Il pittore d’origine fiamminga, naturalizzato francese, fu attivo in Piemonte tra la fine del Quattrocento e la prima decade del Cinquecento. Oltre a straordinari polittici, resta nella storia dell’arte per il suo capolavoro realizzato a Elva, nella dimensione remota e ispirata della Valle Maira.
Il viaggio a Elva è un pellegrinaggio verso il nulla. In Piemonte, si parte da Saluzzo, da Cuneo, da Dronero e si avanza per le valli Ma non si ci passa, non è una tappa per fermarsi e andare altrove. Si va a Elva per andare a Elva. Nel mio caso è un pellegrinaggio desiderato da anni per vedere gli affreschi di Hans Clemer, un pittore girovago e bizzarro che arrivò fin lì per dipingere le Storie della Vergine e la Crocefissione come in un abisso del mondo. Hans arriva, baldanzoso, con il massiccio Joseph, al tramonto.
Ad aspettarlo dovettero essere gli stessi che hanno aspettato me. Sono Maura, Giulio, Dario detto Falcone, Laura, Lorella, subito amici. Ma Hans aspettava solo di arrampicarsi sulle impalcature di legno per rappresentarne volti e caratteri.Pittore elegante, raffinato, versatile ma certamente estremo e sospinto da una sfida con la coscienza e con la vita, lo trovi comodo a Saluzzo nella solenne Madonna della Misericordia in casa Cavazza e pensi a un maestro rinascimentale con nostalgie gotiche, tormentato nell’avvinghiarsi nel disegno. Lo schema compositivo riprende modelli provenzali, ma riscattati da un’accentuata luminosità del colore, cui l’oro dello sfondo e dell’abito della Vergine conferiscono particolare brillantezza e leggerezza; Clemer dimostra di saper reinterpretare la lezione oltremontana con la vigoria, talora marcata, del disegno unitamente all’accentuato realismo nella caratterizzazione dei personaggi: la figura di San Pietro si segnala per la resa fisiognomica, plebea e dolente ad un tempo, del popolano santo, chiamato, suo malgrado, a ricoprire un ruolo prestigioso e difficile.
Gli angeli che fanno corona alla Vergine denotano la conoscenza delle opere del contemporaneo Giovanni Martino Spanzotti nel modellato scabro e un po’ rude, così come simile a molte Madonne spanzottiane (soprattutto a quella del trittico della Galleria Sabauda di Torino) appare l’immagine di Maria per l’oro delicato delle chiome, il pallore quasi slavato del volto e la modesta bellezza delle fattezze del volto; la stessa Margherita di Foix, moglie del marchese di Saluzzo Ludovico II, ivi rappresentata con l’infante primogenito Michele Antonio, sembra confondersi, umilmente e cristianamente, nel novero degli altri personaggi.
E poi lo ritrovi, maestoso e capzioso, nel polittico del Duomo di Saluzzo con i suoi santi alteri e aristocratici, nei quali convivono gusto popolare ed eleganza estrema: uno sgraziato ma potente San Sebastiano con San Gerolamo e San Domenico di risoluto realismo e i paludati protettori di Saluzzo San Costanzo e San Chiaffredo che introducono a una Vergine lontana i due donatori Ludovico e Margherita, marchesi di Saluzzo. Sono immagini indimenticabili, di un pittore che nobilita una umanità fiera, paludata in abiti sontuosi che travestano personaggi del popolo con inconsueta verità e potenza. È un risultato sorprendente se uno guarda il pittore nell’ancora esitante polittico di Celle Macra, in una disadorna e poetica pieve, di grammatica arcaica pur nella originalità del gesto, nelle scorciature sorprendenti, nel realismo dei volti, sperimentati anche nel trittico della Collegiata dell’Assunta di Revello. In queste pievi remote, Clemer è più prudente e contenuto. A Saluzzo si scatena. È un pittore libero ed estroso, tendenzialmente realista con tentazioni espressionistiche. È un pittore irrequieto e pellegrino, forte camminatore. Cambia cifra quando entra a corte.
Clemer incontra il marchese Ludovico II di Saluzzo alla fine del XV secolo in Provenza, forse al seguito della sua seconda moglie Margherita di Foix. Probabilmente Clemer godeva della protezione della volitiva marchesa, che darà a Ludovico quattro figli, il primo dei quali, Michele Antonio, nasce nel 1495. In quel periodo, grazie alla protezione dei marchesi, Clemer si stabilisce in pianta stabile in città, dove sposa la saluzzese Caterina Milaneti, per realizzare, soddisfatto, dipinti con uno stile combinato e risoluto , che unisce sensibilita fiamminghe e tedesche e iconografie provenzali e italiane.
È un maestro di prima grandezza ma resta difficile immaginarlo nella comodità della corte in cui mostra la sua cifra più compiuta. Aveva percorso, agli esordi, ancora sconosciuto, e accompagnato da un fedele aiuto, la valle che porta a Elva. Occorreva grande determinazione e passione senza limite per arrivare in quella chiesa fuori del mondo, costruita sulla metà del XIV secolo. Il Clemer che arriva qui è un ragazzo che viene dalla Francia, forse da Aix en Provence. Ha attraversato la Valle Maira per strade improbabili. Ha visto caprioli, cinghiali di smisurata grandezza, cervi, lupi, volpi, marmotte, lepri, conigli, ricci, donnole, ghiri «e altri siffatti animali selvatici; si trovano anche nelle Alpi camosci, capricorni, lepri bianche, daini e cervi». Con la mente tornava spesso ai paesaggi della Valle Maira. Ricordava quei giorni, quei volti, aveva davanti uomini semplici, non potenti. Andò così: non lo può dimenticare.
La comunità di Elva lo accoglie, lo ascolta e gli affida, infine, il racconto, quasi la cronaca della vita della Vergine e di Cristo. Clemer dipinge velocemente, racconta momenti di grande intensità affettiva: San Giuseppe che piega un ramo per raccogliere frutti per il bambino, la disperata reazione di una madre che difende il figlio da un soldato nella Strage degli innocenti per poi, con minore partecipazione, rappresentare i riti, lo sposalizio, l’annunciazione, la visitazione. Ma è spontaneo e diretto quando descrive il taglio delle mani del giovane che dubita dell’immortalità della Vergine, e resta sospeso al catafalco, sui tacchi, come in un fumetto di Jacovitti. Clemer è diretto, immediato, conosce il dolore delle donne, la violenza degli uomini: non si sa per chi dipinge, ma lo fa come fosse l’ultimo giorno del mondo. La sua Maddalena non piange ma vorrebbe divellere la croce e far scendere il suo Cristo troppo lontano. È un pittore disordinato, ma vero, come se avesse fretta, dovesse correre diversamente dal pittore che realizzerà con aggressiva minuzia e sapienza le grandi tavole dei polittici. Nella sua pittura si registrano continui ripensamenti e improvvise mutazioni. Sembra che non abbia tempo, che debba partire. E la contraddizione è qui: è quasi arrivato alla fine del mondo ma non si vuole fermare, il suo viaggio non è finito. Da qui parte la vita del grande pittore che avrebbe illustrato, dopo gli uomini e le donne delle montagne, amici per sempre, la gloria del Marchesato di Saluzzo.
