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I fantasmi del post-Covid

I fantasmi del post-Covid

  • Sono «guariti» da mesi,ma continuano ad avere sintomi che non passano. E la loro vita, per ora, È stravolta.

  • Nella giungla dei rimedi anti-Covid

I numeri, si sa, non mentono: di Covid-19 sono morti, al mondo, oltre 800 mila persone (su quasi 28 milioni di casi), e 18 milioni circa sono i guariti. Ma i numeri non raccontano tutta la verità. In quella fotografia in bianco e nero, da una parte i perduti, dall’altra i sopravvissuti, mancano tutti quelli che, a distanza di mesi dalla «guarigione», non sono mai tornati come prima; si alzano a fatica dal letto, hanno dolori muscolari e toracici, fiato corto, disturbi cognitivi. Come se il fantasma della malattia continuasse, implacabile, a seguirli.

Guariti imperfetti, eterni convalescenti. O, come li chiamano negli Stati Uniti, i «long haulers»: termine che indica quei trasporti su strada con un carico lungo: un carico di disagio che non passa mai. Quanti sono? Difficile dirlo, il fenomeno sta emergendo in pieno solo da poco. Nei follow-up ospedalieri, si scopre che circa la metà dei pazienti dimessi si trascina per mesi sintomi di vario genere ed entità. Spalmando il dato su tutti i «guariti», si può pensare che uno su due tanto «guarito» non sia.

«Mi sono ammalata a marzo, mi hanno ricoverato al Policlinico, dopo 10 giorni ero a casa. Ma ancora oggi ho la metà dell’energia che avevo, faccio un decimo delle cose di quando stavo bene. Cammino un po’ e poi mi stanco, io che facevo north walking, piscina e pilates» racconta Nadia T., milanese, 62 anni.

Nadia, in fondo, è fortunata. Il Policlinico segue lei e gli altri i pazienti dimessi con prelievi di sangue e interviste a distanza di 3-6-9 mesi. Ma tanti, che la malattia se la sono fatta a casa e vivono nello stesso limbo di malessere, sono abbandonati a se stessi. Così, angosciati e arrabbiati, hanno creato blog, forum e gruppi facebook (come «Noi che il Covid lo abbiamo sconfitto», oltre 2 mila iscritti, o l’americano «Body Politic Covid-19 Support Group»), dove si scambiano storie ed esperienze.

«Ho acufene nelle orecchie, i dolori articolari non sono mai andati via. Il respiro si affanna se provo a fare qualcosa… Le notti in piedi, molti capelli che cadono. Un fisico distrutto» si sfoga Delphine.

«Gli specialisti dicono che deve passare del tempo, ma quanto?» si chiede Leonardo.

«I sintomi post-Covid mi stanno massacrando» scrive Francesca «ma non ho trovato medici che mi aiutino». «Siamo invisibili» concorda Roberto. E Monica aggiunge: «Così invisibili che neppure il medico di base risponde più ai messaggi. Perché se hai avuto i due tamponi negativi, sei guarita, punto e basta».

La lunga e inattesa eredità del coronavirus è un altro segnale di quanto poco si conosce, ancora oggi, di questa malattia. «Agli inizi, le uniche cose che noi medici riuscivano a sapere sul Sars-Cov-2 erano gli articoli provenienti dalla Cina» ammette Francesco Landi, direttore della Uo di Medicina fisica e Riabilitazione al Policlinico Gemelli di Roma, e responsabile del Day Hospital post-Covid.

Landi è però stato uno dei primi a descrivere, con un articolo apparso il 21 aprile su Jama, i sintomi persistenti di Covid-19, seguendo 140 pazienti dimessi. «Lo studio lo hanno scaricato in 500 mila fra medici e persone comuni, ancora oggi riceviamo dall’estero richieste di informazione su come seguire nel tempo questi pazienti» racconta. «Ad accusare “fatigue”, ossia stanchezza cronica, è stato il 54 per cento dei malati sopra i 65 anni e il 52 di quelli più giovani. Deriva in gran parte dall’immobilità prolungata, dalla perdita di massa muscolare, dall’iponutrizione. Mentre l’affanno sotto sforzo è più frequente negli over 65: 58 per cento contro il 32 per cento. Sintomi come ansia o stress hanno invece colpito con maggior durezza i pazienti giovani: più veloci nel recupero fisico, molto meno in quello psicologico».

