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Douglas Murray: «Attenti alle dittature delle minoranze»

Douglas Murray: «Attenti alle dittature delle minoranze»

Genere sessuale, razza e identità. Nel suo nuovo libro, lo scrittore britannico Douglas Murray affronta temi cruciali della modernità E in quest’intervista con Panorama mette in guardia contro i conformismi «politicamente corretti».


Se c’è ancora qualcuno, nei Paesi di lingua inglese, capace di rappresentare un punto di riferimento per il pensiero conservatore, quello è Douglas Murray. Editorialista di testate prestigiose, tra cui The Spectator, ha pubblicato negli ultimi anni libri che pochi altri avrebbero avuto il fegato di pubblicare. Va reso merito all’editore Neri Pozza di aver portato in Italia prima La strana morte dell’Europa (dedicato prevalentemente alla tematica migratoria) e poi La pazzia delle folle, su «gender, razza e identità». Argomenti roventi su cui Panorama si confronta con l’autore.

In Italia si discute di una legge contro l’omofobia. In molti c’è il timore che si riveli uno strumento per censurare opinioni diverse. Che cosa pensa di questa ossessione per l’omofobia e la transfobia?

Essendo io stesso gay, riconosco che alcuni non amano i gay, così come a certi uomini non piacciono le donne, ad alcune donne non piacciono gli uomini e in ogni razza ci sono persone a cui non piacciono quelle di una razza diversa. L’omofobia, il razzismo e il sessismo sono sempre esistiti. E, come tutto ciò che umilia un’altra persona a causa di una caratteristica su cui non si ha voce in capitolo, sono brutti e deprecabili. Negli ultimi anni, però, alcuni attivisti per i diritti utilizzano il razzismo, l’omofobia e la misoginia come pretesti per respingere ogni critica. Nei miei libri esploro cose – e le dico – che altre persone pensano, ma non osano dire a voce alta. Quando i gay non avevano diritti, molte persone ci trattavano male. Ora che, nell’Occidente moderno, abbiamo la maggior parte o tutti i diritti (a seconda dei Paesi), alcuni di questi gay si rivelano illiberali per quanto riguarda la tolleranza delle «differenze», in particolare quelle religiose. Credo che i gay che vogliono impegnarsi in una relazione per tutta la vita dovrebbero avere il diritto di sposarsi. Ma una volta acquisito, non hanno poi il diritto di insistere sul fatto che la Chiesa debba sposarli, se questa non lo vuole.

Perché i movimenti Lgbt (Lesbico-gay-bisessuale-transessuale) continuano a descrivere i Paesi occidentali come luoghi di oppressione, ora che i diritti gay vengono rispettati?

Io la definisco «Sindrome di San Giorgio in pensione». San Giorgio ottiene un tale plauso per aver ucciso il drago che poi se ne va in cerca di altri draghi da uccidere. Essendo queste creature poche, alza la sua spada contro bestie sempre meno spaventose fino a quando, un giorno, si trova ad agitare e la sua spada a mezz’aria contro il nulla. Questo è stato il destino del moderno liberale nell’Occidente europeo. Ho trascorso gran parte della vita additando gli orrori che accadono quasi ovunque al di fuori del nostro continente, soprattutto in Medio Oriente e Africa. Eppure la maggior parte degli attivisti per i diritti delle donne, i diritti degli omosessuali e l’antirazzismo a questo riguardo si fanno assolutamente silenziosi. E lo diventano particolarmente quando si sfiora l’Islam.

C’è il rischio che a forza di insistere sui diritti si arrivi a un effetto contrario, perdendo quelli acquisiti?

Possibile. Personalmente, sono preoccupato che le istanze più estreme degli attivisti trans provochino un contraccolpo. Come spiego in questo mio nuovo libro, il trans non solo è completamente diverso da lesbiche, gay e bisessuali. Ma opera contro questi orientamenti sessuali. E, più importante ancora, opera contro le donne. Gli attivisti trans, d’altra parte, oggi dicono qualcosa di simile a quello che hanno detto gli attivisti per i diritti degli omosessuali, ma aggiungono «che i sessi e i cromosomi non esistono e se pensi che ci siano differenze sei un fanatico». Va bene rispettarci a vicenda, ma nessuno ha il diritto di chiederci di mentire sulla nostra comprensione della biologia per adattarci ai suoi sentimenti.

