerra. Al velivolo Usa fu imposto un ultimatum: cinque minuti per andarsene, altrimenti un bulldozer (già pronto con il motore acceso) lo avrebbe spinto fuori dalla pista. Gli americani decollarono. I quattro del commando che assaltò la Achille Lauro vennero trattenuti in Italia e processati. Abu Abbas fu aiutato a scappare. Lo portarono a Fiumicino dove venne ospitato su un volo jugoslavo che appositamente aveva ritardato il decollo. Le relazioni fra Italia e Usa toccarono il minimo storico con qualche conseguenza anche a Roma. I ministri repubblicani Giovanni Spadolini (che reggeva il dicastero della Difesa), con Oscar Mammì e Bruno Visentini rassegnarono le dimissioni considerando avventato e controproducente l’atteggiamento di Craxi. La crisi di governo rimase in stand by per qualche settimana. Poi, complici le feste del Natale, rientrò definitivamente. E da intercettazioni emerse (mesi dopo, però) che Abu Abbas non era così estraneo al dirottamento. Tanto che fu condannato all’ergastolo in contumacia. n

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