Se l’Ucraina non è nelle condizioni di rovesciare le sorti della guerra, fino a quando può resistere?
Da mesi Volodymyr Zelensky annuncia la riscossa. E più di recente, il presidente ucraino insiste sul prossimo crollo della Russia, il cui regime, dopo la ribellione della Wagner e l’allontanamento del suo capo Yevgeny Prigozhin, sarebbe sull’orlo del disfacimento. Può darsi che l’uomo che da un anno e mezzo gira il mondo in tuta mimetica per raccogliere intorno a sé il consenso dell’Occidente contro l’invasione di Vladimir Putin abbia ragione. Tuttavia, ho la sensazione che la sua, più che un’analisi politico militare, sia un’aspirazione: il desiderio di vedere un giorno il proprio popolo trionfare e il proprio Paese riconquistare tutti i territori occupati, ritornando alla situazione antecedente il crollo del muro di Berlino e l’annessione della Crimea del 2014. Purtroppo, non sempre i desideri si avverano e dunque temo che le legittime ambizioni di Zelensky di vincere la guerra siano destinate a rimanere tali.
Può darsi che io mi sbagli, ma a cominciare dall’annunciata controffensiva di primavera, diventata poi una riscossa estiva, non si è andati molto più in là delle dichiarazioni. Le truppe di Kiev hanno guadagnato qualche chilometro, quelle di Mosca sono arretrate cedendo qualche villaggio. Alcuni gruppi ucraini sono riusciti a organizzare attentati in territori russi, ma a guardare nel suo insieme lo scenario di guerra, non si è avuto alcun cambiamento significativo. Tutto ciò, nonostante uno sforzo bellico importante di Kiev che ha ottenuto il sostegno costante degli alleati occidentali con ogni genere di armamento, sebbene dopo qualche iniziale resistenza. Ricordate le perplessità nei primi mesi di guerra di fronte alle richieste di Zelensky? In principio, alcuni sistemi missilistici, come gli americani Himars, erano considerati tabù. Poi sembrava impossibile che la Germania cedesse i suoi carrarmati Leopard e gli Stati Uniti i sofisticati Abrams. Quindi è venuta l’ora degli F16, aerei da combattimento di fabbricazione americana, ma anche su quelli alla fine il veto è caduto. Quindi le bombe a grappolo. L’ultimo divieto ha riguardato i missili a lunga gittata, considerati pericolosi perché avrebbero potuto spingere gli ucraini a usarli non contro la Crimea, territorio conteso fin dalla sua occupazione, ma in profondità nel territorio russo, provocando di fatto un’estensione del conflitto e un possibile coinvolgimento degli alleati da parte di Mosca, che a questo punto avrebbe dovuto difendersi e magari anche alzare il livello dello scontro.
Se si passa in rassegna la tipologia di armamenti che Stati Uniti e Unione europea hanno fornito agli ucraini nei diciotto mesi passati, c’è da rimanere impressionati, al punto che un esperto come Nicola Cristadoro su Limes ha osservato come l’esercito di Kiev ormai sia diventato occidentale, e non soltanto per i significativi miglioramenti delle forze armate ucraine in termini di equipaggiamento e di armamenti, ma anche per l’addestramento e insegnamento alle tattiche militari alleate. Migliaia di soldati sono stati addestrati in America, Germania, nel Regno Unito e in Canada. Non solo all’uso dei nuovi sistemi missilistici, nella difesa aerea e nell’impiego dei sofisticati carrarmati dei Paesi Nato, ma anche nella scelta di strategie di guerra.
Tuttavia, nonostante sia l’Unione europea che gli Stati Uniti, insieme con Canada, Regno Unito e Australia, abbiano messo a disposizione mezzi militari, finanziari e aiuti umanitari, la guerra non ha avuto sostanziali punti di svolta. Nonostante le sanzioni e le molte perdite registrate fra le truppe russe, Putin non pare ancora con le spalle al muro, costretto ad accettare una resa. E Zelensky, sebbene quasi ogni giorno pronostichi una sconfitta del nemico, al momento non sembra avere in mano la chiave per una soluzione del conflitto. In una recente intervista, Pier Francesco Zazo, ambasciatore italiano in Ucraina, pur riconoscendo la straordinaria capacità di resistenza di Kiev, ha spiegato che ormai l’Ucraina dipende totalmente dall’estero. La Ue contribuisce con 18 miliardi di euro all’anno e, a prescindere dalla capacità di spesa dei singoli Stati, viene da chiedersi se il raggiungimento di un cessate il fuoco sia possibile continuando a sostenere economicamente quel Paese. Che prima della guerra aveva 40 milioni di abitanti, ma otto milioni di rifugiati all’estero, oggi ne può contare 30 milioni scarsi, e dunque è necessario interrogarci sulla capacità di fronteggiare un nemico che non tiene in alcun conto la vita umana, tanto da essere pronto a sacrificare centinaia di migliaia di suoi soldati.
Se l’Ucraina non è nelle condizioni di rovesciare le sorti della guerra, fino a quando può resistere? Certo, noi occidentali siamo pronti a pagare i conti di Kiev, a sostenere tutte le controffensive che vogliamo inviando aiuti, soldi e cannoni. Ma poi si torna alla domanda fondamentale: se non si può vincere, prima o poi bisognerà porre fine al conflitto negoziando una tregua. Stati Uniti e Unione europea sembravano intenzionati ad aprire le trattative, ma solo da un punto di forza, cioè con i russi in ritirata. E se il punto di forza non si raggiungesse? Se Putin non indietreggiasse? Qualcuno, lassù, dove si prendono le decisioni geopolitiche, se lo è chiesto? E qual è la risposta? Sarà meglio saperla per prepararsi. A una pace o a una guerra.
