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I giovani? meno impegno e più svaghi

I giovani? meno impegno e più svaghi

Un recente studio indica cosa cerca la cosiddetta Generazione Z (fra 18 e 24 anni) nel mercato del lavoro: prima il reddito, poi il tempo libero. E solo in fondo, la stabilità.


Un sondaggio interno al report Fragilitalia dal titolo I giovani Generazione Z e il lavoro ha fotografato aspirazioni e desideri della cosiddetta Generazione Z, cioè quelli compresi tra 18 e 24 anni. In estrema sintesi, la loro scala dei valori pone al primo posto la famiglia (con il 62 per cento, risultato ben più basso rispetto a una media nazionale del 78 per cento), seguita dall’amicizia (54 per cento, media nazionale 59) e dall’amore (50 per cento, media nazionale 63). Il lavoro occupa solo la sesta posizione con il 38 per cento (rispetto alla media nazionale del 49), preceduto dal divertimento (46 per cento). Non sorprendono i dati resi noti alcuni giorni fa da Confesercenti che il 36 per cento delle imprese segnala di avere avuto, quest’anno, difficoltà a trovare personale per il lavoro stagionale. Soprattutto sui giovani, dice lo studio di Confesercenti, pesa l’impegno dei giorni festivi e prefestivi (60 per cento). I conti tornano, così, a occhio e croce. La ricerca è stata elaborata da Area Studi Legacoop e Ipsos.

Spiega ulteriormente la posizione di questa generazione ciò che pensa a proposito del senso del lavoro: per quasi 6 giovani su 10 (il 58 per cento), rappresenta una fonte di reddito e per il 45 per cento un modo per affermare la propria indipendenza. È molto significativo, e da non sottovalutare in alcun modo, il fatto che nessuno o pochissimi di loro intravvedano nell’avere un impiego qualcosa che abbia a che fare con la realizzazione della propria esistenza. Questo rispecchia, in un certo senso, ciò che aveva predetto Karl Marx, ossia: se il lavoro è soltanto una fonte di reddito, diventa un fattore alienante della vita, anziché uno strumento per dotare l’esistenza di un senso autonomo e non legato (sosteneva Marx) al capitale, che ha sempre un interesse contrastante rispetto a quello dei lavoratori stessi.

In base a ciò che rivela il rapporto sulle caratteristiche del lavoro ideale per la Generazione Z, il trattamento economico si colloca al primo posto (44 per cento), al secondo viene la disponibilità di tempo libero e la flessibilità dell’orario, seguita dall’autonomia; al quarto posto troviamo la stabilità dell’impiego indicata dal 25 per cento di loro. Io non so se questi giovani comprendano solo i laureati o anche chi si è fermato alla scuola secondaria superiore; ma indicare al quarto posto la stabilità significa avere una fiducia assoluta in un mercato del lavoro che offra possibilità di cambiare in modo molto efficiente e molto veloce, cosa che in Italia non è dato. Speriamo che qualcuno glielo comunichi. E a questo punto viene anche da pensare che quel 64 per cento che mette al primo posto la famiglia, banalmente, lo faccia più che altro per questioni economiche: non considerando nel bilancio mensile vitto e alloggio, soprattutto in una metropoli come Milano, uno può starsene anche tranquillo, godersi tutto il tempo libero a disposizione perché, alla fine, con qualche centinaio di euro sbarca comodamente il lunario.

È una visione un po’ miope: questa Generazione Z guarda poco lontano perché se si basasse effettivamente, nelle sue previsioni di lavoro, sul contributo familiare, si deve anche chiedere quanto esso possa avere vita lunga. A un certo punto i genitori andranno in pensione, con un assegno che sarà certamente inferiore dello stipendio, e allora? A oggi non esiste ancora in Italia la pensione di reversibilità per giovanotti e giovanotte che mettano al quarto posto la stabilità del lavoro e al secondo la disponibilità di tempo libero e flessibilità di lavoro. In sintesi, guardo quanto mi pagano e decido se mi basta per avere più ore libere e, contemporaneamente, lavoro flessibile, cioè quando mi va. In confronto, la fiaba di Alice nel paese delle meraviglie potremmo inserirla nella categoria «Neorealismo italiano».

Tutto ciò è confermato dal fatto che quattro giovani su dieci preferiscono uno stipendio con base fissa e componente variabile legata ai risultati raggiunti, mentre il 28 per cento sceglierebbe il salario fisso. Qui pare che le risposte siano un filo contraddittorie: da una parte, non si dimostra particolare attaccamento al lavoro, dall’altra si vagheggia una situazione in cui ho un pezzetto di stipendio fisso e, per il resto, mi do da fare come un matto, sgobbo e sudo per prendere più soldi possibili nella parte variabile. Non so se questi giovani abbiano abitato per qualche tempo su un altro pianeta perché su questo, fino a oggi, funziona al contrario.

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