Un’esperienza simile è quella vissuta nel follow-up dei pazienti Covid dell’ospedale San Raffaele di Milano, come spiega Moreno Tresoldi, direttore dell’Uo di Medicina generale e cure avanzate, che coordina l’ambulatorio. «Abbiamo monitorato 450 pazienti a distanza di uno e tre mesi. Il long-Covid colpisce di più chi è uscito dalle terapie intensive, ma anche chi ha avuto forme moderate. Nella metà dei casi abbiamo rilevato astenia e stanchezza al primo controllo, disturbi cognitivi intorno al 20-30 per cento. Perdita di gusto e olfatto anche dopo un mese, nel 20 per cento dei pazienti. E malnutrizione nel 15 per cento».

La persistenza di questi strascichi è un purgatorio quotidiano per chi lo sperimenta sulla propria pelle, ma un laboratorio vivente per l’osservazione a lungo termine sul virus. Il Covid non si ferma ai polmoni (che restano il «ground zero») ma, per così dire, fa tutto il giro dell’organismo: cuore, cervello, pelle, reni, fegato, occhi, pelle… E i «guariti non guariti» lo dimostrano.

Alcune conseguenze, come i deficit cognitivi e quel senso di «annebbiamento» mentale che tanti riferiscono, sono probabilmente dovuti alla scarsa ossigenazione durante la malattia. «Uno dei punti chiave è capire se questi danni tissutali sono un effetto diretto del virus o della privazione di ossigeno» riflette Tresoldi. «Misurazioni oggettive, ossia non basate sull’impressione riportata dai pazienti, mostrano un calo delle capacità cognitive. Sono effetti duraturi? Forse si riassorbiranno, ma nei più anziani potrebbero restare».

Una delle ipotesi che potrebbe spiegare (in parte) perché il virus è restio ad abbandonare i suoi ospiti, è quella una sorta di allerta cronica del sistema immunitario. Danny Altmann, immunologo all’Imperial College London, in un’intervista al New Scientist ha detto che: «L’infiammazione da Sars-CoV-2 può permanere anche molto dopo che il virus è stato eliminato. Non mi sorprenderebbe che l’intensa attivazione di cellule immunitarie innescata dal virus resetti, in un certo senso, le difese dell’organismo in modo lievemente patologico e cronico».

Secondo Paul Garner, esperto di malattie infettive alla Liverpool School of Tropical Medicine, la scia di sintomi di Covid-19 ricorda la dengue, febbre tropicale caratterizzata da estrema fatica anche dopo la guarigione.

La spossatezza persistente, teorizza Tresoldi, potrebbe però essere legata anche a fattori vascolari: «In alcuni casi il coronavirus causa un danno cardiaco; il perché non è del tutto chiaro, forse è legato alla formazione di coaguli nei vasi arteriosi. E chi ha avuto problemi respiratori, anche se non è stato intubato, può ritrovarsi con fibrosi polmonari e processi infiammatori che si mantengono nel tempo».

Spiegazioni e teorie si sovrappongono, tra i blog dei pazienti e gli articoli degli scienziati. Anche polmoniti ed encefaliti, rammentano alcuni esperti, danno sintomi duraturi. Accumulandosi i casi clinici nel mondo, lo scenario si fa via via più chiaro ma anche più complesso (nella medicina è quasi sempre così).

«Nell’emergenza, pur facendo nel nostro meglio curavamo i malati solo nella fase acuta» ricorda Landi. «Appena negativizzati, li mandavamo a casa, perché altri continuavano ad arrivare. Poi, da medico internista catapultato in rianimazione, mi sono reso conto che queste persone andavano seguite nel tempo, e così abbiamo fatto».

