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Bibì & Bibò nel campo di rovi

Bibì & Bibò  nel  campo  di  rovi

L’editoriale del direttore

Giuseppe Conte e Matteo Renzi, due ex premier dall’ego sconfinato accomunati dallo stesso destino: il rischio di scomparire e di scoprirsi irrilevanti.


Giuseppe Conte e Matteo Renzi, fratelli coltelli, costretti a camminare fianco a fianco pur odiandosi e non avendo alcuna stima l’uno dell’altro. Cominciò l’ex segretario del Pd, che considerò il presidente del Consiglio per caso un usurpatore, uno che davvero nessuno aveva visto arrivare, ma che a Palazzo Chigi si insediò proprio nei giorni in cui Renzi fu costretto a gettare la spugna e a lasciare pure la guida del partito dopo quella del governo. Per un anno buono, l’ex premier ha covato l’idea di rovesciare il tavolo, fingendosi il senatore semplice di Scandicci e coltivando i suoi affari con l’Arabia e con qualche altra dittatura. Poi, grazie a Matteo Salvini, che rovesciò il tavolo prima di lui fidandosi della promessa che mai la sinistra avrebbe fatto accordi con i Cinque stelle, ecco l’occasione che cercava per tornare determinante, la mossa del cavallo.

Renzi si presentò come il salvatore della legislatura, ma soprattutto come l’asso nella manica di Giuseppe Conte, il quale riuscì a schiaffeggiare il leader della Lega seduto al suo fianco. Il professore non sapeva che l’asso nella manica gli avrebbe legato le mani, fino al punto da farlo cadere prima della naturale scadenza per impedirgli di presentarsi vittorioso alle elezioni. E infatti, puntuale nelle sue macchinazioni, il fondatore di Italia Viva, il partitino personale che si era creato per poter fare i suoi giochi senza dover rispondere alle correnti del Pd, eccolo presentare il conto. Nei giochi di Palazzo, negli intrighi e nei voltafaccia, l’ex premier è il numero uno e Conte lo ha imparato a proprie spese. Il giorno in cui dovette lasciare la presidenza del Consiglio schiumava rabbia e organizzò una conferenza stampa davanti a un banchetto, promettendo vendetta. Da allora, l’ex professore che più che il potere ama sé stesso e desidera tanto sentirsi parlare con frasi da leguleio come «la caducazione della concessione», a Renzi l’ha giurata. Infatti, non perde occasione per attaccarlo, garantendo che con lui mai farà accordi.

Entrambi hanno i loro personali guai. Il fondatore di Italia Viva, a forza di giravolte e tradimenti, alla fine è rimasto solo: dopo Rosato, Bonetti, Magorno, l’ultimo a preparare le valigie è Marattin. E prima, altri avevano preferito prendere le distanze, evitando di seguirlo nell’avventura del nuovo partito, a cominciare dal suo storico braccio destro, Luca Lotti. Ma non è l’addio dei compagni di viaggio a preoccuparlo, bensì quello degli elettori. I sondaggi lo danno al minimo storico e anche l’alleanza con Emma Bonino dal nome impegnativo di Stati Uniti d’Europa, è stata un flop, perché il gruppo non è riuscito a portare a Bruxelles neppure un parlamentare. Non è andata meglio a Firenze, dove aveva schierato un suo assessore regionale per il posto di sindaco: Dario Nardella, altro compagno di viaggio che gli ha voltato le spalle, senza i suoi voti è riuscito a far eleggere la sua candidata, dimostrando l’irrilevanza dell’ex padrino.

Ora Renzi abbraccia Elly Schlein, dopo aver detto che avrebbe portato il Pd al cimitero, nella speranza che la segretaria lo faccia accedere al campo largo, mossa che non piace agli ex compagni e che ha fatto infuriare la Bonino, oltre agli stessi quadri dirigenti del partitino personale del senatore semplice di Scandicci. Se Renzi lotta per restare a galla, nella speranza di contare ancora qualche cosa, un uguale destino riguarda Giuseppe Conte, il quale alle elezioni europee non è andato male ma malissimo, scavalcato non soltanto dal Pd, a cui aveva sognato di rubare la leadership del centrosinistra, ma perfino da Forza Italia e dai suoi «cespugli». Il sogno di essere il candidato premier della sinistra alle prossime elezioni si allontana, per di più, come nel caso di Renzi, il partito ribolle e Beppe Grillo minaccia di riprendersi il logo se l’avvocato di Volturara Appula tentasse di levare il vincolo che impedisce agli onorevoli grillini di candidarsi per una terza volta.

Conte vorrebbe liberarsi defitivamente dalla tutela del comico prestato alla politica, ma le pressioni sono tante, a cominciare da quelle degli ex. Da Di Maio a Di Battista, per non parlare di Raggi e Toninelli e compagni, tutti sognano di levarsi dai piedi Conte per ritornare in prima linea. E anche quelli, come l’ex ministro degli Esteri (e del Lavoro), pur occupandosi di politica internazionale da inviato per il Medio Oriente, ogni tanto si toglie i sassolini dalle scarpe per lanciarli contro l’acerrimo nemico. Renzi e Conte, infatti, sono accomunati anche nelle crescenti antipatie di coloro che un tempo erano loro alleati.Ma pur avendo già molti nemici a cui badare, gli ex premier costretti a camminare fianco a fianco nella speranza di non finire fuori strada, non perdono occasione per parlare male l’uno dell’altro. Se il primo sollecita un’alleanza, il secondo mette il veto. Se l’altro magnifica i tempi in cui stava a Palazzo Chigi, Renzi rispolvera i successi dell’era Draghi. Però, pur essendosi tanto odiati, e continuando a farlo, Conte e Renzi, i Bibì & Bibò della sinistra, non hanno alternative. Così il campo largo sembra più un campo di rovi, destinato probabilmente alle prossime elezioni a diventare un campo di fiori, ma dove i boccioli che si apriranno saranno solo i crisantemi, pianta resistente, che di regola si vede a novembre, per festeggiare la festa dei morti...

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