Ghigliottinato il 25 febbraio 1922 per 10 omicidi di donne (più un ragazzo), l’assassino seriale attirava le vittime con modi eleganti. Per poi ucciderle e bruciarle. E la sua personalità resta un enigma.
Ogni delitto venne programmato con la meticolosità che aveva appreso, al Politecnico, quando studiava ingegneria. Henri Désiré Landru venne riconosciuto colpevole di 11 omicidi – 10 donne e il figlio di una di loro – ma, vero serial killer, resta il dubbio che abbia messo mano in altri 62 delitti sui quali la giustizia non ritenne di approfondire, limitandosi a citarli come ipotesi non confermate da prove.
Quando, il 25 febbraio 1922 – cento anni fa – fu accompagnato alla ghigliottina, i giornali prepararono un’edizione straordinaria che oscurò l’apertura delle trattative di pace, alla fine della Prima guerra mondiale. Neanche fosse stato un mito, il nome di Landru era entrato nell’immaginario collettivo tanto da essere citato come la personificazione dell’orrore. Ancora più inquietante perché subdolo. Il pericolo di essere ammazzate si nascondeva nelle buone maniere di un’educazione raffinata.
Per un secolo, gli psichiatri hanno tentato (inutilmente) di venire a capo della sua predisposizione al male che contraddiceva ogni statistica disponibile. Era cresciuto nella Parigi di fine Ottocento, figlio di un pompiere e di una sarta, studente diligente (a credere agli insegnanti) e (a leggere i giudizi degli insegnanti) con buona predisposizione per la matematica. Si arruolò nell’esercito dove raggiunse il grado di sergente poi si congedò e, a quel punto, la sua vita perse il senso del tran-tran cui sembrava destinata per trasformarsi in quella del lestofante senza scrupoli.
Un lavoro (che, peraltro, continuava a cambiare) non bastava a mantenere una figlia illegittima – avuta da una cugina che non volle sposare – e quattro figli suoi. Sfruttò gli annunci economici sui giornali, che potrebbero essere considerati i nonni dei social di adesso. Pubblicò un annuncio per offrire lavoro a un fattorino che disponesse di una bicicletta. Alla fine del prima giornata d’impiego, quel poveretto si trovò senza bici, che il futuro omicida gli aveva rubato, e licenziato perché non aveva più i mezzi per continuare l’attività.
Landru imbrogliò poi alcuni commercianti di mobili, finì in carcere e fu condannato a una pena di qualche anno da scontare nei penitenziari della Guyana francese. Ma era a piede libero e «scomparve», rinunciando alla propria identità per cambiare periodicamente nome e indirizzo di residenza. Del resto, in quel 1914 la Francia si trovò precipitata nella Prima guerra mondiale con i tedeschi alle porte di Parigi. I gendarmi avevano altro da pensare che rincorrere un brigantello.
Lui comprese che – rischio per rischio – tanto valeva abbandonare i piccoli sotterfugi per dedicarsi a truffe di maggior peso. Immaginò – sempre utilizzando gli annunci dei giornali – di offrirsi per una «relazione seria, scopo matrimonio». Si presentava come un vedovo benestante di mezza età in cerca di un’anima gemella con cui condividere uno spezzone di vita. Tenne relazione con 278 donne la cui amicizia coltivò con metodo fino a scegliere le sue prede. Come un regista, costruì nel dettaglio le condizioni che gli risultassero favorevoli.
Le vittime dovevano essere il più possibile anonime, abbastanza ricche ma non troppo, senza blasone nobiliare, con poca parentela e nemmeno troppo belle per non suscitare attenzioni inopportune. Il primo interrogativo cui gli studiosi non sanno rispondere è come abbia potuto riscuotere tanto successo un uomo che, senza esagerare, si poteva collocare fra i brutti. Piccolo, tarchiato, calvo e l’andatura ondeggiante di chi è troppo pesante. Fu un playboy apparentemente irresistibile. Le sue donne le lusingava con lettere, per niente mielose ma ricche di buoni sentimenti. Quando veniva il momento d’incontrarsi, si presentava elegante, affabile, con atteggiamenti ricercati. E senza dare l’idea di voler mettere fretta, a dimostrazione d’intenzioni serie. Per ostentare agiatezza, le accompagnava in una casa presa in affitto.