Un’altra ossessione contemporanea è quella per le minoranze. Persino le donne sono trattate come minoranza, anche se non lo sono.

Sono sorpreso che le donne non ne siano infastidite. Forse lo sono – la mia casella di posta elettronica lo certifica – ma la maggior parte di loro tace. Ciò che è accaduto al movimento femminista in quest’ultima fase è terribile. Le battaglie per i diritti trovano molto difficile fermarsi a «uguale». Vanno avanti e cercano di arrivare a «meglio». È quasi come se le attiviste cercassero di recuperare il tempo perduto. Poiché alle donne sono state innegabilmente negate opportunità in passato, l’ultima ondata di attiviste femministe vuole compensarle affermando che le donne non sono solo uguali agli uomini ma migliori degli uomini. È molto pericoloso. Ci sono stati momenti, poi, in cui era rischioso essere in minoranza. Oggi è rischioso non esserlo. In un certo senso entrambi i miei ultimi due libri riguardano il nucleo svuotato delle nostre società, dove il cuore di ciò che siamo si perde in queste ossessioni per le minoranze. Voglio invece che ci concentriamo sulle questioni profonde e sulle sfide a cui dovremmo pensare.

Qualcuno sostiene che il coronavirus infliggerà il colpo finale alla globalizzazione.

Non faccio previsioni. Noto che le persone hanno la tendenza a usare il virus come catalizzatore per qualsiasi ossessione politica. Da una parte la globalizzazione ha facilitato i viaggi. Qualcuno è felice per l’impossibilità di viaggiare che abbiamo subìto negli ultimi mesi? Sarebbe triste se la gente pensasse che il mio desiderio di tornare presto in Italia fosse una sorta di atteggiamento «globalista». D’altra parte ci sono elementi della globalizzazione – in particolare le questioni relative alle catene di approvvigionamento – che ora saranno un problema. Ho sentimenti contrastanti a questo proposito. Questa globalizzazione ci ha portato prodotti più convenienti. Il rovescio della medaglia è stato il fatto che abbiamo esternalizzato lavori in altri Stati. In particolare, la Cina. E non sono sicuro che la nostra capacità di acquistare magliette a prezzi vergognosamente bassi compensi la disoccupazione nei nostri Paesi.

Poi c’è la fissazione per l’immigrazione a ogni costo, anche se è sregolata e dannosa.

Ho detto tutto il possibile per mettere in guardia gli europei sui rischi dell’immigrazione. Ma una cosa che mi ha colpito in questa crisi del Covid è stata la chiusura dei confini. Nel 2015, quando l’Italia fu abbandonata dai Paesi del Nord Europa, la gente disse: «Non è possibile semplicemente chiudere i confini, viviamo in un mondo globalizzato» e così via. Quindi sono stato molto colpito che anche Paesi iper-liberali come il Canada abbiano chiuso le frontiere con la pandemia. Quindi si scopre che possiamo chiudere – e far rispettare – i confini. Allora perché non scoraggiare l’immigrazione clandestina?

Nel Regno Unito c’è stato un grande dibattito sul cambiamento di sesso. Aumentano i minorenni che intraprendono il percorso di cambiamento di genere…

Per questo libro, La pazzia delle folle, ho studiato a fondo il problema. Per esempio, parlando con persone che hanno attraversato questo processo di cambiamento. E con le loro famiglie. Ci sono persone nate con anomalie genitali o cromosomiche che sono conosciute come «intersessuali». Queste persone non hanno avuto quasi alcuna attenzione e vivono una situazione seria, da comprendere. Mi ha anche colpito però che gli attivisti della trans non abbiano mai riflettuto su questo tema. Nemmeno le persone dell’estrema sinistra che usano i problemi della transessualità quale ultimo elemento di scontro con la società tradizionale. Ho concluso che ci sia una ragione. Vogliono semplicemente utilizzarlo come un randello da darci in testa. Vogliono far finta che le nostre società siano solo sessiste, omofobe, razziste e transfobiche. Allora dico: «Fammi vedere i Paesi in cui preferiresti vivere? Dimmi in quale parte del mondo è il tuo dannato nirvana?». Se mai ne hanno uno, è sempre un infernale buco comunista o post-comunista. Queste persone – come dimostra il caso dell’immigrazione – sono una sorta di malattia della nostra società. Perché pensano che le società più libere, decenti e tolleranti della storia siano le peggiori.

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