Le elezioni tedesche del 26 settembre sanciscono l’uscita dalla vita politica della cancelliera dopo 16 anni al vertice. Nessuno dei suoi successori – a partire dal delfino Armin Laschet – ne raccoglierà l’eredità. La Cdu è data nei sondaggi sotto il 20% e per governare il Paese sarà necessario un lungo e delicato negoziato. Con la sorpresa dei Verdi.
Il record è a portata di mano. Se Angela Merkel resterà alla guida della Germania fino al 17 dicembre di quest’anno sarà stata cancelliera federale un giorno di più di Helmut Kohl, il padre della riunificazione della Germania, al potere per 5.869 giorni consecutivi, dal 1° ottobre 1982 al 26 ottobre 1998. L’operazione non è impossibile: grazie a un sistema elettorale largamente proporzionale nella Repubblica federale tedesca, i governi sono sempre di coalizione: o fra moderati (Cdu/Csu) e liberali (Fdp) op-pure fra questi e i socialdemocratici (Spd).
Con il cancelliere Gerhard Schröder (1998-2005) la Spd si è invece alleata con i Verdi, mentre per tre volte su quattro Merkel ha puntato sulla Große koalition fra Cdu/Csu e Spd. Alleanze variabili ma tutte segnate da una costante: a governare erano due partiti alla volta, non di più. Partiti che, concluso lo scrutinio dei voti, si siedono al tavolo e negoziano in media per cinque o sei settimane di fila, definendo quanto più in dettaglio possibile il piano di azione dell’esecutivo per i quattro anni a venire della legislatura.
Un processo lungo e poco avvincente che garantisce però al Paese governabilità e stabilità, criteri spesso ignorati nella formazione dei governi alle nostre latitudini. Secondo i sondaggisti tedeschi, a questo giro si cambia: complice l’atteso crollo della Cdu del dopo-Merkel, la buona affermazione degli ecologisti e la sorprendente ripresa della Spd, il quadro si annuncia complicato. Gli esperti assicurano che la prossima maggioranza sarà formata dall’alleanza fra due dei partiti sopra elencati con l’appoggio dei liberali, ansiosi di tornare nella stanza dei bottoni.
Ecco perché Merkel potrebbe battere il suo antico padrino politico Kohl: non è escluso che la formazione di un governo a tre richieda fino a otto settimane di negoziato, permettendo alla donna venuta dall’Est di diventare anche la cancelliera del record di durata. Un record tuttavia al quale Merkel non sembra tenere più di tanto. Il suo primato la leader cristiano democratica l’ha conquistato anni fa e nessun politico della nuova generazione pare in grado di sottrarglielo: in tema di popolarità la cancelliera è imbattibile e le difficoltà del suo delfino Armin Laschet lo provano.
Secondo le ultime rilevazioni demoscopiche, sotto la guida del renano Laschet la Cdu è precipitata sotto la soglia del 20%, un risultato impensabile per l’ex balena bianca tedesca ormai ridotta a poco più di un pesce da portata. Al contrario, secondo un sondaggio del Forschungsgruppe Wahlen del 10 settembre, su una scala che va da -5 a +5, Merkel è con 2,4 punti la personalità politica di gran lunga più apprezzata in Germania, seguita a distanza dall’attuale candidato socialdemocratico Olaf Scholz (+1,6 punti), mentre la candidata green Annalena Baerbock e lo stesso Laschet arrivano dopo la polvere, rispettivamente a zero punti e -0,5 punti. Se Merkel restasse in pista, in altre parole, la Cdu vincerebbe di nuovo.
La leader tedesca si è però già quasi ritirata dalla vita politica. Certo, nella sua ultima apparizione al Bundestag prima delle elezioni del 26 settembre, ha invitato i tedeschi a scegliere la Cdu presieduta da inizio anno proprio da Laschet. Nel suo intervento, la cancelliera si è più preoccupata di mettere in guardia gli elettori dai rischi di un non impossibile (ma improbabile) governo rosso-rosso-verde con socialdemo-cratici, Verdi e socialcomunisti eredi della Ddr piuttosto che di perorare la causa di Laschet. D’altronde perché rovinare la propria gloriosa uscita di scena legandosi alle sorti di un candidato che non ha mai convinto nessuno e che tutti danno per perdente?
