Il trattamento dei più deboli nel nostro Paese sfiora l’inciviltà. E le risorse per aiutare le famiglie che se ne fanno carico non si trovano mai.
L’episodio recente della bambina disabile letteralmente strappata, e quindi salvata, dalle sevizie della maestra, non può essere derubricato a un fatto che rientra nella percentuale di questa tipologia di crimini. Perché un crimine perpetrato ai danni di un disabile e per di più in età infantile è un crimine, ove possibile, che si appesantisce di aggravanti dovute alla fragilità del soggetto offeso, che rendono questo spregio alla dignità umana ancora più profondo e sanguinante.
Il fatto riporta tragicamente in primo piano il tema del trattamento dei disabili in Italia. Certo, non possiamo far diventare l’episodio il paradigma di un problema più generale; ma quegli intenti di «perseguimento della garanzia di una vita indipendente» tardano a vedere la luce anche in forme iniziali o propedeutiche. Per intendersi, stiamo parlando dell’attuazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, diventata legge dello Stato italiano del 2009, la legge 18. Da tredici anni questa legge attende di essere messa in pratica e quindi aspettano di poter esercitare il diritto a un’esistenza degna le persone con disabilità, che in Italia sono 3 milioni e 150 mila, pari al 5,2 per cento della popolazione del nostro Paese. E anche la legge del 2016 «Dopo di noi» registra purtroppo bassissime percentuali di beneficiari rispetto alla platea potenziale. Tanto per intendersi, si tratta del 7,5 per cento in Lombardia e del 5,4 per cento nel Lazio.
Ora, capiamoci bene, una persona non nasce disabile per scelta, nasce disabile per qualcosa che possiamo chiamare fato o destino; ma non conta come lo definiamo, ciò che conta è che lo Stato ha il dovere costituzionale, fondamentale e soprattutto inderogabile di fare tutto il possibile affinché le famiglie – soprattutto appartenenti ai ceti medio bassi – non debbano vivere un inferno in terra per assistere, spesso 24 ore su 24, il disabile. E se è vero, come è vero, che secondo la tradizione occidentale, ebraico-cristiana, greca e romana la civiltà di un popolo, di una nazione, di un Paese si misura sul trattamento che riservano ai più deboli, in questo caso, l’Italia è purtroppo a un livello deprecabile.
Teniamo conto che se non ci fossero quei milioni di persone, appartenenti al mondo del volontariato e del no profit, che caricano sulle loro spalle ciò che dovrebbe stare sulle spalle dello Stato, la situazione sarebbe ancora peggiore e non sappiamo francamente darle un connotato numerico. Non siamo lontani dal vero affermando che ci sarebbero centinaia di migliaia di persone abbandonate a sé stesse. Non può valere, nelle società democratiche, il principio per il quale se uno ha poca voce ha meno diritti di chi ne ha di più, perché questo tipo di società fa ribrezzo. Ebbene, nel caso dei disabili, ci troviamo a un passo da questa situazione, ammesso e non concesso che quel limite non lo abbiamo già superato.
In Italia si è trovato un miliardo da destinare alla famiglia Benetton dopo che era crollato il ponte Morandi e, derogando a ogni norma dei ristori e dei sostegni, si è fatta questa scelta. E allora facciamoci questa domanda: è più urgente lenire il dolore e la sofferenza in una famiglia povera, che magari abita nella periferia di una metropoli e si sobbarca per intero il peso di un disabile, o è più urgente fornire soldi per chi quei soldi può trovarli nelle proprie casseforti e nei propri conti correnti italiani o esteri che siano? Si risponda a questa domanda togliendo la mano dal portafoglio e mettendosela sul cuore per ragionare e poi rimettendola direttamente sul portafoglio della spesa pubblica per decidersi, una volta per tutte, a finanziare non un’impresa o un ente più o meno astratto ma persone in carne e ossa, carne ed ossa spesso doloranti, che si vedono negato il diritto a vivere una vita degna di questo nome. Non ci vuole una grande coscienza morale per capire questa affermazione, basta una constatazione seria, umana, minimamente solidale per comprendere che il tempo è ormai passato inutilmente. E che di quello stesso tempo queste famiglie non ne hanno più.