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Cosa farà da grande Mario Draghi

Cosa farà da grande Mario Draghi

Dopo l’addio a Palazzo Chigi, il suo nome continua a circolare per altri incarichi: segretario generale della Nato; responsabile del ricco progetto Global Gateway; magari anche prossimo capo della Commissione europea. Lui smentisce tutto, sempre. Ma pochi credono al semplice ruolo di nonnino felice. Poi, nel 2029, si riapriranno le porte del Quirinale…


E’ lo smentitor cortese. Che se lo mettano bene in testa tutti quanti. Il nostro ammirato ex premier, Mario Draghi, non aspira ad alcunché. Qualsiasi indiscrezione su futuri approdi continua a essere confutata con inarrivabile lestezza: «Fonti dell’entourage di Draghi fanno sapere che il presidente non è interessato ad alcun incarico». Poco conta che la prestigiosa mansione sia in Europa, oltreoceano o in patria. Nessuno s’azzardi a rimembrare che Draghi è contesissimo. Voci false e tendenziose.

Ma perché un uomo che s’è sempre mostrato disinteressato ai retroscena, disdegnando ogni intervista mentre era a Palazzo Chigi, adesso si prende la briga di far negare categoricamente inevitabili spifferi? Al Corriere della sera ribadisce la sopraggiunta idiosincrasia: «Ho quattro nipoti. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare. Anche per questo ho chiarito che non sono interessato a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero».Nei palazzi romani eccepiscono. Non credono alla novella del banchiere Cincinnato. Dopo gli allori, Draghi che si ritira a Città della Pieve, nella campagna umbra, dove vent’anni fa comprò un casale: passeggiate con il bracco Barsuk, messe domenicali, visite dei nipoti, compere in paese accanto all’adorata moglie Serenella. Inverosimile, aggiunge chi lo bazzica. Dunque? Tocca rimembrare la mancata elezione al Quirinale. Nella conferenza stampa del 22 dicembre 2021 Draghi sibila: «Abbiamo lavorato perché l’operato del governo continui, indipendentemente da chi ci sarà». Lui è pronto per salire al Colle. Del resto, il tacito accordo che mesi prima l’aveva convinto ad accettare la guida del governo, dopo il disastroso Conte bis, era chiaro. Sarebbe stato lui il successore di Sergio Mattarella. Il nuovo presidente della Repubblica.

Mai fidarsi dei democristiani, mutevoli per natura. E mai autocandidature, sicure disfatte. Le fregole di Draghi vengono superate in quei giorni dalla tenacia del Parlamento, voglioso di conservare la cadrega: «Barattano sette anni di presidenza della Repubblica per sette mesi di stipendio» spiegava la leader di Fratelli d’Italia e futura premier Giorgia Meloni. Vero: con il trasloco del premier al Colle si rischiano elezioni anticipate e vitalizio. Mentre Draghi scalpita, Mattarella si annaca. Verbo intransitivo siciliano. Significa: massimo movimento con il minimo spostamento. Il paventato sostegno a Draghi non arriva. Meloni lo mette in allerta: «Mario, vogliono fregarti». Ma il premier è uomo di numeri e principi. Si fida, appunto. Però alla fine il centrosinistra, capitanato dagli ex diccì, rielegge Mattarella. Come da programma. Infranto il patto, si frantuma la fiducia. Draghi prosegue qualche mese. Sembra scontento e demotivato. Alla prima fibrillazione lascia.

E adesso? Tutti lo cercano, tutti lo vogliono. Ma lui, memore del tradimento, ostenta disinteresse: «Io riesco a guardare al potere e ai potenti. Io mi sento parte di quella recita» dice in uno dei rari incontri pubblici. Lapsus freudiano? Immediata rettifica: «lo sono stato… Ora non lo sono più». Difficile accettare di venir gabbato da quei teatranti. Adesso, però, capisce la politica. Nemmeno un fiato, dunque. Casomai, bisognerà chiamarlo a furor di popolo. Camminando con le ginocchia sui ceci. Implorando perdono. L’indefinito entourage, intanto, smentisce lo smentibile.

Draghi ha 75 anni e la solita tempra. La rivincita sarebbe l’approdo al Quirinale. Certo, Mattarella è stato rieletto. Ma potrebbe seguire l’esempio di Giorgio Napolitano, che lasciò 19 mesi dopo l’inizio del secondo mandato. La spinta del centrodestra verso il presidenzialismo sarebbe decisiva. Silvio Berlusconi l’aveva detto senza cerimonie: «Se entrasse in vigore la riforma, Mattarella dovrebbe dimettersi». Ma non se ne parla più. Soprattutto, l’attivismo del presidente lascia presagire che, salute permettendo, terminerà il suo secondo settennato.

