La traiettoria del pittore veneziano tra le celestiali apparizioni di Madonne e il racconto di personaggi come Noè ebbro e la ragazza nuda allo specchio. Dove sulla tela irrompe, magnificamente, il mondo.
Nella lunga e serena vita di Giovanni Bellini la pittura è una lunga e continua meditazione teologica. L’intera sua produzione è dominata dal tema della Madonna con il bambino, che si svolge nello schema semplice del rapporto tra la madre e il figlio: nella cura, nell’abbraccio, nella protezione dell’intimità familiare, con una costante dolcezza di atti, di contatti, di carezze, in continue varianti che conservano quella sublime umanità che le scioglie dalla devozione e le restituisce alla vita.
Il soggetto, di tradizione e di ispirazione bizantina, si identifica con la denominazione di «icone». È proprio la ripetizione, il prevalere di una ritualità immobile, che perdura fino alla metà del Quattrocento, anche in pittori come il padre di Bellini, Jacopo, che Giovanni fa saltare. Egli viene elaborando una serie di immagini di destinate alla devozione privata, frequentissime nella produzione lagunare del XV secolo.
La prima attività di Bellini rivela già l’intimità che unisce madre e figlio in un rapporto profondo. I modelli compositivi ripetono quelli delle icone bizantine e cretesi, riprodotti in taluni casi con fedeltà, ma con una radicale reinvenzione di quegli stereotipi in immagini vive e poetiche. In questa serie di variazioni senza limiti, Giovanni Bellini, di 50 anni più anziano, anticipa lo spirito, e la umanizzazione del divino, di Raffaello Sanzio. Suo è il primato delle Madonne con il bambino che, con altrettanta insistenza, Raffaello elabora e rielabora.
Come Raffaello, anche Bellini, dopo i trittici per la chiesa di Santa Maria della Carità, tra 1464 e 1470, e il Polittico di San Vincenzo Ferrer per la Basilica di Santi Giovanni e Paolo, diversifica la sua ispirazione poetica nell’universo religioso con una serie di imponenti pale d’altare, a partire dalla Pala Pesaro, databile tra 1473 e 1475, sotto la diretta influenza di due geni di geometrica perfezione: Piero della Francesca e Antonello.
Il primo apre la strada alle mirabili Sacre conversazioni di Bellini con la pala per la Chiesa di San Bernardino a Urbino, grande teorema spaziale della pittura del Rinascimento. Il secondo arriverà in casa del grande maestro veneziano elaborando lo schema innovativo e determinante della Pala di San Cassiano, e umanizzando il soggetto della Vergine nell’Annunciata, anch’essa dipinta a Venezia.
Il rapporto con i due più grandi maestri dell’epoca costringe Bellini a confronti difficili, ma tutti vinti, con gli schemi innovativi di cui dà monumentale prova nella Pala di San Giobbe. E generando da sé un artista che si muove negli stessi registri, con una concorde ricerca dell’assoluto, nella piena contemplazione della natura: Cima da Conegliano. Per entrambi, in innumerevoli variazioni, «deus sive natura» è il tema guida, nello spirito delle sacre figure e nella luminosa concezione del paesaggio. È importante aver chiaro questa poetica, dominante nell’ispirazione religiosa di Giovanni Bellini, per avvertire il trauma che lo coglie ai suoi tardi anni, in un percorso impensabile e imprevedibile che non turba invece il meraviglioso equilibrio di Cima da Conegliano.
Bellini sfiora l’abisso, e ci dà una dimensione ancora più vasta della sua umanità. È una «hybris» che, come un vento erotico, gli attraversa la mente negli ultimi tre anni di vita. L’occasione è la commissione legata al concetto pagano del Festino degli dei, ora alla National Gallery of Art di Washington. Il dipinto è firmato e datato: «Ioannes Bellinus Venetus P[inxit] MDXIIII», sul cartiglio appeso al tino di legno, in basso a destra. L’opera venne poi ritoccata da Dosso Dossi e da Tiziano nel paesaggio. Il poeta delle Madonne e dei Santi, in dialogo intenso con pensatori e umanisti come Pietro Bembo e Leonico Tomeo, mostra curiosità per il mondo classico.
