La diffusa eccitazione per la tutina sexy di Achille Lauro non inganni: in Italia come in Occidente domina un progressismo moraleggiante che, in nome del politicamente corretto e di un femminismo sessuofobo, censura capolavori d’arte, se la prende con la libertà dell’erotismo e rifugge, perché non lo comprende, da tutto ciò che è fantasia.
Osservando le scalmane che hanno suscitato, a Sanremo, le tutine aderenti e trasparenti di Achille Lauro, verrebbe quasi da credere che l’Italia sia diventata una terra disinibita, svincolata dalle inutili pruderie borghesi. Anche il corpo maschile finalmente liberato! Ammiccamenti sessuali in prima serata sulla Rai! Molti hanno salutato le performance del cantante romano come una terapia contro l’arcaico bigottismo che affligge il nostro Paese.
La situazione è un po’ diversa. Sull’originalità di Achille Lauro potremmo discutere a lungo, basterebbe ricordare le esibizioni di Renato Zero risalenti a 40 anni fa per rendersi conto che il caro Achille non ha inventato nulla, né ha condotto chissà quale rivoluzione. Soprattutto, però, non dobbiamo pensare che l’esibizione del corpo su un palco e sugli schermi tv – che ormai costituisce la norma – corrisponda a un calo del moralismo e a una maggiore libertà nei costumi.
A dirla tutta, il moralismo è decisamente in aumento, e la direzione che l’Occidente sta prendendo va in senso opposto: il bigottismo si fa dominante. Solo che non si tratta di un’eredità cristiana o di chissà quale deformazione conservatrice della mente europea. Oggi a imporre una morale rigidissima e a esercitare la censura sui costumi è l’universo progressista. Per rendersene conto basta sfogliare il bellissimo saggio L’arte sotto controllo (Johan & Levi editore) della filosofa francese Carole Talon-Hugon, che contiene un elenco di censure apparentemente infinito. «Oggi i casi di censura, o di richiesta censura, sono in aumento», scrive. «La proposta di boicottare i film di Woody Allen, le contestazioni contro una rassegna di Roman Polanski, la richiesta di ritirare dalle sale cinematografiche I love you, daddy di Louis C.K., quella di distruggere dipinti di Graham Ovenden e foto di Pierre Louÿs».
Gli episodi spaventano per numero e virulenza. C’è quello riguardante Balthus: «Una petizione lanciata sotto l’hashtag #metoo reclama la rimozione del dipinto di Balthus, Thérèse rêvant, sospetto di incitare alla pedofilia. E se il Metropolitan Museum di New York non cede» racconta la Talon-Hugon «il museo Folkwang di Essen ha rinunciato nel 2014 a esporre le polaroid che Balthus aveva scattato alla fine della sua vita alla giovane modella Anna».
È andata peggio a un altro gigante della pittura: «A Vienna, nel 2018, i poster di nudi di Egon Schiele (Uomo nudo seduto, 1910, e Ragazza con calze arancioni, 1914) che ne annunciavano la retrospettiva al Leopold Museum sono stati censurati con banner recanti la scritta: “Scusate, nonostante siano passati cent’anni il tema è sempre scandaloso”». A Manchester, infine, il Museum of Fine Arts ha deciso di rimuovere il quadro Hylas e le Ninfe (1896) di John William Waterhouse, capolavoro preraffaellita, colpevole di presentare «il corpo delle donne in forma passiva e decorativa o come femme fatale».
Sono le conseguenze dell’alluvione da politicamente corretto, che si accompagnano a un femminismo sempre più ringhioso. Che sarebbe andata a finire così lo aveva già scritto Erica Jong, femminista d’acciaio ma di altro ceppo rispetto a quelle attuali: «Bandite tutto ciò che è capriccioso, eccentrico, fantasioso, sessuale, satirico o strano e il risultato sarà quella specie di omogeneizzato predigerito per lattanti che ci propina oggi la televisione americana». Cioè la tv dominata dal pensiero liberal. Aggiungeva la Jong: «C’è una forte tendenza anti-sesso nel femminismo contemporaneo, tendenza che collima con quella del puritanesimo».
Non è un caso che sia proprio «l’osceno» mondo dello spettacolo a imboccare questa deriva. Dopo tutto, come diceva Julius Evola (i cui scritti sulla questione femminile sono ora raccolti nel volume Il problema della donna, a cura di Paola De Giorgi, edito da I libri del Borghese), «la mancanza di pudore tende ad assumere i tratti di una cosa “naturale” e quasi casta, afunzionale, abituale e pressoché pubblica». Ebbene, «lungo codesta linea, più che maggiore corruzione, può attendersi dunque il formarsi di uno sguardo dal quale, alla fine, una giovane donna nuda può essere eventualmente osservata come si osserva un pesce o un gatto siamese».
Finché si tratta di film, serie tv, o esibizioni che rientrano negli stretti confini dell’ideologia Lgbt, allora si lasciano le mani libere. Ma quando si discute di rapporti fra maschi e femmine, il discorso cambia parecchio. Anzi, la stessa ideologia Lgbt (tra l’altro ben lontana dal rappresentare l’intera popolazione omosessuale) ha contribuito all’attuale deriva sessuofobica della sinistra internazionale.
Prendiamo Pornotopia (Fandango), il saggio ripubblicato in cui l’attivista trans Paul Preciado si scaglia contro «l’immaginario erotico eterosessuale». Con chi se la prende, il nostro censore? Con Playboy, la rivista che ha contribuito alla rivoluzione sessuale ma, secondo Preciado, ha creato «una donna docile, asservita al piacere maschile che non spaventa, non minaccia e arreda l’appartamento dello scapolo come uno dei mobili pronti all’uso della nuova architettura moderna». In realtà il modello femminile di Playboy è tutt’altro che docile, ma in questi tempi di Me Too le intemerate contro «le donnine nude» vanno per la maggiore.
Se n’è accorto, e ne approfitta per infilzare pregiudizi e incrostazioni ideologiche, il Batman della letteratura italiana, Massimiliano Parente, con Tre incredibili racconti erotici per ragazzi (La Nave di Teseo), volume agile impreziosito da disegni di Gipi. Parente coglie e sbriciola tutte le fissazioni sessuofobiche del nostro tempo, e infatti a sinistra (stupidamente) parecchi non lo amano, forse perché non sono in grado di leggerlo. Nei suoi racconti non c’è nulla di scandaloso, semmai dalle pagine trasuda una bella dose di libertà, e pure di dolcezza. Caratteristiche che i nuovi bigotti fanno di tutto per cancellare.
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