Insomma, la staffetta al momento sembra improbabile. Se ne riparlerebbe a gennaio 2029. Draghi avrebbe 81 anni. A quel punto, potrebbe seguire le orme di Carlo Azeglio Ciampi: ex governatore della Banca d’Italia, poi presidente del Consiglio, infine al Quirinale cinque anni dopo l’uscita da Palazzo Chigi. C’è tempo per un altro giro, comunque. E Mario, a dispetto delle ultime accuse sui ritardi del Pnrr, rimane SuperMario: riserva della patria, anzi delle patrie, in servizio permanente effettivo. Altro che nonnetto d’Italia.

La prima poltronissima si libera a settembre 2023, quando scade il mandato di Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato da ottobre 2014. L’incarico è già stato prorogato di un anno, vista la guerra in Ucraina. Il nome di Draghi circola da mesi. Tanto da essere stato sottoposto allo stesso Stoltenberg, che ha glissato infastidito. L’ex premier italiano, per tutti, sarebbe la scelta ideale. Non solo per gli alleati europei, a partire dal presidente francese Emmanuel Macron, suo sfegatato ammiratore. Ma anche per Meloni, che rafforzerebbe ulteriormente il ferreo atlantismo. E soprattutto per il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Comunque: l’incarico, visto il frangente bellico, è ambitissimo. S’è candidato persino l’ex primo ministro inglese, Boris Johnson.

C’è poi la guida del Global Gateway, la risposta europea alla Via della Seta, che investirà 300 miliardi di euro entro il 2027. Il quotidiano tedesco Handelsblatt, citando diverse fonti, racconta che Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, guarda «con simpatia» alla nomina di Draghi. Il solito entourage, però, nega. Certo, quella nomina magari poteva servire anche ad allontanarlo dal trono su cui siede la baronessa Ursula. Il suo mandato scadrà il 31 ottobre del 2024. Lei spera nella rielezione, ma a Bruxelles soffia vento contrario. Dopo la Svezia, persino nella Finlandia dell’icona progressista Sanna Marin ha vinto la destra. E nei prossimi mesi, potrebbe trionfare pure in Grecia e Spagna. Per puntare alle elezioni europee del 2024.

I conservatori dell’Ecr, presieduti da Meloni, vogliono accordarsi con i popolari, gli eterni governisti. Se invece i socialdemocratici dovessero tenere botta, per superare lo stallo sulla presidenza della Commissione servirebbe un nome prestigioso e inattaccabile. Un Draghi. A seguire, nel dicembre 2024, scade il mandato di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo. Altro incarico, sebbene di minor peso. Nello stesso periodo, cambierà il vertice del Fondo monetario internazionale. Ma la regola stabilisce che il segretario generale non deve avere più di 65 anni.

Quando lasciò Palazzo Chigi, i più devoti profetizzavano un futuro luminoso. Enrico Letta, allora segretario del Pd: «Sono sicuro che Draghi giocherà un ruolo importante per il nostro Paese anche dopo le elezioni». Matteo Renzi, ex premier e leader terzista: «Si riposerà, poi sarà ancora utile al Paese. Io ho un po’ di idee sul suo futuro ruolo. Sarà al servizio dell’Italia e dell’Unione europea». Rino Formica, indimenticato teorico della politica «sangue e merda»: «Sarà il lord protettore che guiderà la destra italiana a stare nel solco del conservatorismo europeo». Dopo mesi di decantazione, riformuliamo allora identica domanda a Gianfranco Rotondi, unico esemplare di meloniano democristiano: «Cosa farà Draghi?». Risposta secca e filosofica: «Draghi farà Draghi». Ovvero? «Essere Draghi, di per sé, è già un mestiere. Ha avuto un tale peso e ruolo nella vita pubblica…». Sì, ma non vede per lui un altro incarico all’orizzonte? «Con quel carniere, non ne ha certo bisogno. Può fare tutto, può fare niente».

L’indicazione concreta arriva da Clemente Mastella, gladiatore nella prima Repubblica, titano nella seconda e palombaro nella terza: «Farà il senatore a vita». Difficile però che s’accontenti di emulare un Mario Monti qualunque. Intanto, Draghi è governatore onorario della Banca d’Italia e membro della Pontificia accademia delle scienze sociali, nominato da Papa Francesco. Robe da nonnetto, appunto. E la Nato? Il Global Gateway? La Commissione europea? «Il presidente non è interessato ad alcun incarico». Un ruolo, del resto, già ce l’ha. È lo smentitor cortese.

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