Mentre noi riconvertiamo le nostre industrie per inseguire produzioni compatibili ecologicamente, America, Cina, India e altri Paesi del Far East se ne infischiano. E, mentre le nostre fabbriche rischiano il fallimento, gli inquinatori prosperano.
Sapete quali sono i Paesi che, nonostante la pandemia, corrono di più? Quelli che se ne infischiano del green. Occhio: non parlo del certificato vaccinale, ma di quello ambientale. Sì, mentre l’Europa rincorre gli investimenti verdi, assecondando le campagne delle varie Greta Thunberg, il resto del mondo, quello dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, ma anche dei giganti economici o solo dei giganti e basta, cioè con una popolazione che supera il miliardo e ha fame tipo l’India, corrono con cifre di Prodotto interno lordo che fanno impressione. Tra gli Stati a maggior crescita, ossia che dal punto di vista economico si stanno lasciando alle spalle la gelata prodotta dal Covid, troviamo l’America, la Cina e la nazione guidata da Narendra Modi. Sarà un caso, ma per scelta, come gli Usa o per necessità come Cina e India, si tratta di Paesi che respingono in blocco gli accordi per la diminuzione di CO2.
Negli Stati Uniti, nonostante l’arrivo di Joe Biden, poco è cambiato rispetto a Trump, il quale era uscito dalle intese sottoscritte a Parigi, evitando di imporre alle proprie aziende le regole ambientali che si inseguono in Europa. Della Cina si sa. Nonostante le reazioni diplomatiche, ogni volta che qualcuno si permette di ricordare che da sola inquina più di tutti gli altri (Maurizio Gasparri, per aver detto che la Repubblica popolare esporta inquinamento e virus è stato oggetto di una dura nota di Pechino anche se, in modo un po’ brutale, ha detto la pura verità), il Paese è primo per emissioni e danni all’ambiente e non solo nel suo vasto territorio, ma anche in Africa e Sud America.
Nuova Delhi, da che c’è il leader indù, è precipitata nelle classifiche che registrano la qualità dell’aria, dal 140esimo al 177esimo posto, secondo uno studio della Columbia University. Però il suo Pil va magnificamente, a differenza di quello dell’area Ue, che dopo la pandemia cresce, ma molto meno rispetto a Paesi a cui l’unico green che piace è quello dei dollari. Secondo il Fondo monetario, l’area euro aumenterà il Prodotto interno lordo del 3,9 per cento, mentre quello dell’India è stimato intorno al 12,6. Una crescita che è accompagnata da un inquinamento da paura.
Secondo la classifica, sulle 20 città con la peggiore qualità dell’aria, 15 sono indiane. Ma anche la Cina fa la sua parte, e a fronte di emissioni di CO2 che violano tutte le indicazioni, ha previsioni di Pil per il 2021 del 7,8 per cento. Seguono gli Stati Uniti, con il 6,5 e livelli di crescita che gli analisti definiscono «quasi cinesi». L’elenco potrebbe continuare con tanti altri Paesi dove non si va troppo per il sottile con fumi e scarichi industriali. Il Vietnam è uno tra quelli che riversano più plastica nel mare e il suo inquinamento atmosferico è da record, ma la sua economia si sviluppa più che altrove e per quest’anno è atteso un Pil che sfiora l’8 per cento del 2020.
Sarà un caso, ma la vivacità dell’economia si accompagna quasi sempre a una produzione che non ha briglie ambientali. Vi state chiedendo dove abbia intenzione di andare a parare? Tranquilli, non voglio sostenere che se vogliamo crescere dobbiamo rinunciare alla tutela dell’ambiente e della salute. Né ho intenzione di dire che dovremmo fare come India e Cina e produrre più inquinamento per avere maggiore ricchezza. Tuttavia, i dati che vi sottopongo sono chiari e indicano che di questo passo l’Europa sarà presto scavalcata da Paesi che non pongono limiti alle loro emissioni. Mentre noi riconvertiamo le nostre industrie per inseguire produzioni compatibili ecologicamente, America, Cina, India e altri Paesi del Far East proseguono per la loro strada. Con un risultato: mentre noi ci indeboliamo, loro si rafforzano. Potremmo consolarci con l’idea che noi facciamo del nostro meglio per rispettare la natura, ma in realtà non è del tutto vero, perché mentre poniamo vincoli alle aziende europee che inquinano, dall’altro consentiamo la libera circolazione di merci che arrivano da Paesi che ignorano le nostre regole. In pratica, siamo virtuosi, ma solo fino a un certo punto, in quanto poi importiamo miliardi di prodotti fabbricati da imprese che non rispettano l’ambiente e nella sostanza contribuiamo, seppur indirettamente, a inquinare.
So che il ragionamento vi parrà provocatorio, ma è come se, chiusi in casa, pensassimo solo ai fatti nostri, senza renderci conto che con la globalizzazione, la qualità dell’aria non è solo un problema locale, ma globale. Anni fa c’era una Pubblicità Progresso che diceva: «Chi fuma avvelena anche te». Oggi si dovrebbe modificare con un: chi inquina avvelena anche te e ti rende anche un po’ più povero. Perché questo è il risultato, le emissioni di CO2 non rimangono solo sopra Wuhan, Pechino o New Delhi, ma arrivano anche da noi. Così siamo cornuti e mazziati: respiriamo ciò che altri emettono e chiudiamo le nostre fabbriche perché quelle di Paesi come Cina e India sono più competitive. Risultato: abbiamo più inquinamento e meno soldi. Non c’è che dire, un successo. Perché mentre Greta Thunberg prosegue la sua battaglia ambientalista, altrove c’è chi specula e diventa capitalista. La soluzione? Penalizzare le merci dei Paesi che inquinano. In una parola: dazi. Così le tasse per la natura non saremo più i soli a pagarle.