Monitoraggi e ambulatori post-Covid come quelli dei grandi ospedali (al Gemelli, al San Raffaele) sono onerosi, richiedono équipe multidisciplinari e percorsi riabilitativi importanti. Dedicati, inevitabilmente, solo a chi è stato dimesso. Per tutti gli altri, compresi coloro che non hanno mai avuto una diagnosi «ufficiale» avendo superato la malattia nel proprio letto, è difficile argomentare questo stato di (non)salute con il proprio medico. Tirare in ballo paragoni con la dengue, parlare di danni tissutali o di allerte croniche delle cellule immunitarie rischia di farli passare per lamentosi saputelli, con un’abborracciata cultura internettiana. Il genere di paziente più temuto in ogni ambulatorio medico.

Certo, sono tipi ansiosi e logorroici. Del resto, l’elenco dei loro sintomi è piuttosto lungo (il gruppo Body Politic ne ha contati ben 62). «Ma vanno presi sul serio e ascoltati» avverte Landi. «Bisogna prescrivere tac polmonari, test cardiologici, esami del sangue».

«Chi sono oggi? Cosa farò quando sarò guarito? Ma guarirò?» si smarrisce uno di loro in uno dei tanti siti facebook. Guariranno, sì, dicono i medici. Prima o poi. Ma quando, esattamente, nessuno lo sa.

Nella giungla dei rimedi anti-Covid

I fantasmi del post-Covid
Ansa

L’unica cosa che supera la massa di studi scientifici sul Covid-19 è la valanga di scempiaggini su presunte soluzioni contro la pandemia. Frullate insieme ad alcune (mezze) verità, alla fine è arduo capire se quello che leggiamo ha un senso. Nel dipanare il rebus ci aiuta Francesco Scaglione, docente di farmacologia all’Università di Milano, farmacologo clinico all’ospedale Niguarda e nel team della Regione Lombardia per la Rete di valutazione farmacologica e terapeutica contro il coronavirus. «Lo faccio volentieri» dice a Panorama. «Non ha idea di quante email mi arrivano di persone che mi propongono rimedi antivirus assurdi, dal latte d’asina al rame radioattivo».

Quercetina

Presente soprattutto nei capperi, in studi di ricercatori italiani del Cnr e colleghi spagnoli ha dimostrato di inibire una proteina che il coronavirus usa per replicarsi. «È una scoperta promettente: ha individuato un bersaglio, la proteina, su cui si potranno costruire farmaci mirati. È un primo step». La quercetina si trova in farmacia, conviene comprarsela perché non si sa mai? «No, quella venduta non raggiunge assolutamente la concentrazione necessaria per agire contro il virus».

Lampadine Led

Da fine ottobre arriva una lampadina led che abbassa la carica virale o batteriologica in ambienti chiusi (ospedali, aeroporti, scuole…). Testata al Policlinico militare Celio, e registrata al ministero della Salute, non pare una bufala. «Non lo è» conferma Scaglione. «Si sa da una decina d’anni che la luce a lunghezza d’onda 400-600 micrometri abbatte virus e batteri. La novità ora è il Covid-19. Hanno condotto test su alcune superfici, ora faranno studi su larga scala per avere risultati più ampi».

Ozono

Viene proposto come metodo di sanificazione antivirus ma, come avverte l’Istituto superiore di sanità, «non ha proprietà sterilizzanti» e non agisce contro il coronavirus. «La Fda americana lo definisce una sostanza tossica priva di qualsiasi interesse in medicina. È un ossidante e fa male al respiro» taglia corto Scaglione.

Estratto di oleandro

Uno degli ultimi rimedi ad aver entusiasmato Donald Trump, che ha invitato la Fda ad autorizzarne l’uso anti-Covid. Anche perché il ceo di MyPillow, l’azienda che produce l’estratto di oleandro, è Michael Lindell, supporter del presidente americano. «L’azienda ha fatto alcune prove in vitro, tutte da verificare. Per ora, l’unica cosa certa che sappiamo su questa pianta è che è altamente tossica, e causa pericolose aritmie».

Vitamina C

Un mito che non passa mai. Il ragionamento è: se allontana influenza e raffreddore, perché non il coronavirus? «Peccato che non esista un solo dato secondo cui la vitamina C prevenga alcunché. Tranne lo scorbuto. Certo, ha importanti funzioni e la sua carenza può provocare problemi. Ma assumerla come integratore non evita alcun tipo di infezione».

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