Nell’Unione degli Stati tutti uguali continua a essercene uno più uguale degli altri. Che predica il rigore comune, ma con le dovute eccezioni…
«L’unione monetaria europea non è stata progettata per far tutti contenti. È stata progettata per far contenta la Germania». Questa frase del premio Nobel Paul Krugman, pronunciata alla rivista Fortune in tempi non sospetti (era il 1998), mi è tornata in mente in questi giorni mentre leggevo delle mirabolanti imprese dei nipotini del Kaiser. I quali vogliono continuare a imporre sacrifici a tutti gli europei per poter consentire ai tedeschi di spassarsela un po’ di più. Aspirazione legittima, si capisce, dal loro punto di vista. Un po’ meno dal nostro. Qualcuno prima o poi, infatti, ci dovrà spiegare per quale oscura ragione siamo condannati a fare i portatori d’acqua per la crucca felicità. Forse schiavi di Berlino Iddio ci creò?
È noto che i tedeschi, da sempre, sono inflessibili. Se si parla, per esempio, di conti pubblici continuano a rimpiangere l’austerity che fu. Per loro non ci dovrebbe essere nessun allentamento dei vincoli, nessuna politica espansiva: bisogna continuare a bacchettare chiunque spenda un euro più del dovuto, bisogna digrignare i denti in faccia a chi non rispetta i sacri parametri del deficit. E sull’inflazione? Idem come sopra. Linea dura, fame senza paura. A Berlino sono contrari a ogni calo dei tassi, anzi li vorrebbero far salire ancora di più. Le famiglie sono strozzate dai mutui? Fatti loro. Le aziende non ce la fanno a tener dietro agli investimenti? Chisseneimporta. L’unica linea è quella della fermezza: non c’è spazio per la crescita dei prezzi. E dunque la cosiddetta «leva monetaria» va usata come una clava da picchiare in testa a chiunque voglia spendere un centesimo in più.
Voi direte: dov’è la novità? La Germania è sempre stata così, è sempre stata inflessibile. Vero. Ma la novità è proprio questa: la Germania che è sempre stata inflessibile con i bilanci altrui, lo è diventata all’improvviso assai meno con i bilanci suoi. Il governo tedesco infatti ha appena siglato con i sindacati un accordo che porta un aumento del 5 per cento di tutti gli stipendi pubblici (alcuni, quelli degli infermieri, aumenteranno del 18 per cento) con una tantum di tremila euro netti (esentasse) a giugno di quest’anno. Un esborso per le casse pubbliche di 22 miliardi, che segue un accordo analogo firmato dai metalmeccanici. Immagino che starete pensando: beati loro. Giusto. Ma resta il dubbio: perché tutti i cittadini europei devono continuare a far sacrifici per consentire ai tedeschi di avere stipendi più ricchi? E se per la Germania è così importante contenere i prezzi, perché poi permette simili aumenti di stipendi (che inevitabilmente si tradurranno in aumenti di prezzi)? Perché lo stipendio di un operaio italiano non può aumentare (sennò «si innesca la spirale dell’inflazione«, ci ripetono) mentre quello di un operaio tedesco sì? Perché in nome della stabilità dei prezzi si può sacrificare la rata del mutuo di una famiglia di Frosinone e non l’aumento di uno statale di Amburgo?
E non si cominci a raccontare la solita favola della Germania che è brava e ha fatto tutti i compiti, mentre noi siamo cattivi e dobbiamo essere puniti. Non è così. È un inganno. Un grande inganno. Una mistificazione. La realtà è che l’unione monetaria europea, così come è stata progettata, era destinata a fare la felicità non dei cittadini europei, ma dei cittadini di Germania. In una intervista a La7 nell’ottobre 2011 Romano Prodi, l’uomo che ci portò nell’Ue a suon di eurotasse, lo ammise candidamente: «Grazie all’euro la Germania è un Paese più potente e più forte». E pochi mesi dopo, nel maggio 2012, quello che era stato il suo potentissimo ministro dell’Economia, Vincenzo Visco, lo ha spiegato ancor meglio in un’intervista al Fatto quotidiano: l’Italia, ha detto, «serviva dentro la moneta unica» proprio per «dare un vantaggio alla Germania». E poi ha aggiunto che Berlino si era impegnata, in cambio, a pensare al bene di tutti i Paesi dell’euro. E l’ha fatto? chiese l’intervistatore. «Non mi pare» rispose Visco.
Diciamocelo in modo chiaro: la retorica della solidarietà europea, delle pagelle dei buoni e dei cattivi, dei compiti da fare a casa, è soltanto una favola per bambini un po’ scemotti. Come in tutte le vicende economiche e politiche quello che conta sono i rapporti di forza: proprio come ha detto Paul Krugman, la Germania con l’euro ha imposto un modello che per lei era molto conveniente e per noi assai meno. Infatti essa ne ha tratto enormi benefici. Noi invece abbiamo pagato un prezzo altissimo. E continuiamo a pagarlo, come dimostra il fatto che un infermiere in Italia fatica a sbarcare il lunario mentre un infermiere in Germania, che pure è già trattato meglio, avrà un aumento di stipendio del 18 per cento. La domanda è: fino a quando riusciranno a farci digerire tutto ciò in nome della «solidarietà europea»?
