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Dalla parte dei ragazzi «di bottega»

Dalla parte dei ragazzi «di bottega»

Troppi giovani fanno gli «stage» in condizioni prive di sicurezza. Ma punire non significare abolire l’alternanza scuola-lavoro, che resta una buona iniziativa.


Possibile mai che in Italia anche un’iniziativa buona come l’alternanza scuola-lavoro si riesca a farla diventare un’occasione di scandalo per la morte di giovani non posti nelle condizioni minime di sicurezza? Possibile si stia riproducendo in questa iniziativa ciò che caratterizza – purtroppo – il mercato del lavoro italiano?

Il 18enne Lorenzo Parelli è morto schiacciato da un impianto di laminazione dell’acciaio, cui lui stesso aveva lavorato con alcuni operai, una putrella di acciaio lunga 15 metri e larga sette. Era il suo ultimo giorno di stage allo stabilimento della Burimec a Lauzacco (Udine). Pare fosse in una zona a rischio e senza il «tutor» che, secondo la testimonianza di vari operai, era stato sostituito da un altro operaio. Gli inquirenti stabiliranno se tutto era stato fatto secondo le regole o no. Intanto Lorenzo non c’è più e, invece di alternare la scuola al lavoro, ha alternato la morte con la vita. Un ragazzo che muore grida vendetta, ma soprattutto giustizia.

Oltre a questo ragazzo, ultimamente, si sono registrati altri casi simili: come lo studente di 16 anni di Rovato, Brescia, caduto lo scorso giugno da un cestello elevatore di 5 metri, e ricoverato in gravissime condizioni; come il 17enne di Cuneo in terapia intensiva dopo essere stato travolto da una cancellata in ferro; o lo studente che a La Spezia è rimasto schiacciato da un muletto che guidava – ovviamente – senza possedere la patente.

Secondo l’Inail, nel 2021, tra gennaio e novembre, ci sono stati 1.116 morti sul lavoro e 502.458 denunce di infortunio. In genere persone adulte ed esperte che avrebbero dovuto conoscere bene il loro lavoro e i rischi, ed essere adeguatamente tutelate. Ma anche qui non è stato successo così. Le norme non sono state rispettate, o rispettate solo in parte che, in tema di sicurezza, è come dire per niente. Tanto più vale per giovani inesperti che richiederebbero una tutela maggiore, delle garanzie infrangibili, dei controlli serrati e continui anche perché non stiamo parlando di quattro gatti ma di 2,6 milioni di studenti che frequentano le scuole superiori e debbono affrontare questo percorso dell’alternanza scuola-lavoro.

Ovviamente questa è stata un’occasione ghiotta per dire che si tratta di un percorso inutile, diseducativo, pericoloso, di sfruttamento e, conseguentemente, andrebbe abolito perché – addirittura – sottrarrebbe tempo prezioso alla formazione del loro pensiero. Come se la formazione del pensiero non contemplasse anche la prassi: vedi le arti o i mestieri manuali come l’artigianato di qualsiasi tipo (ma qui il discorso sarebbe complesso).

Diciamo subito che non siamo per nulla d’accordo con questa tesi che porta a un giudizio esclusivamente negativo. Questa «alternanza» nacque nel 2003 (ministro dell’Istruzione Letizia Moratti) e si limitava agli istituti tecnici e professionali, prima in forma facoltativa e poi obbligatoria. Durante il governo di Matteo Renzi la normativa si estese ai licei con una logica che ci sfuggì al tempo e ci sfugge ora.

Considerando che l’alternanza scuola-lavoro – che oscilla tra le 90 e le 210 ore distribuite nel triennio superiore a seconda dei diversi indirizzi scolastici – è diventata spesso occasione di scappatoie in cui noi italiani siamo da premio Nobel. Spesso questi stage sono diventati in alcune imprese (purtroppo non poche) lavori a tutti gli effetti senza vere iniziative di formazione, tra ragazzi impegnati a fare le fotocopie o preparare il caffè quando non utilizzati per coprire carenze di personale.

L’idea che sta alla base di questa iniziativa è buona, soprattutto se si limita agli istituti tecnici di formazione professionale. Come tutti sanno, le imprese italiane, per esempio nel settore metalmeccanico, calzaturiero, turistico-alberghiero, hanno fame di giovani preparati, e fare stage di formazione durante gli anni scolastici diventa non utile, ma essenziale. In qualche modo gli stage sostituiscono quella che una volta si chiamava la «bottega artigiana», dove c’erano «i ragazzi di bottega» a fianco dell’artigiano, e da lui imparavano il mestiere fino a sostituirlo o rendersi autonomi.

È tale, e deve essere, il senso di questo progetto. Rendere i giovani, una volta terminato il ciclo di studi, completamente pronti all’inserimento nel mondo del lavoro. Vi pare poco? Vi pare che per qualche imprenditore che sbaglia si debba buttare a monte un’iniziativa che può generare professionisti competenti nei posti di lavoro? Controlliamo di più, semmai, controlliamo meglio e puniamo severamente chi sgarra.

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