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La Consulta uccide il papà (e anche la democrazia)

La Consulta uccide il papà (e anche la democrazia)

Ormai la Corte costituzionale si configura come un contropotere che, interpretando la Costituzione a suo piacimento, travalica il Parlamento, aggira le leggi e crea dal nulla figure tipo la mamma «intenzionale»

La Corte costituzionale sta divenendo un vero e proprio contraltare al potere legittimo di cui nel nostro Paese è titolare il popolo italiano. È vero, l’articolo 1 della Carta su cui si fonda la Repubblica pone degli argini alla facoltà con cui gli elettori possono espletare la propria sovranità, dicendo che questa va esercitata «nelle forme e nei limiti fissati dalla Costituzione». Ma da nessuna parte sta scritto che 15 giudici, nominati dal capo dello Stato, da altri giudici e dai partiti, possano riscrivere le regole e i principi su cui si regge la democrazia. Invece, un passo dopo l’altro, è ciò che sta accadendo, con decisioni di natura politica che ormai travalicano il Parlamento, unico luogo deputato dalla stessa Costituzione a fare e approvare le leggi.

L’ultimo esempio di quella che, nell’articolo qui sotto, un ex giudice costituzionale come Nicolò Zanon definisce un’élite giudiziaria che lascia alla rappresentanza politica un ruolo da spettatrice, è la sentenza sulla cosiddetta madre «intenzionale», decisione che legittima la genitorialità di entrambe le componenti di una coppia lesbica. Ieri la Corte ha stabilito che un figlio nato in Italia grazie a tecniche di procreazione medicalmente assistita eseguite all’estero possa essere riconosciuto non soltanto dalla madre biologica, ovvero dalla donna che lo ha partorito, ma anche dalla partner che ha dato il proprio consenso alla procreazione stessa. Insomma, se una coppia lesbica, aggirando la legge, va all’estero per sottoporsi a pratiche che in Italia non sono consentite, invece di riconoscere le norme italiane la Consulta legittima la «missione», in barba alle disposizioni votate dal Parlamento. Che i giudici vogliano sostituirsi alle Camere, usando come grimaldello la Costituzione, ne avevamo il sospetto già dalla sentenza sul cosiddetto diritto al fine vita. Ora però ne abbiamo la certezza, in quanto nonostante nella Costituzione sia inserita un’idea diversa di genitori e di famiglia, ovvero si intenda un nucleo costituito da un padre e una madre, i giudici hanno deciso di istituire la figura della doppia madre, cioè di una mamma biologica e di una seconda «intenzionale», ma con gli stessi diritti della prima. Il figlio non è dunque di chi lo procrea e lo partorisce, ma anche di chi ha condiviso le pratiche di procreazione medicalmente assistita.

La decisione non riconosce il diritto delle coppie gay ad avere un figlio e nemmeno apre la strada all’utero in affitto, che in Italia è considerato reato universale e dunque perseguibile anche se commesso all’estero in un Paese che lo consente, ma certo è una picconata all’idea stessa di famiglia, composta da un maschio e da una femmina. I genitori possono essere due donne e non perché una abbia chiesto l’adozione del figlio avuto dall’altra, ma perché all’anagrafe, fin dalla nascita, sono iscritti entrambi i nomi delle «genitrici», senza distinzione di chi l’abbia partorito e di chi l’abbia solo desiderato.

La decisione della Consulta è una forzatura, non legittimata dalla biologia ma dal desiderio di genitorialità. Non solo: è pure contraddittoria. Infatti, gli stessi giudici che da un lato riconoscono la patria potestà a una madre che, non essendolo, viene trasformata in madre «intenzionale», dall’altro la negano a una donna che voglia sottoporsi in Italia alla procreazione medicalmente assistita pur non avendo un partner. La «monogenitorialità» non è ammessa, hanno sentenziato i giudici. Dunque, se si è lesbiche si può essere madri e vedersi riconosciuto il diritto di essere genitore anche se non si è partorito il figlio. Ma se si è una donna single no, non si può essere aiutate ad avere un bambino e dunque l’intenzione di fare la mamma per chi non ha un partner e non è lesbica non vale.

È piuttosto chiaro dove vuole andare a parare la giustizia creativa della Consulta. Quella che Zanon chiama élite giudiziaria punta a introdurre a colpi di revisione costituzionale ciò che il Parlamento ha vietato. Prossimo passo sarà la legalizzazione del secondo genitore maschio. Del resto, sempre ieri un giudice di Pesaro ha deciso di riconoscere l’adozione, da parte di una coppia gay, di un bimbo nato dalla procreazione medicalmente assistita. L’utero in affitto è reato, ma per l’élite con la toga c’è prima l’interesse del bambino.

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