Tuttavia nemmeno Bembo riuscì a convincere Bellini a rispondere alla richiesta di Isabella d’Este di avere una «favola» per il suo studiolo. Nonostante la raccomandazione «di tenere ben disposto il Bellino et di componere la poesia ad sua satisfactione», la marchesa di Mantova non sarebbe stata soddisfatta. Lo stesso Bembo, pur mostrandosi fiducioso con la marchesa, ci dà però un’idea della fiera opposizione dell’artista: «Insomma gli avemo dato tanta battaglia che il castello al tutto credo si renderà».
L’opera non dovette soddisfare completamente il committente, e l’artista tornò più volte a Ferrara per apportare alcune modifiche, scoprendo il seno ad alcune figure femminili a destra e, nell’intento di rendere più «orgiastico» il quadro, aggiungendo alcuni particolari. A Ferrara Bellini probabilmente vide anche l’affresco del Mese di Aprile di Francesco del Cossa (1470 circa) nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia: il gesto di Nettuno che insinua una mano fra le cosce di Cibele è un’esplicita citazione dell’affresco.
Il Festino degli dei fu il primo dei quadri ordinati da Alfonso per il suo Camerino. Seguiranno i dipinti di gusto moderno l’impianto di Dosso Dossi e di Tiziano, con la Festa di Venere, il Bacco e Arianna e il Baccanale degli Andrii, tre capolavori nei quali si evolve l’impianto innovativo e aperto di Bellini. Il motivo erotico è certamente sconvolgente per Bellini, saggio e anziano per indole nonostante la citazione colta; ed è da lì che si scatenano altri due dipinti imprevedibili ma potentissimi e umanissimi. Uno è l’Ebbrezza di Noè, ora al museo di Besançon, e di cui è difficile immaginare l’originaria collocazione.
S’è applicato sul dipinto di recente il filosofo Giorgio Agamben, nell’eloquente saggio Il vecchio e il nudo nel libro Studiolo (Einaudi). Nessun dubbio che, nel personaggio di Noè, nella sua posizione disarmata e disorientata, il pittore adombri se stesso, ottantacinquenne, incredibilmente simile a Claude Monet vecchio.
Agamben scrive, soltanto dubitativamente: «Forse nel vecchio ebbro denudato, esposto alla derisione e insieme alla pietà, è possibile che il maestro raffigurasse se stesso». No: è certo. E non per la fisionomia, ma per lo stato d’animo, anzi per l’impudico abbandono. Giusto il tema del transfert indicato da Agamben: il tema del quadro è il corpo nudo di un vecchio, soggetto nel quale il pittore non si era (quasi) mai cimentato. Com’è stato osservato, «il vecchio è adagiato in primo piano come la Venere che Giorgione aveva appena dipinto.
Alla bellezza impareggiabile della dea, Bellini sostituisce il corpo di un vecchio, di cui tratteggia il ventre magro ma flaccido, il capezzolo sinistro ben visibile e l’ombelico incavato. Nessuno prima di Jusepe de Ribera aveva osato tanto. La forza del dipinto lo sottrae al suo tempo, spingendolo verso il gusto per la verità della natura di Diego Velázquez. Bellini non invoca soltanto pietà per sé come per Noè, ma coglie una condizione umana di debolezza e di fragilità che mai era stata dipinta: certo un pensiero estremo, ma di una verità sconvolgente come una confessione, come la caduta di un velo, per avvicinarsi a un’ultima rivelazione. Ed è in queste condizioni psicologiche che egli va oltre il pudore, e arriva a 85 anni alla confessione finale. È nella Giovane donna nuda allo specchio, ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Nulla sappiamo della sua originaria destinazione né della identità del soggetto, se non quello che ci dice nella sua disarmata immediatezza. È una ragazza bella, dal corpo caldo, discinta, elegante nell’acconciatura di damasco che le tiene i capelli, utile anche per il gioco di specchi. Dopo tante Madonne e madri, l’ultimo Bellini, siamo nel 1515, ci rivela una sua passione segreta con assoluta spudoratezza.
Non pensa a un’allegoria, non a una virtù, non a una figura mitologica, non dipinge né la Madonna né Venere, ma una donna che incanta il suo sguardo senza turbarlo, con lo stesso nitore e nella stessa luce di Jan Vermeer. La sua «ragazza con l’orecchino di perla», di cui nulla sappiamo se non lo sguardo curioso, anni prima. Quel rapporto che unisce solo loro, e esclude ogni altro. Nessuno prima di Bellini aveva posato il suo sguardo possessivo su una giovane donna. Attraverso di lei ha voluto confidarci il suo segreto.