All’inizio utilizzò un villino a Vernouillet, nell’Île-de-France. Poi, secondo la logica che un truffatore non deve rimanere a lungo nello stesso posto, si spostò nella campagna di Gambais, nello stesso dipartimento ma più lontano. Il tempo di conquistare la fiducia delle donne, fino a convincerle a unificare i conti correnti e, una volta diventato proprietario dei loro beni, le strangolava.
Poi, con rituale barbaro, ne sezionava i cadaveri e li bruciava – un pezzo dopo l’altro – in una stufa che troneggiava in un angolo del soggiorno. Ogni volta, occorrevano due giorni per eliminare le tracce del delitto. Quello che il fuoco non riusciva a divorare, i denti, per esempio, veniva raccolto in un sacchetto e disperso nell’erba in giardino. Poi occorreva pulire con diligenza ogni angolo della casa per evitare di lasciare in giro prove compromettenti e preparare il terreno per il delitto successivo.
A un secondo quesito è più facile rispondere. Com’è possibile che questa «attività» sia andata avanti per quattro anni senza che un sospetto incoraggiasse un’indagine di polizia? Il clima di emergenza provocato dalla guerra catalizzava ogni attenzione sulle trincee che stavano al fronte. E la vita cittadina si dipanava in un contesto di perenne criticità. Era più facile morire che vivere. Chi badava se una signora si trasferiva in un’altra città?
Landru ebbe il tempo di circuire Jeanne Cuchet, di acquisire ogni suo avere, ammazzarla e farle fuori anche il figlio André che lei si era portata dietro quando aveva deciso di trasferirsi a casa dell’uomo che doveva sposarla. Venne la volta di Célestine Buisson, di Therèse Laborde Line, di Marie-Angélique Guillin, di Berthe Héon, di Anna Collomb. Una portava in dote il negozio di biancheria di rue Monsigny, l’altra veniva da Buenos Aires ed era titolare di un piccolo hotel, l’altra viveva in un appartamento di proprietà che poteva valere 18 mila franchi.
Andrée Babelay non possedeva niente e aveva 19 anni. Landru la incontrò alla pensilina del metrò. Piangeva. Aveva litigato con i familiari ed era scappata di casa. La ospitò e la infilò nel fuoco della stufa dove erano passate tutte le altre. Buttate via con la noncuranza che si riserva per le cose diventate inutili delle quali è fastidioso conservare persino il ricordo. A eccezione, forse, dell’ultima vittima, nelle carte del processo non esiste traccia di sesso. Le donne, più che una relazione d’amore, cercavano la tranquillità di una casa. Lui voleva spogliarle ma solo dei loro beni. L’amore – anche per l’età dei protagonisti – era l’ultima cosa cui pensavano. A diffidare di Landru che, in quel momento, si presentava come monsieur Jacques Diard, furono i vicini di casa. In una stagione autunnale ancora abbastanza tiepida, quell’utilizzo furioso della stufa sembrò sospetto. La carestia della guerra faceva mancare anche il pane e quello consumava combustile per ambienti già caldi?
Contemporaneamente il sindaco della cittadina ricevette alcune lettere scritte dai familiari di due vittime che ne chiedevano notizie. Le indagini, a tutta prima, sembrarono concludersi in niente perché la casa era in ordine e non c’erano tracce che facessero pensare a un delitto. Il Ris era ancora di là da venire. Ammanettarono Landru mentre stava facendo colazione con Fernande Segret, sua fidanzata da due anni che, con ogni probabilità, rischiava di fare la stessa fine di tutte le altre.
Nella tasca della sua giacca trovarono un taccuino sul quale, con calligrafia minuta, era stato annotato tutto. Ma proprio tutto. Compreso che, partendo da Parigi per Gambais, aveva comprato un biglietto di andata e ritorno per sé e quello di sola andata per le donne scomparse. Perché pagare una tratta del tranvai che, certamente, non sarebbe stata usata?
Però in questi suoi appunti – precisi fino alla pedanteria – la prova dell’assassinio non c’era. E infatti lui confessò le truffe ma, fino alla fine, si proclamò innocente di tutto il resto. Inutile. La piazza chiedeva giustizia e la chiedeva senza mezze misure.
Quando lo vennero a prendere per l’esecuzione, si attardò per allacciarsi le scarpe. Rifiutò alcol e sigarette perché non beveva e non fumava e allontanò garbatamente il prete perché «c’erano altri signori e non sarebbe stato cortese farli aspettare».
