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I misteri della bellissima Madonna

I misteri della bellissima Madonna

È tornato nel convento di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, lo straordinario quadro di Albrecht Dürer. Da qui era uscito 50 anni fa… La storia avventurosa e affascinante di questo dipinto dell’artista tedesco del Cinquecento viene ora ripercorsa da una mostra che, fino a febbraio, ne celebra la grandezza.


È una delle più belle avventure del collezionismo italiano, e forse tra le emozioni più alte che può provare un uomo che sente lo spirito e l’impronta di Dio nelle opere d’arte, la scoperta, in un convento di monache di clausura, di un capolavoro della pittura del Rinascimento. Da quel convento uscì 50 anni fa la Madonna del Patrocinio di Albrecht Dürer, con il bambino più vero ed espressivo che sia mai stato dipinto. E in quel convento, oggi diventato il Museo Civico delle Cappuccine a Bagnacavallo, ora il dipinto è tornato. Negli anni in cui, dopo secoli di solitudine, la sua rivelazione accese una morbosa curiosità, la tavola era mostrata, su richiesta, attraverso «la ruota degli innocenti», perché le suore potessero mantenere il riserbo della clausura. E oggi è ricollocato nella stessa posizione, con l’intelligente intuizione di Diego Galizzi, il curatore, il cui intendimento è riprodurre le emozioni della rivelazione.

È leggendario lo scopritore casuale di un’opera tanto mirabile, don Antonio Savioli, che volle confrontare la sua sensazione con gli occhi infallibili di Roberto Longhi. È già nel settembre del 1959 che, accompagnando un amico sacerdote della zona, don Savioli si ritrovò a visitare il monastero bagnacavallese, con l’opportunità di osservare direttamente quell’opera d’arte di cui, come sarà lui stesso a ricordare, aveva avuto notizia da altri sacerdoti che frequentavano il convento.
«Approfittai dunque dell’occasione, fui presentato alla Madre Superiora e vidi il quadro attraverso la doppia grata, provandone grande impressione di grande opera. Espressi il desiderio di studiarla, e mi fu mandata una scialba cartolina, foto vecchia e sbiadita». Forse un po’ sbiadito doveva essere anche il ricordo del Savioli perché, in realtà, già nel marzo 1958 il sacerdote cercava di ottenere dalle monache una buona fotografia dell’opera. È molto probabile che proprio quelle prime immagini fotografiche della tavola, fatte realizzare dalle suore nel 1957 e distribuite ai fedeli nel dicembre di quell’anno, abbiano stimolato la curiosità del Savioli.

Il dipinto è attestato presso le suore dalla fondazione del convento. Rimase comunque totalmente sconosciuto fino al 1961, quando don Savioli sul Bollettino diocesano di Faenza ne diede segnalazione, citando l’indicazione attributiva di Roberto Longhi ad Albrecht Dürer, basata su una fotografia. Il Savioli, per documentare l’antichità della presenza del quadro nel convento, ricorda una mediocre copia neoclassica, colà conservata, eseguita probabilmente per salvare il dipinto, certo tenuto in grande stima, dalle espropriazioni napoleoniche; ricorda inoltre che nella prima metà dell’Ottocento l’artista faentino Angelo Marabini ne trasse una debole incisione, sulla quale si legge la denominazione «Madonna del Patrocinio», che indica una consuetudine devozionale di antica data.

Il Longhi, che immediatamente dopo pubblicò il dipinto su Paragone, con l’accertata attribuzione al maestro tedesco, soggiunse alcune osservazioni sui restauri subiti dall’opera per denotarne le più remote origini: «L’uno, forse inteso a ovviare gli effetti di una vecchia bruciatura, comprende un’intera ciocca della chioma ricadente sulla destra del volto della Vergine e, per la notevole perizia della esecuzione, mostra di essere stato condotto da mano “filologicamente” addestrata e pertanto, direi, non prima del secolo dei “lumi”; l’altro, più che un vero restauro, è un’aggiunta che, provvedendo a mascherare certe parti del Bimbo, mostra di essere stata indotta da scrupoli moralistici post-tridentini e infatti, anche tecnicamente, denota il tardo Cinquecento. Sarà dunque stato bene tramandarne notizia ed immagine prima che la giusta pulitura provveda a rimuoverla; anche perché gli scrupoli che la provocarono suggeriscono che già molto per tempo l’opera fosse entrata in un convento di clausura femminile, anche senza voler affacciare l’eventualità che essa fosse destinata per un ritiro emiliano piuttosto che per Venezia, città di cultura più libera e di meno stretta osservanza “tridentina”».

Quando il dipinto, nel 1969, con il pieno consenso delle autorità ecclesiastiche e degli «uffici regionali delle Belle Arti», giunse nella raccolta di Luigi Magnani (dalle stanze private oggi è a disposizione di tutti, nella Fondazione Magnani Rocca) a Mamiano di Traversetolo, si provvide alla «giusta pulitura» e le condizioni originali furono mirabilmente risarcite grazie a un intervento dell’Istituto Centrale del Restauro nel 1970. Nel suo saggio il Longhi conferma la prima impressione che la Madonna del Patrocinio sia stata eseguita dal Dürer al tempo del secondo viaggio in Italia, dal 1505 al 1507, tra Venezia e Bologna. Caratteristica del primo soggiorno italiano, nel 1495, è per il Longhi il rapporto con Mantegna, il Pollaiolo e gli squarcioneschi, «nella convinzione che in quel primo viaggio egli si appassionasse più a Bartolomeo Vivarini o ai ferraresi che al Bellini. Nell’altare di Wittenberg (a Dresda), del 1496, è impossibile non sentirsi richiamati a qualche squarcionesco ferrarese di seconda sfera, nel genere del Crevalcore: e nell’altare Paumgartner, già avvicinandosi la fine del secolo, è difficile non ammettere… che il Dürer avesse visto l’altare Roverella a Ferrara».

Per quanto concerne il riferimento al Crevalcore, va detto, per inciso, della straordinaria premonizione del Longhi che, probabilmente pensando alla Sacra Conversazione, datata 1493, già nel Museo di Berlino, o alla più tarda Madonna di Stoccarda del pittore emiliano sembra prefigurare un’invenzione che sarebbe apparsa molto tempo dopo: mi riferisco ai tre grandi dipinti del Crevalcore provenienti dal castello di Etrépy, in uno dei quali la figura del San Paolo fu la fonte diretta di Dürer per il Sant’Antonio del trittico di Wittenberg. Si osservino l’inclinazione pensosa del volto e il libro aperto fra le mani: certamente una desunzione meditata. E non è da escludere che si trovino un giorno i disegni del Dürer dall’opera dell’artista bolognese.

Nello scomparto centrale con la Madonna, il muretto ai due lati come inquadratura, la pera, l’uso della tempera rada, sono in relazione con analoghe invenzioni del Crevalcore e di Francesco del Cossa nei dipinti bolognesi (Pala dei Mercanti). Il rapporto è notevole perché le tre opere del Crevalcore furono dipinte per Bologna, verso il 1480-1485, dove è quindi da presumere che il Dürer si fosse recato anche prima del secondo soggiorno italiano, e cioè tra la fine dei 1494 e gli inizi del 1495, lasciando un’opera protetta in un convento, come potrebbe essere la Madonna del patrocinio. Questo conferma la ironica conclusione del Longhi: «Il fatto è che il grande artista di Norimberga aveva sull’arte italiana conoscenze molto più estese che non abbiano oggi i suoi esegeti». Ma la felicità di condividerne la scoperta supera la conoscenza. n
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