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Senza preti, né fedeli, né radici

Senza preti, né fedeli, né radici

Le vocazioni in calo sono un segnale anche per i non credenti. E chi predica dentro una chiesa vuota si faccia una domanda…


Chiudono molti seminari, in tutta Italia ce ne sono solo 1.804 (dati della Conferenza episcopale italiana), che per 20 regioni fa circa 90 seminaristi ciascuna. La maggior parte è in Lombardia (266) e in coda c’è l’Umbria, la terra di Assisi, con 12. A Mantova, è notizia recente, il seminario vescovile – nientepopodimeno che 40 mila metri quadrati – è stato chiuso (gli aspiranti preti sono appena cinque, e 8 mila metri quadrati a testa sono stati evidentemente giudicati eccessivi), ma anche nella mia città, Lucca, il seminario è stato chiuso e Lucca è sempre stata una fucina di preti, cattolicissima e democristiana; non che le cose siano necessariamente collegate ma, come si dice, tutto fa.

Niente, pensando al numero delle parrocchie e dei servizi che ci saranno da coprire in futuro. Basti pensare che in 10 anni, dal 2009 al 2019, le vocazioni sono scese del 28 per cento. Il fenomeno parte da lontano – nel 1970 i seminaristi erano 6.337 – ma nell’ultimo decennio il fenomeno ha subìto un’accelerazione senza precedenti. Un lettore potrebbe pensare: «Ma con tutti i problemi che ci sono chissenefrega di preti, seminari e seminaristi!». A nostro modesto avviso, credente o non credente, chi pensasse così sbaglierebbe. Perché, in qualsiasi religione si creda, laici, agnostici, atei, comunque un dato di fatto rimane.

Al di là e prima del fatto religioso, strettamente inteso, la religione cristiana, la fede cattolica, in questo Paese come in tutta Europa, è stata ed è una parte determinante delle nostre radici e dunque dell’albero della civiltà sulla quale siamo seduti. Se non una perdita in termini religiosi, di cui si potrebbe discutere a lungo, una scarnificazione della struttura della Chiesa cattolica e della sua assenza nella società italiana significherebbe una perdita netta in termini culturali. Sarebbe come se, tornando all’albero, sparissero le radici, o nessuno se ne curasse più. L’albero, presto o tardi, seccherebbe fino a scomparire.

Altra domanda, ben più sensata della precedente – e anzi indispensabile per affrontare il problema in profondità e cercare possibili soluzioni – è chiedersi perché, come mai, a causa di quali fattori i seminari si svuotano fino a chiudere i battenti. Perché succede? Cosa porta i giovani a non considerare più questa come una delle possibilità di scelta per la propria vita? Qui la questione si fa complicata, ma forse meno di quanto si pensi a prima vista. È immediato, logico e perfino condivisibile che i ragazzi, ma soprattutto le loro famiglie, di fronte agli scandali enormi della pedofilia nella chiesa nutrano nel migliore dei casi seri dubbi sull’affidabilità per adolescenti o giovani di queste istituzioni in una età così delicata e con mille fragilità, nel peggiore un rifiuto netto che si estende a tutta la credibilità della Chiesa stessa.

Questo è un fatto determinante, tant’è vero che dei pochi giovani che ancora entrano in seminario il 43,3 per cento ha tra i 26 e i 35 anni, mentre tra i 19 e i 25 anni è il 42,2 per cento di coloro che aspirano al sacerdozio. Percentuali invertite rispetto a quelle di non molti anni fa. E poi, per dirla fino in fondo, a parte la fermezza di Benedetto XVI – che, tra l’altro, obbligò chi fosse venuto a sapere di casi di pedofilia a denunciarli per prima cosa all’autorità civile – altre condanne di questa forza non se ne sono sentite. Si tende purtroppo a insabbiare, almeno da un punto di vista della comunicazione; e questo non aiuta, anzi insospettisce sempre di più.

C’è poi un’altra questione che potrebbe sembrare astratta, ma che al contrario giudichiamo di una concretezza facilmente constatabile. Entrate di domenica in una chiesa qualsiasi. Magari fatelo per qualche domenica durante l’anno e abbiate la pazienza di fermarvi fino all’omelia, cioè alla predica dopo la lettura del Vangelo. Sentirete parlare di tutto, ben poco però di Dio. Fatti della settimana, qualche predicozzo politico, qualche banalità che chiunque potrebbe imbastire su quel brano del Vangelo o sulla fede cristiana. Minestre riscaldate, poco preparate, poco meditate, cucinate come ricette di una routine. Frutto di pigrizia intellettuale e spirituale che creano un’empatia e un interesse verso le cose spirituali di poco superiori all’empatia verso una lavastoviglie. La predicazione non è tutto nella Chiesa, certo. Ma è la parte sostanziale. Dove altrimenti un giovane potrebbe trovare gli spunti di riflessione che lo conducano, eventualmente, a valutare una scelta così radicale? Pedofilia da una parte e brodaglie retoriche dall’altra, certo non favoriscono un rallentamento del fenomeno di cui abbiamo parlato. n

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