Il consenso in politica però non è tutto e nella sua guida assennata della Repubblica federale Merkel sembra aver dimenticato che a forza di di consenso si può fare anche del male al Paese. È il caso, per esempio, della campagna vaccinale partita con una certa velocità in Germania e presto arenatasi sulle secche della campagna elettorale. Mentre in Francia il presidente Emmanuel Macron ha imposto il Green pass per legge e Mario Draghi parla un giorno di passaporto verde e l’altro di obbligo vaccinale, la Germania ha preso una direzione diversa. Anzi opposta; e la ragione è tutta politica.
Con il partito sovranista AfD in prima linea a difendere la galassia tedesca dei no vax, dei no pass e di tutti quelli che contestano mascherine e distanze di sicurezza, i candidati cancellieri non si sono troppo spesi a favore delle immunizzazioni. A ruota la Stiko, la Commissione permanente sui vaccini, non ha raccomandato la vaccinazione dei bambini con più di 12 anni fino al 16 agosto. In Italia, per fare un confronto, il via libera dell’Aifa a somministrare il preparato Pfizer-Biontech ai 12-15enni era già arrivato il 31 maggio.
A sinistra sono in molti a credere che la Cdu abbia volentieri chiuso un occhio sui vaccini per non perdere altri voti sul fianco destro. Dall’inizio della campagna elettorale, AfD si mantiene stabile nei sondaggi attorno all’11-12%, appena sotto al 12,6% ottenuto alle elezioni di quattro anni fa; ma, come ha ricordato Manfred Güllner, il presidente dell’istituto demoscopico Forsa, in un recente incontro con la stampa estera in Germania «molti nei sondaggi preferiscono non rivelare che votano per una formazione giudicata molto duramente dagli altri partiti».
Traduzione: non è escluso che AfD faccia ancora bene. E poiché nel 2017 il partito entrò a gamba tesa nel Bundestag con un drappello di 90 deputati, oggi la Cdu ha smesso di considerare tutti gli elettori della formazione euroscettica e anti-immigrati come una manica di trogloditi.
Al contrario, nell’orientale Turingia il partito ieri di Merkel e oggi di Laschet punta le proprie carte su Hans-Georg Maassen, l’ex capo dei servizi di intelligence che nel 2018 la stessa cancelliera dovette cacciare perché accusato da tutte le forze politiche di essere troppo tenero con le sbandate neonaziste di AfD. La speranza è che Maassen riporti a casa qualche elettore nostalgico di una Cdu più conservatrice, com’era il partito ai tempi di Kohl.
L’attuale campagna elettorale, insomma, si conferma come la più strana dal 1949, anno di fondazione della Repubblica federale. Per la prima volta c’è un capo del governo, peraltro graditissimo a tutti, che non si ricandida e assiste a uno scontro asimmetrico in cui il socialdemocratico Olaf Scholz, alleato nella coalizione uscente e oggi antagonista ufficiale della Cdu, si presenta come suo legittimo successore – ormai la foto in cui Scholz si è fatto ritrarre con le mani a rombo appoggiate sul ventre a indicare «la nuova cancelliera sono io» la conoscono tutti.
All’angolo opposto troviamo il delfino Armin Laschet, che nella speranza di fermare l’emorragia di voti a destra fa stampare cartelloni in cui promette «più manette per i criminali», criticando in sostanza la politica di sicurezza della cancelliera uscente e del suo ministro degli Interni, entrambi espressione della Cdu. Uno spettacolo da cui Merkel si tiene a distanza di sicurezza, attenta a non rovinare la propria immagine. Se resterà alla guida del governo fino al 17 dicembre solo un’altra personalità avrà mantenuto il potere più a lungo di lei: Otto von Bismarck, cancelliere del Reich per 19 anni consecutivi.
